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La disciplina italiana in tema di competenza cautelare arbitrale

L'esperienza italiana contempla, ormai in maniera quasi isolata nel panorama internazionale, la competenza esclusiva dei giudici ordinari in materia cautelare.176 Il nostro art. 818 c.p.c. dispone che “gli arbitri

non possono concedere sequestri né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge”.

Tale disposizione deriva dalle varie riforme intervenute in materia ci- vile, tra cui quella del 1990, attuata con legge n. 353, che l'ha depura- ta dal comma 2, il quale prevedeva la distribuzione di competenze tra giudici ed arbitri, e il d.lgs. n. 40 del 2006, che vi ha aggiunto l'inciso finale “salva diversa disposizione di legge”.

Anteriormente alla riforma del processo civile del 1990, al giudice era attribuito il potere, oltre che di concedere i sequestri, quello di pronunciarne la convalida o disporne la revoca successivamente alla decisione dell'arbitro, il quale si era trovato a pronunciare in virtù del- l'accordo compromissorio; avendo la riforma eliminato la fase della convalida, è stato conseguentemente abrogato il comma 2.

La disciplina riguardante invece la possibilità per i giudici di revocare o modificare il provvedimento e dichiararne l'inefficacia per poi ripri- stinare la situazione anteriore è stata più opportunamente spostata all'interno del titolo I, capo III, relativo al procedimento cautelare uni-

176Oltre all'ordinamento italiano seguono questo indirizzo la legislazione argentina,

secondo quanto previsto dall'art. 753 del codice di procedura, e quella cinese, in base all'art. 258 della China Procedure Law del 1991 e l'art. 68 della China Arbitra- tion Law del 1995.

forme.177 Il fondamento dell'assenza di ogni potere cautelare in capo

agli arbitri viene desunto dalla formulazione dell'art. 669 quinquies, secondo cui “quando la controversia è oggetto di clausola compro-

missoria o è compromessa per arbitri o se è pendente giudizio arbi- trale, è competente il giudice che sarebbe stato competente per il me- rito”.

Con riguardo specifico alla tutela cautelare nell'arbitrato internazio- nale, la riforma del 1994 non si è occupata di disciplinarla apposita- mente, per cui è appurato che ad essa venga esteso il contenuto del- l'art. 818 previsto per gli arbitrati interni.

Le motivazioni alla base del divieto espresso dalla disposizione in questione sono fondamentalmente due: l'assenza di poteri coercitivi in capo agli arbitri e la natura sommaria della materia cautelare, per la quale è perciò più opportuno e maggiormente garantistico affidare tale disciplina alla giurisdizione ordinaria.

La scelta propria del nostro ordinamento è da ricondurre alla genera- le sfiducia con cui viene guardato l'arbitrato, a dispetto di quanto av- viene invece ormai nella stra grande maggioranza degli altri ordina- menti, nei quali si è provveduto ad intervenire in materia tramite re- centi modifiche legislative.

Tra le due motivazioni addotte, maggior peso sembra assumere la se- conda, relativa alla presunta natura sommaria della cognizione caute- lare: infatti i giudici ordinari hanno la facoltà, in sede di exequatur, di controllare il provvedimento arbitrale, prima di dare inizio alla proce- dura esecutiva. Questo meccanismo è ritenuto idoneo a garantire il rispetto delle funzioni del giudice ordinario, onde evitare abusi, e da

molti invocato come dimostrazione della totale inadeguatezza e del- l'anacronismo in cui versa la nostra legislazione. Il generale divieto dell'art. 818 c.p.c. trova dunque applicazione sia con riguardo a pro- cedimenti arbitrali puramente italiani sia a quelli con elementi di estraneità. Viene perciò riferito e ad arbitrati che hanno in Italia la sede del procedimento, e a quelli sottoposti su scelta delle parti alla legge italiana.

Secondo una corrente minoritaria, l'art. 818 c.p.c. non estendereb- be la propria efficacia nei confronti dei provvedimenti cosiddetti di istruzione preventiva, in quanto non espressamente contenuti nella disciplina generale del procedimento cautelare uniforme. La tesi non convince, e comunque è stato notato come, anche a volerla ammet- tere, essa presenterebbe un raggio d'azione assai limitato, in quanto riferibile soltanto ai provvedimenti di istruzione preventiva richiesti durante la causa, dato che non esiste un organo cui poterli richiedere prima dell'instaurazione di essa.178 A sostegno dell'infondatezza di

tale orientamento è stata addotta la considerazione per cui i provve- dimenti di istruzione preventiva assolvono alla medesima funzione di quelli cautelari strictu senso, ossia conservare una situazione in vista del processo futuro, qualora si abbia fondata ragione di temere che il diritto oggetto della lite possa venire pregiudicato da un ritardo nel- l'assunzione o nella conservazione della misura.

La maggioranza della dottrina italiana si rivela favorevole all'estensio- ne del divieto sancito dall'art. 818 c.p.c. anche ai provvedimenti in questione, sulla scorta della considerazione della natura non del tutto perfetta dell'istruttoria condotta innanzi agli arbitri, con la conse-

178Si è pronunciato in questo senso LA CHINA, in L'arbitrato. Il sistema e l'esperien-

guente necessità di un successivo intervento del giudice ordinario.179

Da ciò deriva direttamente che ogni patto contrario, anche se stipula- to dalle parti, volto ad eludere il divieto di cui all'art. 818 c.p.c., è inefficace. Nel caso in cui vengano emanate misure ad opera degli ar- bitri, in violazione della disposizione in questione, parte della dottri- na, sebbene minoritaria, ritiene che esse spieghino comunque un qualche effetto: si tratta di quelle particolari misure dette self – exe-

cuting, le quali presentano la duplice caratteristica di non aver biso-

gno di organi pubblici per essere attuati, né della cooperazione del soggetto cui sono rivolte in sede di ottemperanza.180 Bisogna poi spe-

cificare che il divieto per gli arbitri di adottare misure cautelari non si risolve anche nella facoltà delle parti della lite di chiedere ad essi l'in- dicazione o la raccomandazione di misure con finalità cautelari, la cui successiva ottemperanza sarebbe del tutto rimessa alla spontanea volontà dei soggetti. E' stato poi sottolineato come la mancata attua- zione della misura ad opera della parte a ciò obbligata venga valutata negativamente dagli arbitri, i quali terranno conto di tale comporta- mento nel momento di pronunciarsi sul merito. C'è tuttavia chi conti- nua a schierarsi contrariamente a questa impostazione, notando come i due procedimenti – cautelare e di merito – siano in realtà to- talmente distinti ed autonomi, per cui i due presupposti per la con- cessione del cautelare, ossia il periculum in mora e il fumus boni iuris, debbano essere ponderati separatamente e soprattutto su basi diffe- renti da quelle che caratterizzano la cognizione di merito.

179Vedi in particolare CECCHELLA.

180Condividono questa tesi BERNARDINI, in “Arbitrato commerciale e misure caute- lari”, in Riv. Arb., 1993, pp. 15 e ss.; BRIGUGLIO, in L'arbitrato estero, Padova, 1999.

9. La competenza cautelare degli arbitri nella nuova riforma dell'ar