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La distruzione della vittima

Capitolo 2.L'utilizzazione della violenza

2.1. Stragi e violenza etnica 1.Pulizia etnica

2.2.2. La distruzione della vittima

La tortura implica non avere il controllo sul proprio corpo e su ciò che ad esso viene fatto. Questo processo simboleggia l'onnipotenza dell'altro e la sua totale libertà d'azione nella violenza.

Tramite le intimidazioni, le parole, le violenze si crea una paura molto più spaventosa rispetto a quella della morte, quella di un'infinita ed interminabile agonia.

Il torturato teme che la violenza non cesserà mai e che il suo corpo dovrà subire

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Zamperini A., Psicologia dell'inerzia e della solidarietà., cit., p.131

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azioni brutali ancora per molto. Quello che egli non sa è che la distruzione e la crudeltà non sono durevoli. Nonostante il carnefice provi un enorme piacere nel praticare violenza e per quanto egli cerchi di far durare queste azioni il più a lungo possibile, non potrà evitare il fatto che esso prima o poi dovrà terminare. Più il corpo inerme viene maciullato e distrutto, minore sarà il tempo in cui il boia potrà agire su di lui. Più egli verrà percosso, più facilmente egli smetterà di opporre resistenza e gridare. Man mano che il prigioniero smette di reagire svanisce anche l'ebrezza e il piacere del carnefice.

Il trionfo della crudeltà non è durevole. Quanto più forte il picchiatore infierisce sul corpo, quanto più irrefrenabilmente maciulla tutto ciò che gli si oppone, tanto più rapidamente svanisce l'ebbrezza. La vittima cade in agonia, le mancano le forze per gridare […].94

La crudeltà, afferma Hannah Arendt ne L'umanità nei tempi bui, è perversa in quanto inverte il meccanismo di dolore e permette di provare piacere di fronte alla violenza.

[…] la crudeltà che non è affetto tanto quanto la compassione, ma

perverso, perché consiste nel provare un sentimento di piacere quando naturalmente si dovrebbe provare dolore.95

Il corpo violato è ridotto dal boia ad un “oggetto totalmente disponibile” alle

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Sofsky W., Saggio sulla violenza , cit., p.83

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torture dell'altro. Il torturatore agisce con tutta la sua violenza sul corpo vivo, il corpo morto, invece, è solo un residuo della scena della tortura, non ha in sé alcun interesse per il torturatore, per questo si cerca di estendere la violenza nel tempo, senza alcuna fretta che essa termini. La morte deve arrivare lentamente perché nella tortura non si vuole uccidere, ma anzi, si vuole far provare tutto il dolore possibile. In questo modo viene esteso il piacere provato dal torturatore.

Ridotto ad oggetto totalmente disponibile [...] al centro della scena sta un corpo sofferente su cui la violenza lavora prendendosi i tempi lunghi. La morte, se c'è, viene rigorosamente alla fine. Il corpo morto, per quanto scempiato, è solo un residuo della scena della tortura. La speciale forma di “orrorismo” di cui è protagonista il torturatore preferisce infatti consumarsi sul corpo vivo […].96

La totale distruzione dell'altro, sia interna che esterna è il trionfo del torturatore sul nemico. Tanto più dolore egli riesce a far provare alla vittima, tanto più cresce il suo mondo. Il carnefice governa totalmente la situazione, è regista assoluto di quelle scene. Mentre il violentato perde ogni sostegno interiore, l'aguzzino estende la tortura e la sua durata. Tra vittima e torturatore si instaura un rapporto di crescita esponenziale, tanto più la prima soffre, tanto più il secondo rafforza la sua posizione, la sua azione e il suo piacere.

La distruzione è il trionfo del torturatore. Il mondo del violentato si

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contrae in sé stesso, rapidamente perde il terreno sotto i piedi, smarrisce qualsiasi sostegno interiore. L'aguzzino al contrario rafforza la sua posizione ed estende il suo territorio. Quanto più dolore e abbandono opprimono la vittima, quanto più si riduce il suo mondo e tanto più cresce quello del torturatore che governa completamente la situazione.97

Il torturatore vuole rendere questo piacere il più lungo possibile. Si cerca di allontanare la morte, perché con essa il piacere della distruzione avrebbe fine. I torturatori non vogliono una morte veloce, ma vogliono che essa si estenda nel tempo.

Adriana Cavarero, riprendendo un pensiero di Liisa Malkki, afferma che il corpo svolge una duplice funzione nella violenza: esso è sia la matrice che provoca dolore fisico sia l'obiettivo. Il corpo è utilizzato come strumento nella distruzione fisica e mentale del prigioniero.

[…] il corpo è contemporaneamente la matrice e l'obiettivo della

violenza.98

Il nemico è completamente in balia del torturatore, il quale trasforma il corpo dolorante in uno strumento del suo potere. Attraverso la violenza impressa sul corpo, il martirizzato si trova di fronte a due nemici: il primo interno, la sua pelle, ed il secondo esterno, il boia. Il corpo nella violenza contrasta l'individuo e

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Sofsky W., Saggio sulla violenza , cit., p.83

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diventa il proprio nemico. Provoca tormento, ricorda all'individuo le esperienze che sta vivendo e non permette al soggetto di sfuggire alla tortura. Il protagonista della barbarie si autotrascina verso il basso, si autoimprigiona in una sofferenza sensoriale a cui non può sfuggire e distrugge tutte le sue difese. L'individuo cerca di contrastare, in una lotta disperata, la fonte del suo dolore, ma il corpo glielo impedisce, in quanto coopera nella tortura con il boia.

Nella furia del dolore il proprio corpo gli diventa nemico: è il suo corpo che gli procura il tormento, è al suo corpo che non può sfuggire per quanto si sforzi di stringere i denti e mobilitare quel tanto di forza e di volontà che gli è rimasta. Il nemico mortale è dentro di lui, imperversa al suo interno, lo imprigiona dentro di lui, lo trascina verso il basso e abbatte le sue ultime difese. […]. La tortura non si accontenta di ferite esteriori, spacca l'uomo in due parti. Il corpo della vittima diventa complice della tortura.99

Il corpo del torturato nella violenza è il principale nemico. Se la vittima cerca di opporsi alle torture, il corpo lo richiama alla realtà e manifesta la propria vulnerabilità. Esso si oppone alla volontà dell'individuo di resistere agli attacchi dell'aguzzino e prova pietà per la propria fragilità: segna il rapporto negativo verso il corpo e l'impotenza umana di sfuggire al dolore.

L'obiettivo principale di queste azioni violente è, infatti, la distruzione del nemico. Attraverso la sofferenza corporea si agisce sia sul corpo, ma anche sulla psiche

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della vittima, in quanto i metodi di tortura, agiscono sulla fragilità umana, colpendo la vittima sul fisico per poi colpire il suo interno. Queste pratiche non sono creazioni del sadismo degli aguzzini ma corrispondono ad un sistema di produzione di paura, di terrore, di deculturazione e di annientamento identitario. Questi sistemi vogliono annientare l'individuo stesso, viene colpita ogni parte della vittima la sua intimità, gli oggetti culturali, i suoi legami. La tortura è totalizzante, distrugge ogni singola sfumatura dell'uomo, alla fine ciò che rimane è un corpo martoriato e psicologicamente distrutto.

I metodi di tortura non sono invenzioni isolate nate dalla mente malata dei torturatori. Fanno parte integrante di un sistema di produzione di paura, di terrore, di deculturazione, di annientamento identitario.100

Sofsky identifica la paura prodotta nella tortura come terrore dell'arbitrio altrui sul proprio corpo, si ha paura della libertà di azione del carnefice, non si conosce dove egli possa arrestare la sua barbarie. Essa è una paura incontrollabile, in quanto non dipende dalla propria volontà, ma dalle decisioni di un altro individuo. Il dolore generato da quegli atti, tiene la vittima prigioniera in sé stessa e contribuisce a gettarla in uno stato di profondo abbandono.

La paura è principalmente paura della libertà […] è la paura della libertà dell'altro, del suo arbitrio, della sua illimitata violenza. […] il dolore tiene la vittima prigioniera dentro di sé e la getta

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nell'abbandono.101

Il torturatore attraverso il tormento vuole produrre una trasformazione identitaria nell'individuo sottoposto alla violenza. In essa, infatti, si può riscontrare una delle funzioni principali del trauma intenzionale la mutazione identitaria. Questa metodologia, sostiene Sironi, è impiegata in contesti politici violenti come strumento di distruzione del nemico.

Una delle funzioni del trauma intenzionale è quella di operare una metamorfosi negli esseri umani. L'esempio più estremo di trasformazione identitaria ci è fornito dalla tortura, la quale viene impiegata in contesti politici violenti.102

Nella tortura si opera persino sulla modalità di pensiero, si perpetrano quelle torture che innestano nella vittima un blocco sul fisico e sulla fantasia, il carnefice vuole bloccare la capacità di pensiero dell'altro.

Qualcosa, ecco, che non imprigionasse solo il tuo corpo ma anche la tua fantasia: qualcosa che impedisce al cervello di pensare.103

L'uomo prova a fronteggiare il carnefice, controllando il dolore, ma il corpo non lo trattiene lontano dalla sofferenza. Egli è legato al proprio corpo, al proprio sentire; si affligge e dispera per la propria fattezza. È inevitabile sfuggire al dolore

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Sofsky W., Saggio sulla violenza, cit., p.63

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Sironi F., Violenze collettive, cit., p.60

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perché nella tortura si attacca la vittima entrandole nella testa, si agisce sul corpo per colpire la psiche della vittima, attraverso precisi marchi psicologici, infatti, si mira alla distruzione totale dell'essere che si ha di fronte. La tortura utilizza, nel testo di Sironi, meccanismi iniziatici: si “disaffilia per riaffiliare”, si cambiano le caratteristiche. A differenza dell'iniziazione, nella tortura manca la riaffiliazione, si disaffilia solamente, si distrugge l'intero uomo, senza volerne ricostruire un'altra essenza. L'unico obiettivo della tortura è la distruzione totale dell'individuo. Nella tortura si massacra l'essere, per lasciarlo distrutto, spezzato. In essa le persone vengono lasciate “aperte” dalle ferite impresse loro.

Si “apre la testa” e si agisce sul pensiero attraverso marcature corporali e psicologiche precise. Nel far questo la tortura attiva i meccanismi analoghi a quelli che sono in azione nei processi iniziatici: disaffiliare per riaffiliare. La differenza tra i due procedimenti, però, è che la tortura non riaffila a nessun gruppo. Lascia le persone aperte dopo l'effrazione.104

Nella violenza non si vuole solo uccidere, l'obiettivo principale è colpire l'intimità. Disumanizzare il nemico o l'indifeso, infierire sul corpo e distruggerlo. Si cerca nella violenza di rendere inumano l'individuo, di renderlo cosa, oggetto di lavoro, di strappargli le sue caratteristiche, il torturatore lavora, infatti, sulle zone proibite, tocca ed infrange gli spazi intoccabili all'interno dell'uomo.

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[...] il crimine messo in scena come un'intenzionale offesa alla dignità

ontologica della vittima. Con tutta evidenza la questione non è qui uccidere bensì disumanizzare, infierire sul corpo in quanto corpo, distruggerlo […].105

Nella tortura la violenza non tende solamente ad uccidere, sostiene Adriana Cavarero, ma si cerca di distruggere l'integrità del corpo, il torturatore si scaglia contro la fragilità del nemico, non si vuole giungere solo alla distruzione di una vita, ma la posta in gioco è la condizione umana stessa.

Il carnefice sa precisamente dove colpire la vittima nel corpo, e nei legami sociali, viene attaccata la società di cui egli fa parte, gli oggetti culturali che sono importanti per la sua comunità. Nella manipolazione del corpo si colpiscono i legami culturali, sociali e religiosi della persona. Viene distrutto l'essere ed il suo legame con il mondo, viene creato un soggetto che non è più un individuo in grado di stare al mondo, tutto ciò che fa parte di lui viene maciullato ed infranto.

Non è la persona attaccata: attraverso di essa vengono presi di mira il suo gruppo di appartenenza o i suoi legami politici, culturali, sociali, religiosi.106

Quello che fa esperire la tortura è un forte senso di impotenza. Il corpo viene attaccato e con esso anche l'Io, l'immagine di sé, i rapporti sociali. Si instaura nella vittima un forte senso di dipendenza dal suo torturatore. Vengono frantumati

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Cavarero A., Orrorismo, cit., pp.16-17

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i rapporti sociali attraverso l'isolamento, e soprattutto con la minaccia di imprigionamento. Nella violenza della tortura vengono spezzati i legami sociali, l'attacco ad essi è una componente costitutiva dei meccanismi della tortura. Si prova una forte impotenza di fronte alle torture subite e il timore che i propri cari possano subire queste atrocità rende ancora più vulnerabili.

La persona torturata sperimenta un forte senso di impotenza e di totale dipendenza dal suo torturatore. [...] la rottura traumatica degli attaccamenti sociali è una componente costitutiva dell'esperienza della tortura. Le vittime sono mantenute in isolamento e sottoposte alla continua minaccia di imprigionamento o di morte dei loro familiari ed amici.107

In questo modo vengono colpiti i legami affettivi della vittima, i torturatori vogliono colpire l'intera collettività attraverso la deculturalizzazione, viene attaccato in esso il gruppo di appartenenza e la parte sociale della persona, quella che lo unisce alla collettività.

Attraverso il singolo individuo si vuole colpire in realtà il suo gruppo di appartenenza o i legami collettivi. L'obiettivo principale dei sistemi di tortura è di produrre deculturazione colpendo, attraverso le persone maltrattate, un intero gruppo culturale. […] L'attacco si rivolge alla parte collettiva dell'individuo, quella che lo collega a un gruppo che

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l'aggressore ha individuato come bersaglio.108

L'obiettivo della tortura è quello di rendere permeabile ogni limite tra dentro e fuori, nel quale la vittima perde le sue zone di intimità, che vengono distrutte e maciullate dal carnefice. Nella tortura niente è nascosto, escluso dalla scena della tortura e riparato all'interno in una zona sicura.