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1.2. La costruzione del nemico

1.2.2. Emozione politica

La creazione di atrocità collettive è messa in pratica per raggiungere l'affermazione delle proprie ideologie politiche attraverso l'utilizzo di emozioni costruite politicamente e culturalmente.

Come possiamo notare dagli avvenimenti del XX secolo, le emozioni politiche hanno giocato un ruolo strategico nella costruzione del nemico, nelle pulizie etniche o per far scoppiare una guerra. Françoise Sironi riporta l'esempio di Miloševic, che in un discorso tenuto a Sarajevo rispolverò una ferita collettiva risalente al 1389, anno della sconfitta subita nella battaglia di Campo Merli, contro gli ottomani. Egli riattualizzò questo evento passato per trasformarlo in una emozione politica: quest'ultima riaccese la vendetta e causò lo scoppio della guerra.

Il ruolo che assume l'emozione politica sugli individui è di forte impatto poiché coinvolge la psiche di essi.

Prendiamo per esempio Slobodan Milošević che […] riattualizzò una ferita della storia collettiva serba […]. Milošević strumentalizzò un

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ricordo collettivo per trasformarlo e incarnarlo in un'emozione politica.51

Sironi definisce un'emozione politica come una sensazione che coinvolge l'individuo e l'intera società attraverso meccanismi politici e sociali, come ad esempio ideologie, guerre che instaurano idee e pensieri ben definiti nella società spesso all'insaputa di molti.

Chiamo emozione politica un'emozione scatenata da una particolare categoria di avvenimenti: quelli legati direttamente al mondo politico (terrorismo, ideologie, guerre e torture..) sociale (conflitti e frattura sociale..), culturale e religioso. Le emozioni politiche nascono dall'articolazione tra storia individuale e storia collettiva. Sono identificabili sia a livello di individuo, sia a livello di intera società. [Esse] segnano il destino individuale e collettivo, spesso all'insaputa degli interessati.52

Le emozioni politiche agiscono sugli individui e sulla società e attraverso esse vengono vincolate relazioni sociali e rapporti di potere. Con le emozioni politiche si possono manipolare le popolazioni ed indurle al conflitto. Esse sono indotte dall'ambiente sociale e dalla politica. Per la riattualizzazione della guerra un politico si serve di ingiustizie, inganni e menzogne per generare nelle masse un sentimento di odio verso le minoranze da sopprimere. Le ingiustizie normalmente

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Sironi F., (2007), Violenze collettive. Saggio di psicologia geopolitica clinica, Feltrinelli, Milano 2010, p.23

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ritenute illecite sono giustificate durante i conflitti. In questo modo gli Stati sono autorizzati a commettere atti contro l'umanità, che le singole persone non potrebbero commettere.

Lo Stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero l'individuo singolo. Si serve contro il nemico non solo di legittima astuzia, ma anche della […] menzogna e dell'inganno […].53

L'odio, la discriminazione costituiscono un potente collante sociale. Le ideologie che si nutrono di fantasia hanno alla loro base emozioni primordiali: amo e difendo ciò che mi somiglia, mentre attacco ed odio l'oggetto che mi minaccia. L'emozione politica viene strumentalizzata dai gruppi dirigenti per impedire che l'aggressività si riversi sul potere e lo minacci. Per questo motivo è essenziale la costruzione di un capro espiatorio, sul quale riversare tutta l'aggressività e convergere ogni colpa.

[…] gruppi dirigenti di un determinato paese possono avere interesse ad utilizzare la naturale aggressività verso gruppi minoritari […] coinvogliando verso questi, tutti i risentimenti che possono esistere nella popolazione, impediscono che tali risentimenti si svolgano verso la stessa classe dirigente, minacciando il potere.54

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Freud S., Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, cit., p.127

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L'espulsione dell'altro dalla società viene costruita sulla base dell'odio politico. Nel pensiero di Nahoum-Grappe, esso non è “l'odio tragico della prossimità”, nel quale il soggetto odiato è fortemente e precisamente individuato, ma è un sentimento privo di oggetto su cui scagliarsi, non si individua un oggetto preciso da odiare. Nel caso in cui l'odio designa una collettività, identifica in essa l'elemento d'espulsione comune.

L'odio politico costruito artificialmente non è l'odio tragico della prossimità, il cui oggetto è una persona fortemente individualizzata […] al contrario l'odio politico è privo di oggetto, o è pieno di oggetti eterogenei […]. Ma quando tale odio designa una collettività deve necessariamente identificare quest'ultima come soggetto, con un carattere “odioso” in comune.55

Attraverso la costruzione delle emozioni politiche e dell'odio sociale, la classe dirigente trae la sua energia. Essa è necessaria per instaurare negli individui la condivisione che le azioni malvagie commesse sono concretamente fondamentali per la società. Senza tale costruzione le atrocità collettive sarebbero inimmaginabili.

La costruzione sociale dell'odio è la fonte di energia senza la quale le azioni di crudeltà sarebbero impensabili.56

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Nahoum-Grappe V., (1991-1995), L'uso politico della crudeltà: l'epurazione etnica in ex-Iugoslavia, in Hériter, Sulla violenza, cit., p.217-218

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Le emozioni politiche sono create culturalmente e possono essere strumentalizzate da un dirigente politico per i fini che gli sono più utili. Esse possono essere facilmente strumentalizzate dal politico o da una istituzione.

Esse possono essere fabbricate intenzionalmente e possono essere facilmente mobilitate e strumentalizzate da qualsiasi sistema o uomo politico per fini particolari.57

Le atrocità collettive non costituiscono, nel pensiero di Zamperini, la manifestazione improvvisa di pulsioni distruttive. Esse si possono inscrivere in azioni estremamente pianificate da gruppi politici. Queste violenze sono collocabili in precisi assetti di potere che si scagliano verso innocenti, che non meritano simili atrocità. Solo nel pensiero dei carnefici ed in quello dei loro sostenitori il gruppo target è meritevole delle loro azioni atroci.

Le atrocità collettive non sono allora la manifestazione improvvisa di pulsioni distruttive, bensì azioni pianificate e sistematiche, collocabili in specifici assetti di potere. Generalmente il gruppo target non ha fatto nulla per giustificare gli atti di crudeltà nei suoi confronti. Solo nella mente dei carnefici e nella loro propaganda tale gruppo merita la sofferenza che gli viene inflitta.58

Quando viene politicizzata un'emozione, non può che provocare forme estreme di

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Sironi F., Violenze collettive, cit., p.23

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crudeltà. Essa costruisce con la vendetta la forma di autodifesa necessaria per la sopravvivenza della comunità. La violenza viene reinterpretata come punizione legittimata nella quale sono date le basi per il massacro.

Quando simile propaganda chiama al massacro del genocidio non può che provocare forme estreme di crudeltà […] fa della vendetta la sua prima molla […] perché presenta la vendetta come un'autodifesa necessaria. […] Il richiamo alla vendetta immediata […] unito a quello dell'autodifesa hanno creato le condizioni di una crudeltà gratuita che si aggiunge come punizione all'atto di uccidere.59

Tramite la riattualizzazione di emozioni politiche si può generare negli individui il sentimento della vendetta, per la sconfitta subita. Così facendo si possono riattivare delle emozioni che erano state dimenticate attraverso una reazione tardiva. Viene installato nel cittadino il “dovere” di rivalsa, per riscattare le sconfitte subite in passato.

[Gli avvenimenti traumatici possono diventare] il veleno che

alimenterà un odio tardivo, basato sul rancore e sul “dovere” della vendetta. Questo meccanismo può essere strumentalizzato dai dirigenti politici di quella comunità culturale o nazionale.60

L'odio rivolto verso le minoranze non è costruito su profonde differenze etniche

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Vidal C., Il suicidio dei Ruandesi tutsi: crudeltà voluta e logiche di odio, cit. p.250

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tra il gruppo “dominante” e il gruppo “emarginato”. Le caratteristiche dell'altro sono estremizzate per accendere l'odio verso una parte dei cittadini.

È importante sottolineare come la violenza interetica non dipenda da profonde dissomiglianze tra un popolo ed un altro, ma anzi venga eccentuato quando le differenze sono minime. Bowen, infatti, spiega come nei paesi con maggiori differenze etniche gli scontri e le avversità sono meno frequenti rispetto a quelle popolazioni con minori dissomiglianze.

[…] le diversità etniche più profonde non sono associate a conflitti interetici di grande rilievo. Alcuni degli Stati più etnicamente differenziati al mondo […] hanno conosciuto solo minimamente la violenza interetnica, mentre in paesi con differenze assai lievi di lingua o cultura […] si sono verificati i conflitti più cruenti.61

Bisogna cercare di capire le motivazioni in cui certi meccanismi vengono originati nelle società. Essi vengono diffusi facilmente e assumono l'aspetto di un fenomeno normale, nel quale ciò che avviene non genera sorpresa o indignazione. Pécaut afferma ciò in relazione al caso colombiano, chiedendosi perché una volta accesa la miccia dell'odio interetnico, essa abbia così ampia diffusione.

Di fatto il problema è spiegare perché nel caso della Colombia, la violenza una volta messa in moto si diffonda così facilmente attraverso tutta la società e le istituzioni, confonda i riferimenti

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Bowen J.R. , (1996), Il mito del conflitto etnico globale, in Dei F., (a cura di), Antropologia della violenza, Meltemi, Roma 2005 p.137

stabiliti, metta in scena un immaginario e, infine, assuma l'aspetto di un fenomeno “normale” che può perpetrarsi senza suscitare sorpresa o indignazione.62

L'odio etnico gli scopi di natura economica e i metodi manipolatori sembrerebbero far credere che i suoi metodi manipolatori ed i suoi scopi siano irrazionali, al contrario essi sono altamente razionali. Esso apporta motivazioni alle azioni discriminatorie che vengono applicate tra cui l'impossibilità della convivenza e fa credere nell'inevitabilità della pulizia etnica. quest'ultimo soddisfa inoltre nei cittadini la necessità di spiegazioni banali per le azioni discriminatorie commesse.

Innanzitutto [il mito dell'odio etnico] fa credere all'irrazionalità di uno scontro i cui scopi (economici) e i cui metodi (di manipolazione) sono invece assolutamente razionali [...] in secondo luogo fornisce la

base teorica all'impossibilità della convivenza e dunque

dell'inevitabilità della pulizia etnica; in terzo luogo soddisfa in pieno il bisogno di spiegazioni banali.63

L'odio etnico è la conseguenza e non la causa di alcune azioni. Esso è generato per sopperire a problemi di altra natura, politici, economici e sociali. Per questo motivo, nel pensiero di Zamperini, l'odio etnico non esiste naturalmente, ma esso è generato e manipolato. È un sentimento creato per colmare altri tipi di problemi,

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Pécaut D., Riflessioni sulla violenza in Colombia, cit., p.159

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che si scagliano contro la differenza culturale.

Se le persone imparano ad odiare su base etnica, si impara a commettere violenza verso gli inermi. Il carattere razionale dell'odio etnico è sottolineato dall'autore dal fatto che in natura esso non è presente.

L'odio etnico è l'invenzione storicamente contingente ideata per risolvere i problemi di tutt'altra natura: politici, economici e sociali. Quindi l'odio etnico è conseguenza e non causa. Apprendendo a odiare su base etnica, si apprende ad agire violenza indiscriminata. Solo quando l'odio etnico si è concretizzato diventa a sua volta la dimensione esplicativa di ulteriori e successive manifestazioni della distruttività umana. Ma in natura l'odio etnico non esiste.64