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Elaborare il lutto

Capitolo 5. L'oblio dopo la tragedia: La cura del trauma

5.1. Elaborare il trauma

5.1.3. Elaborare il lutto

San Martino del Carso è una poesia scritta da Ungaretti il 27 agosto, a Valloncello

dell'Albero Isolato. Le immagini che il poeta evoca in essa sono paesaggi di morte e macerie di città.

A differenza delle rovine, dei cari morti non è rimasta più nessuna traccia. La loro scomparsa è molto più dolorosa in confronto alla distruzione della città. Solo la memoria dei sopravvissuti, continuerà a portare con sé il ricordo dei caduti.

Il cuore, in questi versi, è presentato come un cimitero, nel quale sono poste tutte

241

Beneduce R., Frontiere dell'identità e della memoria, cit. p.104

242

le croci dei cari deceduti. L'organo, è descritto in maniera analoga ad un paese. Al pari di una città, è disseminato di macerie, ma in esso è presente molto più dolore, “è il mio cuore il paese più straziato”.

Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore

nessuna croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato.243

Sigmund Freud in Lutto e Melanconia descrive il lutto come la perdita di un individuo caro oppure di un simbolo, molto importante per la propria persona, il quale ha perso il suo valore o il suo posto. Tra di essi, lo psicoanalista, pone gli

243

esempi della patria, della libertà, oppure di un ideale.

Il lutto è invariabilmente la reazione alla perdita di una persona amata o di un'astrazione che ha perso il posto, la patria ad esempio, o la libertà, o un ideale o così via. La stessa situazione produce in alcuni individui- nei quali sospettiamo la presenza di una disposizione patologica- la melanconia invece del lutto.244

Il lutto è paragonato ad un fantasma il quale è il continuo manifestarsi di un lutto mai elaborato. È molto interessante che il concetto di fantasma sia stato preso dall'autore come paragone del lutto. Entrambi i concetti, infatti, rappresentano qualcosa di non situato, che permane, che vaga, chiuso in una cripta.

Il lutto mai elaborato quindi ha le sembianze di un fantasma, non è visibile e proprio come una presenza “infesta” il luogo.

Un fantasma è un residuo perpetuo di un lutto mai fatto. [Viene] incorporato senza essere stato pianto, l'oggetto perduto […] è chiuso

[…] una cripta. Come ogni vero fantasma […] non troverà alcun

posto che gli spetti di diritto.245

Viene mantenuto all'interno di sé senza un luogo in cui stare, senza essere stato pianto, capito.

In quest'opera Freud parlerà sia di lutto che di melanconia, la melanconia è

244

Freud S., (1915b), Lutto e melanconia, in Opere, cit., Vol.8 pp.102-103

245

caratterizzata dalla perdita d'interesse nel mondo, una apatia nell'amare e nelle attività. Essa provoca nell'individuo un “avvilimento del sé”, il quale è sottoposto a forti autorimproveri. Nel lutto, Freud riscontra che caratteristiche sono simili tranne nel “disturbo del sentimento del sé”. Nella perdita dell'oggetto amato, l'individuo reagisce con gli stessi comportamenti del melanconico, in lui si ripropone la stessa perdita di interesse per il mondo. La melanconia, può essere scatenata dalla perdita di un'oggetto d'amore, ma spesso, questa perdita è ideale, ovvero l'oggetto amato non è morto veramente, ma è stato perduto nella relazione amorosa. La differenza tra lutto e melanconia si riscontra dal fatto che, la prima ha subito una perdita nella coscienza, mentre la seconda non ha a che vedere con una perdita nell'inconscio.

[…] nel lutto non compare il disturbo del sentimento del sé, ma per il

resto il quadro è lo stesso. Il lutto profondo, ossia la relazione di perdita di una persona amata, implica lo stesso doloroso stato d'animo, la perdita di interesse per il mondo esterno […] la perdita della capacità di scegliere un qualsiasi nuovo oggetto d'amore […]. 246

Michael Taussing nel suo saggio Culture of Terror- space of death: Roger

Casament's Puntumayo Report and the explanation of torture pubblicato nel 1984

su Comparative Studies and History, sottolinea come lo spazio del lutto, della morte è “fondamentale per la creazione del significato e della coscienza”. Questo avviene soprattutto in quella società nella quale prospera la cultura del terrore. È

246

uno spazio basilare per l'uomo moderno.

Lo spazio della morte è fondamentale per la creazione del significato e della coscienza, in particolare in quelle società in cui la tortura è un male endemico e prospera la cultura del terrore.247

Nel lutto la perdita di interesse nel mondo è generata dal lavoro interiore che l'individuo è costretto a fare per superare il lutto, l'Io è completamente assorbito in esso. In questa situazione, nel pensieo freudiano, il mondo viene “impoverito e svuotato”, mentre nella melanconia subisce tale azione l'Io.

Per il lutto abbiamo scoperto che l'inibizione e la mancanza d'interesse si spiegano compiutamente con il lavoro del lutto da cui l'Io è assorbito. La perdita inconsapevole che si verifica nella melanconia darà luogo a un analogo lavoro interiore, che diventerà perciò responsabile dell'inibizione melanconica. […] Nel lutto il mondo è impoverito e svuotato, nella melanconia impoverito e svuotato è l'Io stesso.248

Il lutto quindi è un processo fondamentale per il superamento di certi eventi, per lo sviluppo e l'accrescimento della psiche dell'individuo e non solo, questo processo interessa anche la collettività, l'intera società. Racamier lo definisce un “crocevia” che si situa tra la psiche del singolo e quella della comunità in cui vive.

247

Taussing M., Cultura del terrore, spazio della morte,cit., p.77

248

É un'elaborazione necessaria per tutte le persone che hanno subito insieme il medesimo trauma o la medesima violenza, di modo che esso non rimanga un “ricordo incistato” né nella persona ,né nella collettività che lo ha subito .

Il lutto è un processo essenziale della psiche, fondamentale nello sviluppo dell'individuo, nelle varie età della vita, nelle famiglie e nella cultura [essi] si situano a un crocevia […] questo crocevia si affaccia sul collettivo, sull'intrapsichico e sull'interattivo, sullo sviluppo e sulla sofferenza e, infine, sui due assi opposti del creativo e del patologico.249

La morte di una persona costituisce uno dei dolori più forti che si possa affrontare, ma lentamente il dolore viene a diminuire nel tempo. Elaborando il lutto l'oggetto perduto forma un nuovo status.

La perdita di un essere caro è, certamente, una delle prove più difficili che un essere umano debba affrontare. Tuttavia il dolore che essa provoca per quanto sia profondo e terribile, si attenua e poi sparisce con il tempo. Ossia, poco per volta, i legami che univano il dolente al suo oggetto esterno vengono trasferiti all'interno del soggetto, dove l'oggetto perduto trova un nuovo status, grazie al lavoro del lutto.250

L'autrice Marina Sozzi in Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia del

249

Racamier P., Il genio delle origini, cit., p.35

250

2009, riporta un saggio di Robert Hertz del 1907 Contribution à une étude sur la

représentation collective de la mort, nel quale:

[L'autore] elaborò un complesso modello interpretativo dei riti

mortuari, nel quale le pratiche legate al corpo morto, all'anima e ai sopravvissuti risultano strettamente intrecciate.251

Vi è una dualità nel lutto: una presenza spirituale e di guida. Essa è un doppio ruolo del lamento funebre che rende possibile il passaggio da uno stato psichico all'altro. De Martino sostiene che:

Il lamentarsi appartiene cioè ad una presenza rituale del pianto che può essere a volontà evocata, mantenuta e sospesa, ovvero sostituita con una opposta presenza rituale della lasciva e ammette una relativa dualità fra la presenza rituale e la presenza di guida, una dualità tecnica che non fa avvertire il contrasto e che rende possibile il “salto” da uno stato psichico all'altro.252

Sempre alla base della teoria di Hertz vi è il concetto che:

[…] la morte non si limiti a dissolvere l'esistenza fisica dell'uomo, ma

ne distrugga l'essere sociale, che si salda sulla sua individualità fisica. É concettualmente errato considerare la morte come un fenomeno

251

Sozzi M., Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia, Laterza, Roma- Bari, 2009, p. 109

252

“naturale”: la morte è sempre uno scandalo, un attacco all'integrità della società, che si considera perenne e che vorrebbe trasmettere le sue caratteristiche di immortalità anche ai suoi membri. Per questo non vi è società al mondo che non cerchi di rispondere alla perdita dei suoi membri […].253

Sironi nelle terapie a pazienti che hanno perso i loro cari suggerisce un “trattamento dei morti”, nei quali i defunti senza una tomba, vengono simbolicamente seppelliti dal paziente nella terapia. Questo processo è essenziale perchè i vivi continuino la loro esistenza. Il mancato compimento della sepoltura comporta una irrisolta elaborazione del lutto, che porterà al parassitare dei morti, nella psiche dei vivi.

Il trattamento dei morti (morti male) che vengono a parassitare l'intelligenza dei vivi; all'occorrenza verrà proposta la loro identificazione (la morte di persone care, la morte di nemici in combattimento, che ha lasciato il segno sul paziente) e il ricorso a rituali religiosi o laici, al fine di separare il mondo dei vivi da quello dei morti. Bisogna “uccidere” la persona morta male, far sì che sia veramente “defunta” e lasciar vivere in pace i vivi.254

De Martino in Morte e Pianto rituale evidenzia gli aspetti culturali del lutto, o

253

Sozzi M.,Reinventare la morte, cit., p. 110

254

meglio la possibilità di avere e mantenere una società sana attraverso l'“arte” del lutto condiviso e ritualizzato. Il mito del lamento funebre serve a mettere in ordine nel caos delle emozioni conseguenti il planctus irrelativo che sveglia dalla “ebetudine stuporosa”, forse è possibile dire che è l'azione dell'apollineo e del dionisiaco, ciò che fa nascere la poesia.

Il lamento funebre è un modello di comportamento fondato dalla società e che viene conservata dagli usi e dai costumi delle popolazioni. L'autore afferma che è una particolare tecnica del piangere che ricostituisce lo strazio culturale Il lamento funebre è appunto una pratica ritualizzata che viene inscritta in una sfera mitica.

[...] noi consideriamo il lamento funebre innanzi tutto come una

determinata tecnica del piangere, cioè come un modello di comportamento che la cultura fonda e la tradizione conserva al fine di ridischiudere i valori che la crisi del cordoglio rischia di compromettere. In quanto particolare tecnica del piangere che riplasma culturalmente lo strazio naturale e astorico […], il lamento funebre è azione rituale circosritta da un orizzonte mitico.255

L'elaborazione del lutto, nel pensiero di Giovanni Contini, avviene spesso con il passare del tempo, nel vivere con altri i che non sono stati lacerati da quel dolore riporta la persona alla sua normalità. Mediante l'indifferenza altrui, il lutto, piano piano viene a farsi meno doloroso.

Poi, mano a mano che il tempo passa, la persona in lutto si viene a

255

trovare sempre più spesso insieme a “altri” del tutto indifferenti al suo dolore, perché immemori, o perché di quel dolore non hanno mai avuto notizia. E la persona in lutto comincia a imparare a non esserlo più, sia pure per brevi momenti, proprio nella relazione con questi altri indifferenti.256

Butler ritiene che nella morte vi sia un duplice aspetto: quello della perdita della persona cara, ma anche quella del mutamento, che avviene nel sopravvissuto dopo quella esperienza. Il lutto, secondo l'autore, probabilmente è legato alla disposizione al cambiamento a seguito della morte.

Forse […] piangiamo la scomparsa di qualcuno nel momento in cui realizziamo che questa perdita è qualcosa che ci cambierà probabilmente per sempre. Forse il lutto ha a che fare con la disposizione a subire una trasformazione […] i cui effetti nessuno può conoscere in anticipo. C'è la perdita, come è ovvio, ma c'è anche la trasformazione prodotta dalla perdita, che invece non può essere pianificata o abbozzata.257

Freud in un altro saggio del 1915 scriverà, sempre su questo tema, che è estremamente comprensibile come un individuo possa sentirsi stranito di fronte ad un mondo che conosceva e che improvvisamente è divenuto straniero ai suoi occhi, ai suoi ricordi. Tutto ciò che questa persona insieme alla sua collettività

256

Contini G., La memoria divisa, cit., p. 206

257

aveva costruito era andato distrutto. Come si può di fronte ad un tale cambiamento rimanere immutati? Infatti non dobbiamo stupirci su come la sfera che pertiene alla collettività si ripercuota sull'ambito privato. Freud appunto identifica nella “coscienza morale” l'origine della “angoscia sociale”.

Né possiamo meravigliarci se il rilassamento di tutti i vincoli morali tra le individualità collettive del genere umano si ripercuote anche sulla moralità privata, posto che la coscienza morale […] altro non è alle origini che “angoscia sociale”. Come può, il cittadino [che ha

subito violenze collettive] non sentirsi smarrito in un mondo che gli è

divenuto straniero: la sua grande patria è distrutta, il patrimonio comune devastato, i concittadini divisi e umiliati..258

Mentre il lutto viene elaborato e la persona morta, sottratta alla frequentazione quotidiana, diventa un elemento del mondo interiore del sopravvissuto, contemporaneamente il trauma della perdita viene dimenticato per periodi sempre più lunghi, proprio grazie all'esistenza di un contesto sociale inconsapevole della tragedia […].259

258

Freud S.,Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, cit. pp.127-128

259

Conclusioni

Alla grande illusione dell'età dei lumi di poter sollevare, grazie alla ragione, l'umanità dalle sofferenze, dagli odi e dalle differenze,si può forse pensare di poter sostituire la dimensione umanistica della pietas, della coltivazione dell'empatia, dell'intelligenza emotiva, ma soprattutto del conosci te stesso socratico. Infatti è solo conoscendo sé stessi, le proprie emozioni, l'infinito caleidoscopio dei moti dell'animo umano, la capacità di tollerarne le contraddizioni e accogliendo la loro caratteristica di “tsunami emotivi” che si può sperare di far crescere un individuo sano, una società sana.

In ogni caso il passato non può essere rimosso ed ogni volta, di fronte alla lezione della storia dovremmo, con Bion, chiederci se si è stati capaci di “apprendere dall'esperienza”. Come si evidenzia chiaramente nella tavola di Maus di Art Spiegelman, anche essere stati ad Auschwitz, aver vissuto esperienze di violenze drammatiche basate sulla logica perversa della discriminazione etnica, permette davvero di capire?

Il padre dell'artista si arrabbia con la nuora perché ha dato un passaggio ad uno

Schwarster, un uomo di colore, nei cui confronti mostra tutto l'odio ed i pregiudizi

razziali di cui egli stesso ed il suo popolo è stato vittima.

Oh, Fletch, non è mica per questo che li ami! È chiaro

che non ami la cattiveria e l'odio, questo no. Ma bisogna esercitarsi a discernere il vero gabbiano, a vedere la bontà che c'è in ognuno, e aiutarli a scoprirla da se stessi, in se stessi.

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