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Necessità di elaborare

Capitolo 5. L'oblio dopo la tragedia: La cura del trauma

5.1. Elaborare il trauma

5.1.1. Necessità di elaborare

Spesso l'elaborazione collettiva spinge ad anestetizzare il dolore attraverso risposte maniacali, razionalizzazioni; ma il dolore, la sofferenza, la follia, ricordano invece la necessità di elaborare quel vissuto attraverso la condivisione, il ricordo di tradizioni e la solidarietà. Questa elaborazione tiene conto dei diversi vissuti del singolo e riesce ad inserirli nel contesto di tradizioni collettive, ideali, simboli e valori.

L'opera di elaborazione delle atrocità rispetto agli orrori delle grandi guerre avviene attraverso la comprensione degli eventi, che analizzati solo a livello razionale, lasciavano in ombra tutti quei vissuti personali ed individuali che avevano caratterizzato la storia di ogni vittima.

A volte l'orrore era stato talmente doloroso che non era stato possibile per gli individui avvicinarsi al contenuto emozionale che tali ricordi avrebbero potuto evocare, le società spesso operano una rimozione sistematica rispetto agli orrori delle grandi guerre.

Molti testimoni erano bambini, che sono cresciuti e diventati i nostri padri oppure nonni. La psiche immatura di un bambino è molto meno protetta rispetto a quella di un adulto e senza aver elaborato questi meccanismi l'uomo ha continuato ad agire con coazioni a ripetere, malattie psicosomatiche, trasporti tramandati alle generazioni future.

Elaborare il trauma collettivo comporta senz'altro il perseguire una strada simile a quella dell'elaborazione del lutto, ma essenzialmente più complessa perché, se il lutto è un aspetto che appartiene al senso stesso della vita, il trauma rimanda ad atti di violenza inaudita, alla cancellazione della dignità e del valore umano da parte di altri individui. Il trauma rimanda al sopruso di un uomo su un altro e comporta sempre il risentimento, aspetto che, al contrario, appartiene al lutto, se patologico.

Il trauma si incista nel profondo della persona, che con il passaggio del tempo rimarrà profondamente traumatizzata dagli avvenimenti subiti. Saranno necessari anni ed anni di cure per poter guarire l'individuo.

Col tempo la vittima potrà anche condurre una vita normale accanto ai suoi contemporanei, ma è comunque segnata. In modo indelebile la violenza le ha impresso il suo marchio. Spesso servono anni di cure, affinché la vittima della violenza possa in qualche modo riprendersi.223

La vittima di un'atrocità ha bisogno di indagare ed elaborare le esperienze subite, di comprendere le motivazoni delle violenze, capire il motivo della loro sopravvivenza ed accettarla. A seguito di avvenimenti traumatici i superstiti necessitano di comprendere i tratti della violenza perpetuata su di loro ed elaborarli successivamente.

I sopravvissuti hanno bisogno di capire i tanti perché insiti

223

nell'esperienza del trauma, il perché della violenza subita, il perché della propria sopravvivenza e della morte altrui. Insomma una strage costringe le sue vittime a fondare il lavoro del cordoglio non solo sulla perdita, ma anche sugli antefatti della stessa.224

Sironi lavorando con i superstiti di torture, afferma che gli stessi, durante il trattamento terapeutico, devono indagare a fondo le pratiche della violenza subita. È necessario per il paziente lavorare su tali caratteristiche, tralasciare quell'argomento sarebbe molto nocivo. Se l'analista non indagasse le forme della tortura, contribuirebbe a lasciare il superstite intrappolato nella violenza. Nella psicoterapia bisogna sciogliere tutti i meccanismi innestati al momento della tortura. Il torturato viene disaffiliato dal mondo, viene creato un soggetto non più in grado di vivere; non trattando le violenze l'analista contribuisce alla distruzione del paziente.

Evitare di parlare della tortura e dei suoi metodi per “risparmiare un nuovo trauma alla vittima” è un grave errore. [...] Occultando i meccanismi di distruzione identitaria ed evitando di analizzarli, il terapeuta contribuisce senza volerlo a far sì che il paziente resti prigioniero, attraverso il trauma indotto, dell'influenza interiorizzata e distrutrice del torturatore. […].

È necessario comprendere la vasta costellazione di sentimenti ed emozioni che si

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amalgamano, si confondono nel vissuto di chi ha subito una violenza. La questione diventa esponenziale nel momento in cui vittime del trauma non sono singoli individui, ma intere collettività. Vi è bisogno in questi casi di “un'antropologia del sottosuolo” che ascolti quelle violenze, lutti e torture: è necessario ascoltare i messaggi di aiuto di quelle popolazioni.

L'antropologia del sottosuolo qui abbozzata vuole pensare un concetto di sofferenza e di cura che 'corrisponda a questo fatto' e intende farlo ascoltando i linguaggi dell'inquietudine provenienti da quelle esperienze (torturati, rifugiati, emigrati) e da quelle regioni del mondo dove la follia della storia e la sofferenza individuale si sono inesorabilmente avvinte l'una all'altra.225

Sironi, lavorando con le persone vittime di tortura, aveva osservato che alcune di esse sviluppavano un forte senso di autosvalutazione ed autodistruzione, molto più accentuato rispetto ad altri pazienti. Investigando questi due aspetti, ella aveva ricondotto i sintomi ad una tortura specifica, la “sospensione per i piedi”. Tale tortura è un metodo molto doloroso nel quale la vittima rimane sospesa per i piedi a lungo. Piano piano tutto il peso del corpo si sposta verso le parti superiori del corpo ed i torturati subiscono un doloroso soffocamento dall'interno, dovuto alla pressione degli organi. Come conseguenza di questo metodo di tortura le vittime sono caratterizzate da una forte auto-svalutazzione, proprio per il meccanismo indotto da questo auto-soffocamento interiore. Questa tortura viene tradotta nella

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psiche dell'individuo attraverso “canali sensoriali non verbali” e tormenterà l'individuo ogni volta ci sarà qualcosa a ricordare tale evento: per esempio un odore, il ritmo affannato del proprio cuore. È necessario quindi, a seguito di una tortura indagare le caratteristiche della stessa, al fine di comprendere le conseguenze psicologiche subite dalla vittima.

Fra le persone vittime di tortura che ho trattato, avevo notato che alcune sviluppano comportamenti di autosvalutazione e di autodistruzione (fisica o psichica) […] Tutte avevano conosciuto il metodo della sospensione per i piedi. [...] si tratta di un metodo

dolorosissimo, che provoca un progressivo soffocamento.

Analizzando con loro la natura precisa del dolore, ci è parso di capire che il soffocamento sia provocato dal peso dei loro stessi organi interni. Le persone soffrono e soffocano dall'interno.226

La presenza dell'analista è fondamentale nella cura del trauma il quale ricollega le narrazioni esteriorizzate dal paziente ed è in grado di ricostituire il “legame mancante” tra il ricordo e la comprensione del trauma.

[Il paziente non ricorda se] la rappresentazione non è mai esistita o [...] non è stata integrata nel suo spazio psichico. In entrambi i casi la

costruzione dell'analista fornisce un legame mancante.227

226

Sironi F., Violenze collettive, cit., p.64

227

Dopo aver subito la tortura, la psicologia dell'individuo non rimane immutata. Lo psicoterapeuta deve riuscire a comprenderla e a lavorare su di essa. Generalmente la psiche del sopravvissuto è parassitata dal persecutore interno, il quale continua ad agire la tortura sulla vittima. Il compito del terapeuta è riuscire a sciogliere questo legame con la tortura subita, che perseguita l'individuo anche nel presente.

Sotto tortura, la psicologia di un individuo non è la stessa che in condizioni “normali”. È questa particolare psicologia che il clinico deve riuscire a capire per poter agire con efficacia, attraverso la psicoterapia, sull'individuo traumatizzato dalla tortura, sul suo sistema di pensiero parassitato da quello del torturatore.228

Ligabue afferman che per “ritrovare il senso” è necessario ritessere i legami del sopravvissuto con la comunità. Bisogna ricostituire l'esperienza personale dell'individuo e della società in cui è inserito, attraverso la narrazione del vissuto.

Molti sono dunque i modi del soggetto e del contesto di rispondere al trauma, ma per «ritrovar senso» dobbiamo ricondurci alla radice intersoggettiva dell'esperienza umana, occorre ri-costruire i legami della persona con sé e con il mondo.Per la ripresa del proprio posto nel mondo va ri-costituito l'orizzonte dell'esperienza personale e soggettiva in rapporto ad altri soggetti. Il linguaggio e la narrazione ne costituiscono il tramite elettivo: il filo con cui ri-tessere la trama

228

della narrazione esistenziale del soggetto.229

I pensieri che si sviluppano nella tortura sono diversi rispetto a quelli della vita quotidiana, in quella condizione essi sono costruiti assieme alla paura, sono concentrati sul corpo, sugli organi sofferenti. La concentrazione della persona è rivolta al dolore, ogni pensiero è concentrato sul dolore. Subentra nel pensiero dell'individuo il senso di autosvalutazione a seguito delle affermazioni del boia. Il torturato si sente responsabile per la tortura subita, egli si convince erroneamente di meritarsi tali sofferenze.

Il pensiero in una situazione di dolore e soffocamento è “ottuso”, esclude spesso gli aspetti sofisticati [...] Tutta l'attenzione è focalizzata sul dolore, la facoltà di pensare è obnubilata dal dolore. Nella tortura della sospensione per i piedi, sotto l'effetto dello spasmo provocato dai propri stessi organi il pensiero della responsabilità del torturatore entra in cortocircuito. Così si imprime nella mente la convinzione erronea della propria responsabilità. Peggio ancora:in alcuni casi questa rappresentazione della colpa indotta dal metodo di tortura entra in risonanza con la rappresentazione instillata continuamente e con forza dai torturatori: “Sei solo una merda!”.230

Autorizzare il paziente a ricordare è il termine che Ricoeur riprende dalla psicoanalista Marie Balmary:

229

Ligabue S., Rispondere al trauma, cit.

230

[…] l'evocazione dei ricordi traumatici da parte del paziente non va

da sé, ma incontra ostacoli che solo l'intervento di un terzo può aiutare a superare: di costui che si può dire che “autorizza” il paziente al suo ricordo […] Tale autorizzazione consiste nell'aiutare il paziente […] a portare a linguaggio i sintomi, fantasmi, sogni, eccetera.231

A rimettere in parole qualcosa che altrimenti resterebbe indicibile, soffocato dalla memoria del corpo e dall'ammutolimento portato dal terrore e dal vissuto di impotenza estremo.

I sintomi rintracciano l'intenzionalità malevola applicata durante la violenza e hanno un senso logico. Sironi li suddivide in tre tipologie: la prima testimonia l'effrazione della psiche, caratterizzata dalla perdita di controllo delle emozioni , della siderazione e la presenza di problemi psicosomatici; l'effrazione psichica porta alla perdita di controllo della propria interiorità.

La seconda costituisce la testimonianza dell'interiorizzazione dell'aggressore: spesso i sintomi simboleggiano la lotta del sopravvissuto contro il carnefice e sono caratterizzati da una forte svalutazione del sé, autocolpevolezza, mutamento interiore, deficit della memoria e molti altri ancora.

Gli ultimi costituiscono i tratti antisociali nei quali risiede la lotta dell'individuo contro i meccanismi del boia, che portano a una ipervigilanza, disturbi del sonno, iperreattività a livello fisiologico del sistema immunitario.

231

[I sintomi dell'effrazione psichica sono:] la siderazione, la perdita di controllo delle emozioni, i problemi psicosomatici […][I sintomi dell'interiorizzazione del torturatore sono:] svalutazione del sé, senso di colpa, cambiamento di personalità, dubbi, indecisione, tristezza, fatica, aggressività incontrollata[...][I sintomi derivanti dalla lotta del

paziente contro l'aggressore interiorizzato:] la diffidenza,

l'ipervigilanza e i disturbi del sonno, l'iperreattività del sistema immunitario, la comparsa di un'aggressità difensiva […].232

Freud ci descrive il sintomo in questi termini:

Sappiamo già dell'osservazione di Breuer che l'esistenza del sintomo presuppone che un qualche processo psichico non sia stato portato a termine in modo normale e tale da consentirgli di diventare cosciente.233

Anche John Jonas ha riscontrato alcuni sintomi in comune con quelli sopradescritti da Sironi, come rappresenta in questo articolo a seguito dell'attentato agli edifici degli uffici federali di Oklahoma City, avvenuto il 19 aprile 1995.

I sintomi più visibili in questa particolare popolazione furono:

232

Sironi F., Violenze collettive, cit., pp.68-69

233

ipervigilanza, ipersensibilità, labilità, ricordi ricorrenti ed intrusivi dell'evento, incubi, stress psicologico intenso e reazioni fisiologiche in seguito all'esposizione a stimoli interni e/o esterni. Vi furono molti comportamenti di fuga per evitare gli stimoli "attivatori". Oscurità, forti rumori, fumo, persone sconosciute e camion Ryder furono tra i principali stimoli ansiogeni. Le sensazioni erano attutite, il futuro sembrava quasi non esistente, e fu comune la perdita di interesse nelle attività abituali. Furono presenti anche molti sintomi di depressione, compresi i disturbi del sonno, dell'appetito e l'irritabilità. Le reazioni di lutto furono intense e prolungate.234

La somatizzazione è la traduzionne di un trauma in uno sintomo corporale. Stekel negli anni '20 riprese il meccanismo di conversione, un concetto utilizzato da Freud e da Breuer, che spiegava la nascita e l'evolversi di sintomi nell'isteria.

Stekel (1924) introdusse il termine somatizzazione (somatisieren) agli inizi degli anni '20, grosso modo nello stesso periodo in cui fu consultato da Kazantzakis, definendolo come "conversione degli stati emotivi in sintomi fisici" . Stekel concepiva dunque la somatizzazione come equivalente del meccanismo di conversione, usato da Breuer e Freud (1895) per spiegare lo sviluppo di sintomi sensoriali o volontari motori nell'isteria.235

234

Jonas J., (1999), Mental Health Intervention in the Aftermath of a Mass Casuality Disaster, in Traumatology

235

Taylor G. J., Somatization and conversion: Distict or overlapping constructs?, in Journal of the American Accademy of Psychoanalist and Dynamics Psychiatry, 2003; 31 (3), pp.487-507

L'interiorizzazione del torturatore riporta nella seduta la presenza di un terzo assente: il boia. La presenza del carnefice si può percepire da un'aggressività molto forte del paziente che deve impegnarsi a far espellere dal paziente il carnefice interiorizzato.

Le sedute con i pazienti che sono sottoposti a gravi tentativi di disumanizzazione sono molto faticose sia per i pazienti, sia per i terapeuti. La presenza del terzo assente, cioè il torturatore, il boia, il sistema distruttore, è palpabile. Diventa presente nella relazione attraverso un'aggressività incontenibile [...]. Allora il terapeuta deve ricorrere a tutta la sua energia, a tutta la sua vitalità e alla sua umanità per riportare il paziente all'interno del legame terapeutico, per captare la sua attenzione e sottrarlo all'influenza delle forze distruttrici che sono ancora attive.236

A seguito delle violenze collettive si riscontra nel sopravvissuto un cambiamento di personalità, che investe gli stessi individui ma anche l'ambiente che li circonda. L'analista ha il compito di studiare tali mutamenti e accompagnare il paziente nel proprio cambiamento, essendo impossibile che la vittima rimanga immutata a seguito di una violenza collettiva e che torni ad essere la persona che era prima del trauma.

[…] uno dei sintomi patognomonici dei traumi intenzionali è il

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cambiamento di personalità. È riferito sia dai pazienti sia dai componenti del loro ambiente familiare e sociale. Bisogna studiare questo cambiamento nei suoi dettagli al fine di precisare il profilo della metamorfosi dovuta all'impiego di tecniche traumatiche, di accompagnare i pazienti nella loro metamorfosi[…].237

Si pone la necessità di riumanizzare il paziente durante la terapia, attraverso alcuni procedimenti, come per esempio riprodurre specularmente i procedimenti del persecutore interiorizzato. Il terapeuta deve scatenare una reazione violenta attraverso la quale sia in grado di rompere il legame con il persecutore.

Il passaggio da uno stato di disumanizzazione a uno stato di riumanizzazione avviene attraverso procedimenti particolari [attraverso] i procedimenti speculari, che consentono nel riprodurre specularmente quello che fa la paziente quando è agito dal persecutore interiorizzato, ma in maniera non screditante. L'obiettivo tecnico è quello di scatenare una reazione violenta che consenta di spezzare il processo distruttivo.238

5.1.2.. Azione terapeutica: comprendere la violenza

Il trauma non è quindi semplicemente la conseguenza di “uno stoccaggio inadeguato”, di impressioni e ricordi, ma comporta il linguaggio del terrore, del risentimento, dell'azione compulsiva e della follia. Ricostruendo le violenze delle

237

Sironi F., Violenze collettive, cit., pp.69-70

238

vittime e vivendo il loro trauma, bisogna sforzarsi di capire il terrore, la paura e il dolore per poter aiutare i superstiti. Secondo Michael Taussing bisogna fare lo sforzo di capire il terrore in prima persona, per farlo poi comprendere agli altri.

Bisogna fare lo sforzo di comprendere il terrore, per farlo comprendere agli altri.239

Il medico, l'antropologo o lo psicologo attraverso l'ascolto non incontrano nei sintomi e nelle cicatrici, virus, ma le lacerazioni. Non si può curare un trauma pensandolo come un'infezione, esso tocca nel profondo dell'intimità di una persona, cambiandola per sempre.

Beneduce afferma che in queste cicatrici ritrova tutta la cattiveria e la brutalità. Per questo motivo è importante capire da permettere che certi terrori non vengano più ripetuti.

[...] perché lo sguardo medico o l'ascolto psicologico che dà nome alle

conseguenze di torture, massacri o violenze, incontra, nelle pieghe di cicatrici e sintomi […] non le tracce di un virus, non la persistente impronta di una frattura provocata da una caduta accidentale o l'ustione determinata da un'eruzione vulcanica […], ma [trova] la presenza, [del] l'intenzionalità distruttiva dell'uomo stesso.240

Comprendere la violenza, l'impatto psicologico della tortura significa per il

239

Taussing M., Cultura del terrore, spazio della morte, in Dei F., a cura di, Antropologia della violenza, cit., p.8

240

terapeuta intraprendere un cammino difficile e complesso che comporta la messa in gioco di tutti i canoni tradizionali di equilibrio, razionalità e logica. È un cammino pericoloso che si imbatte sempre in qualcosa che resta al di là della narrabilità, che comporta la scissione tra parti del sé e frammenti del corpo. Una scissione frammentata, confusa, che va al di là della “liturgia delle parole”. Riportando la sua esperienza di terapia con Pablo, Beneduce raccoglie e riporta le proprie impressioni durante l'ascolto del suo paziente latino-americano. Rivisitando gli strumenti di tortura, le applicazioni di essi, le umiliazioni, il terrore, vengono ripescati incoerentemente i vissuti, in un modo che Beneduce descrive come “singolarmente vivido”. Secondo l'autore esso contrasta con il disordine in cui vengono riportati alla luce questi ricordi, è quasi come se mancasse la capacità, o la volontà, di comporre un discorso logico. Forse, secondo l'antropologo, il racconto è già in quei discorsi spezzati. In ogni silenzio, ogni pausa è racchiuso quel dolore che non può essere detto, che però è radicato dentro la persona.

Per quanto il racconto porti con sé margini immensi di aspetti innenarrabili, per quanto le immagini resistano alla loro trasformazione in narrazione, l'ascolto empatico di un terapeuta, la sua attenzione, la sua capacità di accogliere il rischio di un'esperienza frantumata e confusa permettono di dire ad un altro essere umano ciò che a lungo è stato detto solo a sé stessi, come appunto nel caso di Pablo, riportato nel testo di Beneduce. Quante volte, si chiede l'autore, deve essersi raccontato gli avvenimenti nella sua testa, ripercorrendoli da solo, quante volte si sarebbe voluto ascoltare in presenza di qualcun altro, raccontandogli il proprio vissuto e condividerlo con una persona in grado di poterlo consolare. Quante

volte Pablo avrebbe avuto bisogno di sfogarsi e raccontare i propri avvenimenti per riportarli alla luce con qualcuno e liberarsene?

Pablo […] è contento di riuscire finalmente a rievocare quei fatti, a trovare qualcuno con cui poterne parlare. Quante volte, mi chiedo, deve essersi raccontato quegli episodi e quei momenti da solo? Quante volte avrebbe voluto ascoltarsi alla presenza di qualcuno?.241

Primo Levi in I sommersi e i salvati sostiene che:

Chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per rinnovare il dolore; chi ha ferito ricaccia il ricordo nel profondo per liberarsene, per alleggerire il senso di colpa.242