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Nonostante le affinità ricordate, sussistono delle differenze fondamentali tra l'«irrilevanza» del processo minorile e la«particolare tenuità» del rito innanzi al giudice di pace.

Dalla comparazione dei presupposti dettati ai fini dell'applicabilità dei due istituti emerge, ad esempio, che il legislatore delegato del 2000 si è preoccupato di descrivere le caratteristiche del reato bagatellare ex art. 34 d.lgs. n.274/2000 con un'accuratezza definitoria maggiore rispetto a quella impiegata per l'art. 27 d.P.R. n.448/1988, al punto che uno stesso illecito può risultare irrilevante per un imputato minorenne, ma non particolarmente tenue per uno di maggiore età.

In luogo di un riferimento sintetico all'esiguità del reato, nel contesto del giudice di pace è stata preferita una definizione analitica che include una pluralità di criteri interni ed esterni al fatto e al suo autore, tutti sussistenti affinché l'illecito possa giudicarsi di particolare tenuità.224 Il rischio di genericità sembra, pertanto, attenuato rispetto a

quello sperimentato per l'art. 27 d.P.R. n.448/1988, dove il collegamento tra l'irrilevanza del fatto e gli accertamenti sulla personalità previsti dall'art. 9 d.P.R. n.448/1988, insieme alla flessibilità degli istituti richiesta dal principio di adeguatezza, ha condotto a declaratorie di irrilevanza fondate sui parametri più eterogenei.225

Il primo criterio previsto dall'art. 34 d.lgs. n.274/2000 è costituito dall'esiguità del danno o del pericolo cagionato dalla condotta dell'agente. Tale presupposto richiede un giudizio di relazione tra il bene giuridico protetto e l'aggressione ad esso perpetrata.226 Assume

rilievo, in sostanza, il disvalore di evento. Pertanto, l'interpretazione 224 E. MATTEVI, C. PONGILUPPI, N. VENTURA, Irrilevanza del fatto: profili

sostanziali e processuali, cit., p. 60.

225 C. CESARI, Deflazione e garanzie nel rito penale davanti al giudice di pace, cit., p. 738.

dell'irrilevanza minorile, che ritiene necessario anche il riferimento alle modalità della condotta, dunque al disvalore di azione, sembrerebbe non applicabile al rito davanti al giudice di pace.227

Tuttavia, la dottrina maggioritaria considera ingiustificabile l'esclusione di qualsivoglia richiamo ai profili della condotta e giunge a negare l'applicazione dell'art. 34 d.lgs. n.274/2000, ad esempio, nel caso di danneggiamento che abbia procurato un danno lieve ma che sia stato cagionato mediante l'impiego di mezzi insidiosi. Si tende, quindi, a prediligere un'interpretazione estensiva, oppure a far ricadere una simile condotta nel criterio rappresentato dal grado della colpevolezza.228 Quest'ultimo, non espressamente valorizzato in ambito

minorile, sembra richiamare l'art. 133, comma 1, n.3 c.p., menzionando uno degli indicatori cui si ricorre normalmente al fine di valutare la gravità del reato. Tale parametro richiede livelli minimi di adesione psicologica del reo all'illecito, come nei casi di dolo d'impeto, dolo eventuale, colpa lieve, o di situazioni semi-scusanti.

L'unico presupposto che appare ricavato direttamente dall'art. 27 d.P.R. n.448/1988 è l'occasionalità della condotta. Esso si presta alla stessa interpretazione avanzata in ambito minorile, divisa tra una lettura «cronologica» e una «psicologica». Nei confronti di soggetti adulti, tuttavia, risulta più difficile constatare l'occasionalità psicologica, data la fisionomia del rito, in cui le verifiche sulla personalità dell'imputato hanno applicazione ridotta. Meccanismi probatori volti ad esplorare le caratteristiche psicologiche dell'imputato sono predisposti, invece, per il processo minorile, ove l'art. 9 d.P.R. n.448/1988 consente gli accertamenti sulla personalità, in deroga al divieto sancito dall'art. 220, comma 2 c.p.p..

227 In realtà, la Relazione al d.lgs. n. 274/2000 ha ammesso che la valutazione possa avere ad oggetto anche il disvalore della condotta nei reati sprovvisti di evento naturalistico o caratterizzati dalla rilevanza delle modalità della lesione. Tale interpretazione consente di evitare l'inaccettabile esclusione dei reati di pura condotta dall'ambito di operatività della norma.

Infine, il rischio di compromettere le esigenze educative del minore di cui all'art. 27 d.P.R. n.448/1988 diviene, nel contesto del giudice di pace, il pericolo di recare pregiudizio alla salute, allo studio, alla famiglia o alla salute dell'imputato maggiorenne. La probabilità di danno è la stessa ma i beni giuridici da tutelare sono individuati alla luce delle diverse caratteristiche del protagonista della vicenda giudiziaria.

Il parametro, tuttavia, appare inadeguato in un processo non plasmato sul principio di minima offensività, né orientato al contenimento dell'«effetto etichettamento». Se nel quadro del processo minorile il riferimento alle esigenze educative trova un fondamento costituzionale nella tutela della gioventù ex art. 31 Cost., per l'adulto non sembra possibile una lettura incentrata sulla finalità educativa del processo.229

Inoltre, mentre nel rito minorile un simile presupposto è disegnato su caratteristiche condivise da tutti gli imputati cui è applicabile l'art. 27 d.P.R. n.448/1988, minorenni e dunque dotati di una personalità in

fieri, il pregiudizio configurato dall'art. 34 d.lgs. n.274/2000 potrebbe

scontrarsi con i principi di uguaglianza e tassatività (artt. 3 e 25 Cost.). La valorizzazione della possibilità di danno alla vita di relazione potrebbe, infatti, discriminare soggetti lontani da modelli relazionali classici, privi di un nucleo familiare stabile, di un lavoro o di un impegno di studio.230

Una simile censura può essere temperata solo sostenendo che il legislatore abbia utilizzato l'avverbio «altresì» per attribuire al parametro in questione una funzione meramente chiarificatrice; non lo avrebbe, in sostanza, configurato come condizione imprescindibile per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Dunque, la norma 229 E. MATTEVI, C. PONGILUPPI, N. VENTURA, Irrilevanza del fatto: profili

sostanziali e processuali, cit., p. 74.

230 C. CESARI, Deflazione e garanzie nel rito penale davanti al giudice di pace, cit., p. 740; E. MATTEVI, C. PONGILUPPI, N. VENTURA, Irrilevanza del fatto: profili sostanziali e processuali, cit., p. 75.

si limiterebbe ad ammettere l'impatto negativo del processo per un reato di lieve entità sull'insieme delle relazioni sociali dell'imputato. La povertà del contesto relazionale non potrebbe impedire il proscioglimento ex art.34 d.lgs. n.274/2000, in presenza degli altri presupposti.231

Completata la comparazione dei presupposti, occorre ribadire che la principale differenza tra l'«irrilevanza» del processo minorile e la «particolare tenuità» del rito davanti al giudice di pace è da cogliersi nella natura giuridica della clausola stessa, di cui si è già ampiamente trattato. Resta da ricordare che le due formule terminative, causa di non punibilità o di improcedibilità, non definiscono il procedimento con lo stesso livello di definitività.

L'assenza di una condizione di procedibilità può valere già come causa di archiviazione, con un notevole risparmio di tempo e di energie. Tuttavia, il provvedimento archiviativo, specialmente se fondato sul difetto di una condizione di procedibilità, è dotato di scarsa efficacia preclusiva, giacché il sopravvenire della condizione insussistente al momento della definizione del procedimento consente l'esercizio dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la stessa persona (art. 345 c.p.p.). Tale possibilità desta particolare preoccupazione se valutata alla luce dei caratteri dell'istituto di cui all'art. 34 d.lgs. n.274/2000, dal momento che il giudizio di tenuità si fonda su parametri contraddistinti da ampi margini di discrezionalità. L'imputato che ha ottenuto il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, dunque, non può escludere che una nuova valutazione degli elementi disponibili, oppure di dati emersi in un momento successivo, 231 G. DI CHIARA, Esiguità penale e trattamento processuale della «particolare tenuità del fatto», cit., p. 356 propone l'esempio del furto d'uso di cosa di modico valore, appartenente ad un estraneo, commesso da un diciottenne che lavori nell'impresa familiare. L'applicazione dell'art. 34 d.lgs. n.274/2000 non sarà, in tal caso, impedita dall'assenza di pregiudizio recato dal processo alle esigenze di lavoro, di famiglia, di studio e di salute, una volta acclarata la bagatellarità del fatto e del suo autore.

conduca all'esercizio dell'azione penale.232

D'altra parte, alcuni degli indicatori della particolare tenuità sono soggetti ad evoluzione e quelle situazioni per le quali il processo potrebbe risultare dannoso in un dato momento, in seguito potrebbero essere al riparo da conseguenze pregiudizievoli. È il caso, ad esempio, delle esigenze di studio dell'imputato, che vengono meno con l'abbandono o la conclusione del percorso scolastico.233

Se l'istituto di cui all'art. 34 d.lgs. n.274/2000 fosse stato costruito come una causa di non punibilità, sull'esempio dell'irrilevanza del fatto del rito minorile, sarebbe stato al riparo da simili problematiche, dal momento che la verifica della sussistenza di una causa di esenzione della pena richiede l'esercizio dell'azione penale.234 Evidentemente, il

legislatore delegato ha inteso privilegiare le ragioni di economia processuale.

Da ultimo, nella rassegna degli elementi di divergenza tra gli istituti di cui agli artt. 27 d.P.R. n.448/1988 e 34 d.lgs. n.274/2000, occorre accennare alla diversa posizione che la persona offesa assume nell'assetto da essi delineato.

Nel rito minorile, questa deve essere messa in condizione di partecipare all'udienza e, qualora si presenti, deve essere sentita. Il suo 232 C. CESARI, Deflazione e garanzie nel rito penale davanti al giudice di pace,

cit., p. 740.

233 Analoghe perplessità potrebbero essere sollevate con riferimento alla «componente consensuale» della particolare tenuità del fatto. Nello specifico, l'interrogativo sorge rispetto al sopravvenuto interesse alla prosecuzione del procedimento da parte della persona offesa, oppure a fronte di un'opposizione di quest'ultima o dell'imputato manifestata dopo la pronuncia. Tuttavia, è opinione condivisa che la causa di improcedibilità ex art. 34 d.lgs. n.274/2000 non possa essere compromessa da un ripensamento degli interessati.

234 In realtà, la Relazione al d.lgs. n.274/2000 si rivela, sul punto, imprecisa. In essa si puntualizza che il legislatore delegato ha voluto ispirarsi al già noto art. 27 d.P.R. n.448/1988 e ciò lo ha «indotto a configurare la particolare tenuità del fatto come causa di non procedibilità». In questo frettoloso richiamo è da cogliersi l'inesattezza. Si è già ricordato, infatti, che la natura giuridica dell'irrilevanza del fatto prevista nel rito minorile sia stata ampiamente discussa e che la scelta finale, operata nel testo adottato dalla Commissione ministeriale Grosso per il progetto di riforma del codice penale, sia stata a favore dell'inquadramento dell'istituto come causa di non punibilità.

parere, tuttavia, non è vincolante: l'eventuale opposizione non impedisce la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Si ritiene, piuttosto, che la vittima possa contribuire alla valutazione dell'entità del fatto criminoso, comunicando al giudice il modo in cui lo ha vissuto o il comportamento tenuto dall'imputato nei suoi confronti, anche in vista di un'eventuale conciliazione.235

D'altronde, un ruolo così circoscritto dell'offeso è perfettamente in linea con le caratteristiche del processo penale minorile, in cui è assegnata priorità agli interessi del minore. Dunque, la vittima non può evitare che l'imputato esca rapidamente e senza conseguenze dal circuito penale, ma conserva il suo diritto alla tutela giurisdizionale, potendo attivare il processo civile per ottenere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti per effetto del reato. In quella sede, la sentenza ex art. 27 d.P.R. n.448/1988 non ha alcuna efficacia vincolante. Essa non può operare a favore dell'offeso, con riferimento, ad esempio, all'accertata responsabilità dell'imputato; non può far testo neppure sull'entità del danno, che il giudice civile potrebbe ritenere non esiguo.

Ben più ampio risulta, invece, il ruolo riconosciuto alla vittima dall'art. 34 d.lgs. n.274/2000. Il legislatore delegato si è allineato ad un orientamento esistente fin dall'entrata in vigore del codice di procedura penale del 1988, che mira alla rivalutazione della posizione processuale dell'offeso e al rafforzamento dei diritti e delle facoltà esercitabili da costui in ogni stato e grado del procedimento, come previsto dall'art. 90 c.p.p.. In una simile prospettiva, a tale soggetto è stato consentito di poter limitare l'operatività del meccanismo di cui all'art. 34 d.lgs. n.274/2000, malgrado la sussistenza di tutti gli altri presupposti normativi.236

235 C. CESARI, Le clausole di irrilevanza, cit., p. 239.

In realtà, la disposizione contiene due previsioni, a seconda che la declaratoria di particolare tenuità si collochi prima o dopo l'esercizio dell'azione penale. In quest'ultimo caso, la lettera della legge è chiara nel riconoscere alla persona offesa un vero e proprio potere di veto rispetto alla declaratoria di particolare tenuità del fatto. Meno definito, invece, è il modo in cui l'«interesse» dell'offeso alla prosecuzione del procedimento possa impedire l'emissione del decreto di archiviazione nel corso delle indagini preliminare. Tuttavia, è opinione condivisa che in entrambi i momenti la volontà del privato leso dall'illecito penale sia vincolante per il giudice e che la diversa formulazione si possa giustificare ritenendo che il giudicante non sia tenuto, prima della fase processuale, ad interpellare il predetto soggetto, ma unicamente a constatare il tenore di quanto gli «risulta» dagli atti.237

Il ruolo così pregnante riconosciuto alla persona offesa dall'art. 34 d.lgs. n.274/2000 si spiega considerando che la disposizione si inserisce in un modello giurisdizionale che valorizza la conciliazione e la composizione del conflitto tra privati sotteso al reato. Non a caso, quando la Commissione Giustizia del Senato aveva evidenziato l'opportunità di svincolare il giudice dall'ancoraggio alla volontà della persona offesa, il Governo non ha accolto la proposta, replicando che il ruolo della vittima è centrale in tutto il sistema penale del giudice di pace.238

tenuità del fatto», cit., p. 357.

237 C. CESARI, Le clausole di irrilevanza, cit., pp. 239-301.

238 E. MATTEVI, C. PONGILUPPI, N. VENTURA, Irrilevanza del fatto: profili sostanziali e processuali, cit., p. 77.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Per tentare un bilancio conclusivo sull'importanza della clausola di irrilevanza del fatto per l'ordinamento penale minorile, è possibile considerare i dati disponibili sull'applicazione dell'istituto.239

Pur nell'impossibilità di rinvenire dati relativi alla declaratoria di irrilevanza pronunciata in sede dibattimentale, le cifre concernenti i provvedimenti emessi dal g.i.p. o dal g.u.p. presso il Tribunale per i minorenni appaiono già abbastanza significative e mostrano un trend che consente di avanzare ipotesi anche sull'operatività dell'istituto in giudizio. Dall'analisi statistica relativa al periodo 2001-2012 emerge, infatti, che l'applicazione processuale dell'art. 27 d.P.R. n.448/1988 è piuttosto consistente.

In poco più di un decennio, a livello nazionale, sono state emesse ben 41896 sentenze di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto nel corso delle indagini preliminari, con una media che sfiora le 3500 pronunce ogni anno. Addirittura inferiore alla metà, ma comunque considerevole, risulta l'ammontare di definizioni del procedimento ex art. 27 d.P.R. n.448/1988 in sede di udienza preliminare, che si attesta sulle 1425 pronunce annuali.240

Già sulla base di questi primi dati, è possibile effettuare almeno due ordini di considerazioni.

239 Si tratta di dati aggiornati al novembre 2013, forniti dalla Direzione generale di statistica presso il Ministero della Giustizia e pubblicati sul sito del Dipartimento

per la Giustizia Minorile. Cfr.

http://www.giustiziaminorile.it/statistica/approfondimenti/Penale_Analisi_Storica .pdf

240 Nel periodo di riferimento si registrano, su scala nazionale, 17100 sentenze ex art. 27 d.P.R. n.448/1988 emesse dal g.u.p. presso il Tribunale per i minorenni, con una media annuale di 1425 pronunce.

Innanzitutto, il risultato applicativo è pienamente coerente con la ratio dell'istituto. Si tende, infatti, ove possibile, a dichiarare l'irrilevanza del fatto già in corso di indagine, al fine di consentire la rapida uscita del minore dal procedimento e la deflazione processuale.

Inoltre, se questo è l'orientamento generale, è ragionevole supporre che i dati concernenti l'operatività della sentenza in esame in sede dibattimentale, ove disponibili, mostrerebbero cifre ancora ancora inferiori, trattandosi di una fase avanzata del procedimento, in cui è più debole l'effetto di impedimento delle conseguenze pregiudizievoli sulle esigenze educative del minore.

L'esame del quadro complessivo, in aggiunta, consente di concludere che il ricorso all'istituto è in costante aumento, in entrambe le fasi. Sommando tutti i dati a disposizione, si registra un incremento che vede il passaggio dalle 4108 pronunce ex art. 27 d.P.R. n.448/1988 del 2001 alle 5525 del 2012, con una leggera flessione solo nel 2005. In definitiva, si tratta di risultati significativi, che smentiscono chi aveva preannunciato che l'esiguità, indipendentemente dalla natura giuridica prescelta, sarebbe stata destinata ad un'applicazione limitata, dal momento che necessita della ricorrenza di tutte le componenti previste dal modello normativo per poter essere dichiarata dal giudice.241

Non resta che auspicare la prosecuzione della tendenza positiva nel sistema penale minorile e che la clausola di irrilevanza trovi terreno fertile per un possibile impiego generalizzato, al fine di dare risposta efficace al problema dell'ipertrofia del diritto penale.

In realtà, i dati disponibili sull'applicazione dell'art. 34 d.lgs. n.274/2000 non sono altrettanto incoraggianti.242 L'operatività

dell'istituto della particolare tenuità del fatto si è rivelata, infatti, 241 R. BARTOLI, L'irrilevanza penale del fatto tra logiche deflattive e

meritevolezza di pena, cit., p. 106.

242 Cfr. E. MATTEVI, C. PONGILUPPI, N. VENTURA, Irrilevanza del fatto: profili sostanziali e processuali, cit., pp. 91-93.

inferiore alle aspettative.

Tale constatazione induce a ritenere che, in vista della possibile introduzione di una clausola generale di irrilevanza nel rito penale ordinario, il modello da assumere come riferimento sia, ancora una volta, l'irrilevanza del fatto nel rito minorile.

In una simile prospettiva si potrebbe, ad esempio, prediligere la natura giuridica di causa di non punibilità, valorizzando maggiormente il profilo attinente alla mancanza di meritevolezza o di bisogno di pena.243

L'esperienza del rito innanzi al giudice di pace ha dimostrato, come si è visto, che la veste di causa di improcedibilità lascia irrisolte numerose problematiche. Del resto, le esigenze di economia e ragionevole durata del processo potrebbero essere sempre soddisfatte consentendo espressamente la richiesta di archiviazione in presenza della tenuità del fatto.

Occorrerà, inoltre, bilanciare le necessità di tutela della persona offesa e di rapidità dei meccanismi della giustizia penale. In quest'ottica, una parte consistente della dottrina suggerisce di riconsiderare, sulla falsariga del modello minorile, il ruolo dell'offeso, specialmente in fase processuale, dove sembrerebbe superato un interesse alla composizione del conflitto.244 Infatti, l'applicazione concreta delle

clausole di irrilevanza ha dimostrato che la vittima, quando si riconcilia con l'imputato, rimette la querela, altrimenti si oppone alla pronuncia più per un sentimento di rivalsa nei confronti del reo, perché sia punito, anche in presenza di un fatto oggettivamente esiguo. Pertanto, dopo l'esercizio dell'azione penale, sembrerebbe opportuno un richiamo all'«interesse» della persona offesa, più che alla sua non opposizione.

243 Sembrava questa l'intenzione della Commissione Riccio.

244 E. MATTEVI, C. PONGILUPPI, N. VENTURA, Irrilevanza del fatto: profili sostanziali e processuali, cit., p. 94.

Infine, nella costruzione di una clausola di irrilevanza da applicarsi a imputati adulti, è opinione condivisa da più parti che si debba cancellare il riferimento al pregiudizio derivante dal processo, che crea problemi di compatibilità con il principio di determinatezza (art. 25, comma 2 Cost.) e spesso si riduce ad un'integrazione priva di efficacia realmente selettiva.245

In conclusione, giungere alla codificazione di una clausola generale di esiguità è, sicuramente, un'operazione complessa, ma è ragionevole ritenere che il percorso da seguire sia quello tracciato dall'irrilevanza del fatto del rito penale minorile, tendente a soddisfare sia le esigenze di economia della pena che quelle di economia processuale.

245 E. MATTEVI, Esiguità e sistema penale del giudice di pace. Analisi giurisprudenziale e prospettive applicative dell'istituto della particolare tenuità del fatto, in AA. VV., Tecniche alternative di risoluzione dei conflitti in materia penale, a cura di L.PICOTTI, Cedam, Padova, 2010, p. 86.

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