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I mezzi di impugnazione esperibili avverso la sentenza

La fase processuale in cui viene dichiarata l'irrilevanza del fatto incide sulla configurazione dei mezzi di impugnazione esperibili. L'art. 27, comma 3 d.P.R. n.448/1988 prevede che contro la sentenza emessa nel corso delle indagini preliminari sia proponibile appello. Legittimati attivi sono il minorenne e il procuratore generale presso la corte d'appello. Il primo può avere interesse all'impugnazione al fine di ottenere una pronuncia più favorevole di una che ne riconosca implicitamente la responsabilità per il fatto ascrittogli; il procuratore può far valere, in sede di gravame, il suo dissenso rispetto alla politica processuale adottata dal p.m. e dal g.i.p. nei confronti dell'imputato.206

Anche l'esercente la potestà dei genitori deve essere incluso nel novero dei soggetti legittimati, alla luce di quanto stabilito dall'art. 34, comma 1 d.P.R. n.448/1988. L'impugnazione della sentenza emessa in corso di indagine è, invece, preclusa al pubblico ministero, dal momento che costui, formulando la richiesta di proscioglimento per irrilevanza del fatto, ha già espresso la sua posizione.

L'art. 27, comma 3 d.P.R. n.448/1988 deroga alla disciplina generale dell'impugnazione delle sentenze di non luogo a procedere di cui all'art. 428 c.p.p., norma che prevede la proponibilità del ricorso per Cassazione.

In realtà, la versione originaria dell'art. 27 d.P.R. n.448/1988 contemplava la possibilità del ricorso per saltum in Cassazione contro la sentenza pronunciata dal g.i.p.. Poiché, in seguito alla novella del 1992, il richiamo è scomparso dal testo della disposizione, si ritiene che, oggi, sia preclusa l'esperibilità di tale mezzo d'impugnazione. Sarà, invece, suscettibile di ricorso ordinario per Cassazione la sentenza pronunciata in appello.

La corte d'appello, al termine di un procedimento camerale ex art. 127 c.p.p., potrà decidere soltanto di confermare la sentenza di non luogo a 206 C. CESARI, Commento all'art. 27, cit., p. 333.

procedere per irrilevanza del fatto, oppure restituire gli atti al pubblico ministero perché proceda nelle forme ordinarie.

Si discute sulla forma che assume la decisione della corte d'appello. Il riferimento all'art. 127 c.p.p. dovrebbe, infatti, comportare una pronuncia che abbia la forma dell'ordinanza. Tuttavia, dall'interpretazione giurisprudenziale del procedimento d'appello in camera di consiglio di cui all'art. 599 c.p.p. emerge che il provvedimento conclusivo del rito camerale debba assumere natura e forma di sentenza.207

Relativamente all'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto emessa in udienza preliminare, gli interventi legislativi e giurisprudenziali che si sono susseguiti nel tempo hanno disegnato un groviglio di soluzioni possibili.

Innanzitutto, avverso la sentenza risulta esperibile l'opposizione. La Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato illegittimo l'art.32, comma 3 d.P.R. n.448/1988 nella parte in cui non prevedeva tale rimedio, oltre che per le sentenze di condanna, anche per le sentenze di non luogo a procedere che presuppongono la responsabilità dell'imputato.208

La pronuncia della Consulta era precedente alle modifiche all'art. 32, comma 1 intervenute con la l.63/2001. Così, con l'introduzione del consenso preventivo dell'imputato alla definizione del processo in udienza preliminare, si è delineato un sistema in cui il minore dispone di un potere inibitorio sulla decisione di irrilevanza del fatto, che opera sia ex ante, bloccandone l'emissione mediante il dissenso, sia ex post, opponendosi ad essa dopo la pronuncia, con conseguente attivazione del dibattimento e revoca della sentenza di irrilevanza. Si tratta di una soluzione che potrebbe apparire irragionevole in un rito volto alla semplificazione e all'accelerazione dei tempi processuali.

207 M. GURRIERI, Il proscioglimento dell'imputato minorenne per irrilevanza del fatto, in Arch. nuova proc. pen., 1992, p. 656.

In dottrina sono state avanzate varie interpretazioni di una simile complessità. Secondo una prima chiave di lettura, consenso e opposizione possono coesistere perché tutelano interessi diversi: l'uno è limitato alla possibilità di una definizione anticipata del procedimento; l'altra riguarda il contenuto della decisione.209 Inoltre,

essi hanno anche oggetti diversi: il consenso ha ad oggetto l'utilizzo degli atti di indagine a fini decisori; l'opposizione il determinato esito decisorio pronunciato dal giudice.

Una diversa linea interpretativa tenta, invece, di riportare coerenza nel sistema, considerando la sentenza n.77/1993 tamquam non esset in seguito alla modifica dell'art. 32 d.P.R. n.448/1988. L'intervento della Corte costituzionale che ha esteso l'area applicativa dell'opposizione si spiegava soltanto in un contesto in cui il minore non godeva di migliori strategie difensive; attualmente, dunque, non avrebbe più senso, dal momento che l'imputato, mediante il consenso, può gestire gli esiti processuali ancor prima che si giunga ad essi. Di conseguenza, alla sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto non dovrebbe ritenersi applicabile l'opposizione, ma gli ordinari mezzi di impugnazione previsti dal codice, dunque il ricorso per Cassazione ex art. 428 c.p.p..210Si tratta, tuttavia, di un'impostazione che difficilmente

può essere accolta dopo che la Consulta ha considerato possibile, in ordine alla sentenze di condanna, la coesistenza del consenso preventivo e dell'opposizione.

In ultima analisi, la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto emessa in dibattimento è soggetta al regime delle impugnazioni ordinarie contemplate dal nostro codice di procedura penale per tale categoria di pronunce. Dunque, ai sensi dell'art. 593 c.p.p., la sentenza è appellabile senza limiti da parte del pubblico ministero; l'imputato può proporre appello, ad esclusione delle ipotesi in cui si proceda per 209 F. PALOMBA, Il sistema, cit., p. 245.

una contravvenzione punita con la pena dell'ammenda o con pena alternativa, nelle quali l'appello è consentito nei casi di sopravvenienza di nuove prove decisive (artt. 593, comma 2 e 603, comma 2 c.p.p.). L'unica peculiarità è la legittimazione attiva dell'esercente la potestà dei genitori, ammesso a proporre l'impugnazione spettante al minore a norma dell'art. 34 d.P.R. n.448/1988.

Ultima questione problematica concerne l'eventualità che, nei giudizi dei gradi successivi al primo, il giudice possa dichiarare l'irrilevanza del fatto non pronunciata in prima istanza. La dottrina maggioritaria ritiene che sia possibile in appello, fermi restando i limiti di cui all'art. 597 c.p.p..211

Nel giudizio di cassazione, invece, l'irrilevanza può essere oggetto di censura se negata dai giudici di merito, ad esempio, per errata interpretazione dei presupposti normativi o mancata assunzione di una prova decisiva. La Corte di cassazione potrà, tuttavia, decidere al massimo l'annullamento con rinvio, ma non potrà dichiarare l'irrilevanza del fatto, poiché tale decisione postula un giudizio di merito, precluso alla Suprema Corte.212

211 M. G. COPPETTA, Il proscioglimento per irrilevanza, cit., p. 450. 212 C. CESARI, Le clausole di irrilevanza, cit., p. 389.

CAPITOLO IV

CENNI DI COMPARAZIONE: L'ESCLUSIONE DELLA PROCEDIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO

(ART. 34 D.LGS. N.274/2000)

SOMMARIO: 1. Sulla genesi dell'istituto: l'irrilevanza del fatto del rito minorile come modello di riferimento - 2. Aspetti di contiguità con la previsione ex art. 27 d.P.R. n.448/1988 - 3. Le divergenze tra i due istituti.

1. Sulla genesi dell'istituto: l'irrilevanza del fatto del rito minorile come modello di riferimento.

In ottemperanza al precetto della massima semplificazione del rito penale davanti al giudice di pace, l'art. 34 d.lgs. n. 274/2000 prevede l'«esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto».

L'istituto rappresenta il primo riuscito tentativo di estendere la clausola di irrilevanza del fatto all'intero sistema processuale penale.213

La disposizione in commento stabilisce che il giudice dichiari di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto con decreto di 213 L'introduzione dell'istituto nella disciplina del rito penale davanti al giudice di pace è avvenuta con un intento dichiaratamente sperimentale. Nella Relazione governativa al d.lgs. n. 274/2000, disponibile su

http://www.penale.it/legislaz/rel_dlgs_28_8_00_274.htm., si afferma a chiare lettere che un simile esordio, «anche topograficamente prudente», consente di vagliarne la funzionalità, in vista di eventuali, successive estensioni applicative. La Relazione menziona anche i precedenti tentativi di varare una disciplina che, assumendo come riferimento l'irrilevanza del fatto del procedimento minorile, estendesse un simile meccanismo al procedimento a carico di imputati adulti.

archiviazione, nel corso delle indagini preliminari, oppure con sentenza, dopo l'esercizio dell'azione penale. La decisione presuppone che l'illecito abbia prodotto, rispetto all'interesse tutelato dalla norma incriminatrice, un danno o un pericolo esiguo; che l'occasionalità della condotta e il grado della colpevolezza non giustifichino l'esercizio dell'azione penale; infine, che l'ulteriore corso del processo possa arrecare pregiudizio alle esigenze di lavoro, studio, famiglia o salute dell'indagato o dell'imputato.

La dichiarazione di non procedibilità è subordinata, in sede di archiviazione, alla circostanza che non risulti l'interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento e, in ambito processuale, all'assenza di opposizione dell'imputato e della parte lesa.

L'art. 27 d.P.R. n.448/1988 è chiaramente il modello di riferimento della disposizione in esame. La stessa Relazione al d.lgs. n.274/2000 riconosce che l'istituto di cui all'art. 34 è disegnato sulla sagoma dell'irrilevanza del fatto del processo penale minorile.

Tuttavia, la traslazione in un rito destinato agli adulti, non legato a meccanismi di protezione di una categoria debole di autori di reato, è volta a conferire rapidità al processo, garantendone una conclusione anticipata quando la celebrazione dello stesso e, a maggior ragione, la sanzione risultino sproporzionati rispetto alla gravità dell'illecito. In questa prospettiva, la «particolare tenuità del fatto» consente all'ordinamento di adeguare il dispendio di risorse, umane e materiali, all'entità concreta dei reati da perseguire e di superare la rigidità del diritto penale sostanziale, a fronte della pluralità di forme in cui uno stesso illecito può manifestarsi.214

D'altra parte, la semplificazione rituale è una costante del procedimento innanzi al giudice di pace. Anche la previsione di specifiche deroghe rispetto al processo ordinario è finalizzata ad una definizione della vicenda giudiziaria che riduca la spendita di tempo e 214 C. CESARI, La particolare tenuità del fatto, cit., p. 327.

risorse, che potranno essere impiegate in contesti giudiziari in cui è maggiore la gravità dei reati per cui si procede. Si tende, quindi, a prediligere forme di composizione bonaria della controversia penale, di pacificazione tra le parti, e a creare un diritto penale «mite»: efficace ma non irragionevolmente afflittivo.215

Nell'istituto di cui all'art. 34 d.lgs. n.274/2000, questa aspirazione si traduce nel riconoscimento della possibilità di evitare il processo e la pena per fatti riconducibili a una norma incriminatrice, non del tutto inoffensivi, ma che presentano uno scarsissimo livello di lesività. In quest'ottica, l'esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto, non soltanto snellisce il processo penale davanti al giudice di pace, favorendone una definizione anticipata quando la levità dell'illecito non giustifichi un impegno più stringente, ma alleggerisce il carico di lavoro dell'intero sistema della giustizia penale, che ne guadagna in termini di efficienza.216

2. Aspetti di contiguità con la previsione ex art. 27 d.P.R.