QUESTIONI APERTE E DUBBI INSOLUT
6. Il divieto di scienza privata ed il tema del fatto notorio
La dottrina ha più volte sostenuto che vi sia inoltre un nesso indissolubile tra il divieto di scienza privata e la disciplina del fatto notorio (che ne sarebbe una sorta di “corollario” o “temperamento”)350. Secondo una autorevole prospettazione351, le ragioni che giustificano il divieto di scienza privata nel processo ordinario si attenuerebbero in arbitrato.
Si deve premettere che più di uno studio è stato dedicato alla comparazione tra il fatto notorio nel processo ordinario ed in arbitrato, al fine di individuarne le coincidenze e le differenze352. L’art. 115 c.p.c. prevede che il giudice possa porre a fondamento della propria decisione le “nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.
Si deve preventivamente escludere che possano essere impiegate dal giudicante eventuali conoscenze acquisite in virtù del suo ufficio. Parlando di comune esperienza, il codice sembrerebbe ritenere che il giudice possa ricorrere al solo notorio “comune”, di matrice extraprocessuale, non anche a quello “giudiziale”, ovvero all’insieme di conoscenza che il giudicante potrebbe acquisire nello svolgimento delle sue funzioni353. Se al giudice ordinario non è quindi consentito usare il notorio “giudiziale”354, bisogna evidenziare una differenza sostanziale rispetto all’arbitrato: mentre il magistrato svolge istituzionalmente l’esercizio della funzione giudiziale, l’arbitro potrebbe essere coinvolto anche solo episodicamente nella risoluzione delle liti. L’arbitro potrebbe quindi non maturare conoscenze particolari in ragione del fatto che svolge il suo ufficio solo occasionalmente.
350CAVALLONE, Il divieto di utilizzazione della scienza privata del giudice, in Rivista di diritto
processuale, 2009, p. 862.
351 VERDE, op. cit., p. 125.
352 Sul tema PANZAROLA, Arbitrato e «fatto notorio» in Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde,
Napoli, 2010, pp. 603-618.
353 Questa distinzione è enucleata anche da PANZAROLA, op. cit., p. 613.
354 In realtà vi è stato qualche precedente contrario, ad es. Cassazione, sentenza 18 luglio 1989, n. 3374, in
Giustizia Civile, 1989, I, pp. 2550 e ss. con nota contraria di VACCARELLA, Quaedam sunt notoria judici et non aliis…
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In arbitrato, secondo autorevole dottrina355, la “comune esperienza” dovrebbe essere considerata con particolare attenzione e si intreccerebbe con il concetto di ambiente: essa deriverebbe anche dal “patrimonio di conoscenze dell’ambiente in cui [l’arbitro]
opera”. Anche altro autore evoca il concetto di “ambiente” 356, ritenendo che esso assuma una importanza determinante in arbitrato in considerazione del fatto che le parti hanno la possibilità di scegliere i propri giudicanti. In questo caso, si sostiene, molte circostanze che al giudice ordinario (selezionato con un sistema pressoché automatizzato sotto gli auspici del principio costituzionale del giudice naturale) sono in parte sconosciute o che comunque richiederebbero spiegazioni, avanti ad arbitri di questo tipo cadrebbero sotto l’etichetta del “fatto notorio”. Ha scritto LA CHINA “accanto al notorio locale […] v’è un notorio per così dire ambientale – di ambiente
umano, di categoria, di attività – che nell’arbitrato trova l’occasione più propizia per manifestarsi, perché quivi il giudicante non è dato ma è scelto, ed è scelto anche per la sua familiarità con l’ambiente ove è nato il rapporto sfociato in controversia”.357. Queste conclusioni dipenderebbero dal fatto che, in arbitrato, sono le parti a selezionare358 gli arbitri. Nominando il collegio giudicante, è possibile che essi individuino persone non troppo distanti, per formazione ed esperienza, dallo specifico tema della controversia359. Nell’esempio citato addietro, potrebbero nominare sì esperti di diritto, ma magari specializzati nell’informatica giuridica o nel diritto delle nuove tecnologie.
355 VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, p. 125.
356 Arbitri e parti hanno in sostanza, qualcosa in comune, una identità di prospettive, che consente loro di
“capirsi” con maggiore immediatezza.
357 LA CHINA, op. cit., p. 204.
358 La selezione può anche essere indiretta. Negli arbitrati amministrati spesso accade che la clausola
compromissoria si limiti ad investire la Camera Arbitrale, sarà poi un organo della stessa all’uopo specificamente deputato a procedere alla nomina dell’arbitro o del collegio arbitrale. In molti casi, ad esempio per la Camera Arbitrale dell’Immobiliare e del Condominio, le parti possono decidere se scegliere personalmente i propri giudici arbitri tra quelli regolarmente iscritti alla Camera o se lasciare la scelta all’istituzione.
359 Nel settore dell’arbitrato amministrato esistono, per esempio, alcuni tribunali arbitrali altamente
specializzati: si pensi all’esempio obbligato della Camera Arbitrale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione per il settore degli appalti pubblici o alla Camera arbitrale CESCOND in campo immobiliare e condominiale. Gli arbitri che compongono queste camere, trattando sistematicamente cause appartenenti allo stesso settore, maturano una profonda esperienza pratica in quel determinato campo che consente loro di comprendere più agevolmente anche eventuali profili tecnici.
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In ogni caso, le parti scelgono solitamente arbitri esperti di diritto, confidando che nominino consulenti tecnici per risolvere le questioni tecnicamente più complesse. In arbitrato può accadere che il peso assunto dal fatto notorio sia quindi significativamente diverso rispetto al processo ordinario. Avanti all’A.G.O., il magistrato è selezionato sulla base di un sistema automatizzato per garantire che “nessuno po[ssa] essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”360: si tratta di un soggetto che potrebbe essere estraneo per molte ragioni allo specifico campo del sapere interessato dalla materia del contendere. Una serie di parametri influenzano infatti la vicinanza del giudicante all’argomento della causa: età, ceto, ambiente, conoscenze pregresse sull’argomento, branca del diritto prediletta. Nel giudizio ordinario, predeterminarli è impossibile: ben potrebbe capitare come giudice di una causa su una complessa questione tecnologica un magistrato di età assai avanzata, con conoscenze di elettronica superficiali se non inesistenti, specializzato in tutt’altro settore del diritto. La legge gli impone, comunque ed in ogni caso, di conoscere sempre le norme giuridiche applicabili alla fattispecie. È il principio di iura novit curia, assioma fondamentale su cui si regge l’intera struttura della giustizia: il giudice si presume a conoscenza della legge. Per tutti gli altri settori dello scibile umano, dovrà ricorrere al supporto di uno o più individui esterni con apposite specializzazioni: si tratta dei periti o consulenti tecnici. Nel ruolo di assistenti del giudice, costoro contribuiscono ad esplicare i passaggi tecnici e complessi della materia del contendere, se questa è di un settore specialistico. Nell’esempio, il giudice nominerà un esperto informatico che gli traduca in gergo comprensibile i profili più tecnici.
È vero che il “divieto di scienza privata” è un principio molto importante nel processo civile ordinario e garantisce la giustizia della decisione, ma in arbitrato potrebbe quindi subire dei necessari temperamenti.
Un ultimo profilo attiene alla possibilità di elevare il principio fino alla sfera dell’ordine pubblico processuale. Alcuni autori lo hanno escluso dalla rete di garanzie fondamentali361, mentre in altri casi si è mostrata maggiore apertura. Il divieto di scienza privata troverebbe, secondo alcuni, cittadinanza tra i pilastri dell’ordine
360 Art. 25, c. 1 della Costituzione, è il principio del “giudice naturale”. 361 VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., pp. 150 ss.
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pubblico se non a proprio titolo quantomeno con funzioni ancillari del principio di terzietà ed imparzialità dell’arbitro362: il giudicante, per potersi pronunciare in modo obiettivo, non deve affidarsi alla propria conoscenza personale delle vicende o a competenze tecniche imprecise ed occasionali. Deve colmare le lacune specialistiche servendosi della consulenza tecnica e lasciare che siano le parti a “narrare” le vicende attraverso le prove. L’ordine pubblico processuale imporrebbe quindi all’arbitro di non ricorrere a proprie conoscenze personali acquisite per avventura, al fine di garantire una decisione pienamente consapevole. Se le parti hanno però selezionato un determinato professionista proprio perché confidano nelle sue conoscenze, sarebbe controproducente obbligarlo a disporre perizie su argomenti che conosce. Ancor di più, se si considera che le consulenze tecniche, in arbitrato, causano una notevole lievitazione dei costi e dilatazione dei tempi.
Le parti potrebbero invece voler selezionare arbitri del proprio ambiente, proprio per tagliare il dispendio di risorse in termini di tempo e denaro ed il ricorso alla scienza privata diventerebbe se non obbligato quantomeno auspicabile.
Più di una voce in dottrina ha rimarcato proprio il profilo della “fiducia” tra arbitro e parti per giungere ad ulteriori conclusioni: si è scritto che “qui [nel processo arbitrale]
non è che l’arbitro non possa utilizzare le sue conoscenze private, è che non può utilizzarle violando il principio del contraddittorio”363. La tesi citata sembrerebbe rimodellare il divieto di scienza privata, adattandolo all’arbitrato. Parte della dottrina ha poi suggerito che, in ogni caso, si dovrebbe esperire il ricorso a conoscenze personali con prudenza e sempre nel rispetto dei principi di ordine pubblico processuale. 364. Vi è quindi una significativa linea dottrinale secondo la quale il divieto di scienza privata incontrerebbe necessari temperamenti in arbitrato e l’impiego di conoscenze
362 Sul quale vedi ZICCARDI, Il ruolo dell’ordine pubblico nel processo arbitrale, in Arbitrato, ADR,
conciliazione, a cura di M. RUBINO - SAMMARTANO, Torino, 2009, pp. 603 ss.
363 VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., p. 151
364 MAFFINUCCI, Le regole del procedimento arbitrale, in FICHERA, MAFFINUCI, I procedimenti
camerali nel diritto societario e fallimentare, Torino, 2008, pp. 436 e ss. propende per una posizione di
maggiore prudenza. MAGNONE CAVATORTA, op. cit., p. 65 cita le parole di AULETTA, L’istruzione probatoria, op. cit., p. 209 per ricordare che il contraddittorio dovrebbe tendenzialmente accompagnare le parti attraverso l’intero arbitrato, dalla domanda giudiziale al lodo. Il momento di massima attenzione è proprio l’istruzione probatoria.
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personali vada considerato con minor rigore365, ma non mancano autori con posizioni diverse366.
365 VERDE, loc. ult. cit.
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CAPITOLO 3