25 «Quando usciremo di casa » Lo spazio domestico in stato di eccezione
29. Dono e internet al tempo del coronavirus
Anna Cossetta [email protected] “Dono” e “solidarietà” sono tra le prime parole che vengono pronunciate a seguito di un’emer-
genza. La pandemia del coronavirus che stiamo vivendo non fa eccezione, anzi, proprio le sue caratteristiche rendono il dono e la solidarietà due componenti essenziali che, attraverso internet, ne compongono il codice di significazione.
Non è un caso che la parola “solidarietà” sia stata tra quelle che hanno registrato un’impennata più significativa sui motori di ricerca a partire dal 10 marzo 2020: solo una settimana prima, l’utilizzo del lemma era inferiore dell’80% ! Negli ultimi dieci giorni di marzo si è rilevato un lieve calo, ma comunque, ogni giorno, in rete se ne parla almeno settanta volte più che un mese fa.
La parola “dono”, in connessione a coronavirus, produce 310 milioni di risposte. Un risultato sorprendente, perché rivela un aspetto della emergenza che è davvero interessante e denso di contraddizioni, retoriche, meccanismi, tutti da esplorare. Laddove c’è il dono, infatti, esiste anche il paradosso, l’ambiguità e la difficoltà a interpretare in modo univoco le motivazioni.
Il dono, a una prima lettura, sembra essere una risposta al male, alla paura. Rispetto a una catastrofe che irrompe nella storia, il dono apporta una speranza di futuro, una consolazione. Il dono, come ha argutamente suggerito Starobinski (1995), dà l’avvio alla storia: la celebre mela donata da Adamo a Eva è, tuttavia, archetipo del dono perverso, che riesce ad aprirsi contemporaneamente sia alla generatività che alla punizione eterna.
Rispetto al dono e alle diverse forme di solidarietà che sono esplose nel nostro paese a partire dai primi giorni di marzo, tuttavia, quello che è apparso a prima vista è il dono verticale – per riprendere la definizione di Starobinski – o, se si preferisce, il dono-munus, che più si avvicina alla traduzione italiana di elargizione.
Si tratta, per esempio, delle donazioni vistose in denaro effettuate da alcuni celebri miliardari italiani: Armani (1,5 milioni di ), Berlusconi (10 milioni), Agnelli (10 milioni), Ferrero (10 milioni), Caprotti (10 milioni), oppure da gruppi imprenditoriali come Bayer, (1 milione), Unipol (20 milio- ni), Lavazza (10 milioni), Gruppo Falk (500.000 ), Mapei (750.000 ), Campari (1 milione), Caleffi (1 milione), Barilla (2 milioni) e molti altri. Alcune realtà imprenditoriali sono intervenute attraverso le proprie fondazioni corporate, a dimostrazione che l’attività filantropica era già preesistente rispetto alla situazione di emergenza (Fondazione Fruttadoro di Orogel 800.000 , Fondazione TIM 500.000 , Philips Foundation 150.000 , Enel Cuore 23 milioni, Fondazione Angelini 1 milione
ecc.).
Dai grandi colossi industriali fino alle realtà più piccole, la corsa alla donazione è divenuta inces- sante e immediatamente comunicata e discussa online.
La tecnologia ha consentito anche nuove tipologie di donazione, prima tra tutte la chiamata al crowdfundingdella coppia Ferragni-Fedez: sulla base di una donazione personale di 100.000 hanno mobilitato le loro decine di milioni di follower, che si sono recati sulla piattaforma Gofundme.com e sono arrivati a una donazione complessiva – per ora (2 aprile 2020) – di oltre 4 milioni di euro. Fin da subito si sono scatenate opinioni discordanti circa la procedura donativa, tanto che, a fine marzo, il Codacons ha inviato un esposto all’Antitrust affermando che questa piattaforma di crowdfunding prevede costi più o meno nascosti, tanto che Gofundme.com potrebbe arrivare a guadagnare fino al 10% sul totale transato. Le donazioni online di altre piattaforme non si sono comunque fatte attendere e, soprattutto su Facebook, si è dato il via alle campagne nei confronti di onlus, fondazioni e altri soggetti del settore no profit. La piattaforma di Menlo Park ha lanciato anche una propria raccolta fondi, in collaborazione con le Nazioni Unite e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha come obiettivo quello di raccogliere 10 milioni in pochissimi giorni.
In rete non si stanno effettuando solo donazioni in denaro: molte aziende e società stanno mettendo a disposizione gratuitamente prodotti e soprattutto servizi che possono essere utili a sopportare meglio la quarantena. Anche in questo caso le attività donative sono state aggregate attraverso vere e proprie piattaforme dedicate, come quella denominata “Solidarietà Digitale” e promossa dal Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione e da Agenda Digitale. Sul sito solidarietadigitale.agid.gov.it vengono raccolti tutti i servizi che operatori privati (imprese e organizzazioni del terzo settore) mettono a disposizione gratuitamente. In pratica, aziende e associazioni che decidono di donare alcuni dei propri servizi, normalmente offerti a pagamento, si registrano al portale, inviano un modulo in cui spiegano di quale servizio si tratta e il Ministero, a seguito di una veloce istruttoria, inserisce il servizio nell’iniziativa governativa. L’offerta cresce di giorno in giorno e si possono trovare abbonamenti gratuiti a riviste di settore, webinar, servizi informatici da remoto, e-book scaricabili, film in streaming, hosting, consulti medici e psicologici telefonici e mille altre attività.
Anche in questo caso si viene letteralmente sorpresi dalla sovrabbondanza di gratuità: forse siamo sbalorditi e spaesati anche qui?
Quel che è certo è che siamo impauriti e spaventati e ognuno di noi, chiuso nella propria casa, sembra scoprire la società attraverso il male che ci troviamo a condividere. Siamo spauriti e il timore che possa trattarsi di una qualche forma di vendetta del divino, perché la teodicea è rimasta sepolta da qualche parte, serpeggia anche tra di noi. L’immagine iconica del papa solo in piazza San Pietro non evoca anche questo? Ed essendo costretti o puniti, e dovendo così rinunciare alla relazione, facciamo di tutto affinché il nostro esserci possa continuare. E, traballando tra il senso di colpa che ci suggeriva Rousseau (gli uomini sono causa dei loro stessi mali) e Voltaire che fa dire a Pangloss che «Tutti gli eventi sono concatenati nel migliore dei mondi possibili» (Dupuy, 2005), produciamo contenuti, cantiamo dal balcone, scriviamo sui social media, inviamo denaro tramite la nostra carta di credito. Urliamo che vogliamo esserci, che abbiamo bisogno di riconoscimento, di relazione, che mai vorremmo cadere nell’oblio. E doniamo, sì.
Se teniamo per buona la definizione di Jacques Godbout (1993) secondo il quale «il dono è una prestazione di beni o servizi effettuata senza garanzia di restituzione al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone», è dono tutto ciò che noi mettiamo a disposizione proprio perché ci riconosciamo quali membri di qualcosa di più grande, che è la società. L’emergenza Covid-19 tutto questo ce lo dimostra, con drammaticità, perché oltre a mancarci la relazione ci manca anche la possibilità di consumare e di accedere alle cattedrali del consumo (Ritzer, 2000) e, parafrasando Martin Heidegger, mai come in questo momento vorremmo una qualche divinità in grado di salvarci, anche pagando. Ma forse a salvarci potrebbe essere proprio il dono, non
29.1 Bibliografia 197 tanto e non solo il dono-munus verticale, ma soprattutto il dono-beneficium, che nella condivisione esprime la sua capacità di unire teoria e praxis, e invita a riconoscerci e a riconoscere la comune responsabilità di essere cittadini, perché soggetti accomunati dalle stesse mancanze, incertezze, paure.
29.1 Bibliografia
DUPUYJ.P., 2005, Piccola metafisica degli tsunami, Roma. GODBOUTJ., 1993, Lo spirito del dono, Milano.
RITZERG., 2000, Le cattedrali del consumo, Bologna.