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Dopo l’anfiteatro (Periodi 4-8)

N. inventario: IG 140621b Materiale: pietra di Aurisina

4. L’ANFITEATRO DI AQUILEIA: UNA SINTESI INTERPRETATIVA

4.1. L’architettura e la tecnica

4.3.3. Dopo l’anfiteatro (Periodi 4-8)

Sulla base delle analisi stratigrafiche e dei mate- riali ceramici e numismatici raccolti, le nostre inda- gini, come si è avuto già modo di dire (cap. 2.4.2 e 3.1, Periodo 4), sembrano collocare il momento della defunzionalizzazione dell’anfiteatro nella seconda metà del IV sec. d.C., quando iniziarono anche le spoliazioni dei suoi piani pavimentali (Periodo 4). E’ questa l’età in cui in tutto l’Impero varie motivazioni, fra cui la crisi economica tardo- antica che comportò una minore disponibilità finanziaria per la manutenzione edilizia, le trasfor- mazioni politiche del tempo, con il conseguente declino dell’evergetismo privato, la condanna degli spettacoli idolatrici e immorali condotta dai padri della chiesa e talune disposizioni legislative impe- riali volte a limitarne l’organizzazione, indussero la decadenza dei ludi della tradizione classica e con- corsero all’incuria e all’abbandono degli edifici che li ospitavano617.

Recenti indagini di scavo hanno permesso di collocare stratigraficamente nella seconda metà

del IV sec. d.C. la fine dell’utilizzo per i munera anche di altri anfiteatri, quali ad es. Catania, S. Benedetto dei Marsi o Durazzo618, mentre altri continuarono a essere ancora a lungo in uso, come a Roma, dove Cassiodoro menziona una venatio fatta allestire da Teodorico nel 523 d.C.619.

Ad Aquileia il IV secolo è un momento di grande vitalità edilizia (cfr. fig. 168), in cui furono realizzati una nuova cinta difensiva, grandi horrea sul modello di Milano, un complesso episcopale che venne presto a costituire il nuovo polo aggregativo urbano: è forse possibile pensare che fu proprio la pressante esigenza di materiale costruttivo per que- ste imprese monumentali a indurre i cavatori di pie- tre ad avviare lo spoglio delle murature dell’anfitea- tro, ormai defunzionalizzato e periferico, ma topo- graficamente vicino al nuovo centro della città.

Come si è detto (capp. 2.4.3 e 3.1, Periodo 5), fra la metà del V e la metà del VII sec. d.C. (con varie fasi di rifacimenti) seguì poi un periodo di riutilizzo abitativo delle strutture dell’edificio, che, ancora almeno in parte conservate in alzato, dovevano for- nire una comoda base in muratura per vani realiz- zati con ogni probabilità in materiali deperibili620 (Periodo 5). Analoghe forme di riuso sono state riconosciute anche in altri anfiteatri, quando durante lo scavo si è posta attenzione alle fasi tar- doantiche-altomedievali dei siti, del tutto trascurate invece nelle indagini più datate621: a titolo esempli- ficativo si possono citare i casi di Pollenzo, Catania e Terni622nel corso del V sec. d.C.

Ad Aquileia i nostri scavi hanno evidenziato in particolare un reimpiego della raggiera esterna dei radiali (fig. 166), ma la parzialità dell’area indagata non permette di capire se si trattasse di un riuti- lizzo intensivo e modulare di tutto quel settore dell’edificio o invece solo parziale e se anche la raggiera interna avesse ospitato o meno simili strutture abitative. Per quanto concerne invece lo spazio dell’arena, sopra il suo piano d’uso si sono accumulati nel tempo spessi strati organici, che le analisi microstratigrafiche (cap. 3.6) hanno identifi- cato come l’esito di scarichi di rifiuti provenienti da pulizie domestiche (fig. 166). In assenza di 617Molto ampia è la bibliografia sul tema: per una sintesi, cfr.

BASSo1999, pp. 73-83. Sulla questione cfr. anche cap. 2.4.2. 618Cfr. rispettivamente BESTE, BECKER, SPIGo2007, p. 610; DI

STEFANoet. al. 2008-2009, p. 61; SANToRo, hoTI, SASSI2005, p.

721.

619Cassiod. var., V, 42.

620Sul tema dei riusi abitativi negli edifici di spettacolo, cfr. BASSo

1999, pp. 134-148.

621Per una storia degli studi sugli edifici per spettacoli, cfr. BASSo

1999, pp. 87-110.

622Cfr. rispettivamente MAGGI2012; BESTE, BECKER, SPIGo2007,

p. 610; ANGELELLI, ZAMPoLINIFAUSTINI2006, pp. 215-219. Sul

tema delle trasformazioni tardoantiche-medievali degli anfiteatri, cfr. anche IACoBoNE2008, pp. 58-59.

Patrizia Basso

sicure tracce di attività agricole, resta incerto se questi livelli di terra scura venissero poi coltivati e costituissero gli spazi ortivi dei vani messi in luce nel settore della cavea, secondo una modalità rico- nosciuta, ad es. nel teatro di Verona: qui infatti alcuni documenti a partire dal X secolo attestano l’esistenza di case a pianta trapezoidale impostate nelle strutture di sostruzione delle gradinate per gli spettatori, correlate a lotti di terreno della stessa forma ricavati nell’area dell’orchestra623.

Dalla evidenza strutturale più leggibile di tali riusi insediativi (un piano pavimentale costituito da pietre, mattoni e qualche frammento di conte- nitore ceramico di reimpiego, con un focolare in sesquipedali coperti di cenere) (cfr. fig. 72) si sono prelevati campioni per uno studio archeobotanico e per una datazione al C14 (cap. 3.9). Per quanto riguarda quest’ultima (I-III sec. d.C.), essa non si accorda con quella dei reperti ceramici e numi- smatici, che invece inquadrano omogeneamente il piano di calpestio nella metà del V sec. d.C., ma va considerato che il legno su cui è stata effettuata l’analisi potrebbe essersi formato anche molto prima del momento in cui fu utilizzato come ele- mento costruttivo del vano o come combustibile nel focolare. Più interessante è risultato lo studio botanico condotto sui resti antracologici e carpo- logici: i primi attestano una copertura vegetazio- nale dell’areale nel tardoantico in querce, olmi, car- pini, noccioli, ontani, i secondi gettano luce sulle attività antropiche di quell’età, in quanto apparten- gono prevalentemente a specie coltivate come la vite, il fico, il mirabolano, i cereali e le leguminose, in particolare grano e fava.

Dalla fine del VII secolo, venuta meno la fun- zione originaria dell’anfiteatro e anche la sua rifre- quentazione insediativa, la grande mole dell’edifi- cio se ne “stette alla mercé dello spirito distruggi- tore degli abitanti divenuti bisognosi, anzi necessi- tosi, i quali trafficavano facilmente e vantaggiosa- mente, nella pianura e nell’estuario, la buona pietra da lavoro”, divenendo “per secoli un’autentica quasi inesauribile cava di materiali lapidei, finché tutto fu disfatto e raso al suolo e ogni segno scom- parve”624(Periodi 6 e 7). Si tratta di pratiche ampia- mente attestate in tutta la città, dove le murature

antiche spesso si presentano asportate fino agli ultimi filari di fondazione. Protrattisi a lungo nei secoli, gli interventi di spoglio nell’anfiteatro sono difficilmente databili per la quasi totale assenza di materiali nei riempimenti, ma sembrano essere continuati nel tempo quasi senza soluzione di con- tinuità (cap. 2.4.4 e 2.4.5).

Un momento di distruzione pianificata delle murature antiche, per recuperarne gli elementi lapi- dei da bruciare e ridurre in calce, è evidenziato da due calcare, rinvenute l’una nel corso degli scavi del Brusin625, la seconda durante le nostre indagini (cfr. 623Cfr. la donazione del 913 di Berengario al chierico Giovanni di

alcuni “covali” del teatro cum terrula ante ipsos (BASSo1999, pp. 137

e 303): come osservato in LARoCCAhUDSoN1986, p. 67 le misure

dell’appezzamento sembrano attestarne una forma “a spicchio”.

624BRUSIN1948, c. 58.

625Il Brusin (1948) riconduce alla presenza della calcara anche lo

stato di sconvolgimento dei blocchi edilizi dell’anfiteatro, docu- mentato da una fotografia edita nella stessa sede.

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Fig. 166. Planimetria dell’anfiteatro e dell’area di scavo (a linea nera) posizionata sulla base del catasto della città per indivi- duare l’area indagata dal Brusin nel 1946: in rosso sono indi- cati i vani abitativi di V sec. d.C. che riutilizzarono le murature della raggiera esterna; in verde l’area dell’arena portata alla luce con i nostri scavi usata come immondezzaio; in giallo la calcara portata alla luce nel 2015 e con un asterisco i possibili (ma non sicuri) luoghi di rinvenimento di una seconda calcara evidenziata nel corso dei citati scavi Brusin; in arancione scuro il tratto del muro ellittico dell’anfiteatro conservato in alzato per 1.70 m e in chiaro quello invece completamente asportato (realizzazione grafica di Valeria Grazioli).

figg. 81, 82 e 166). Forse il buono stato di conserva- zione del tratto di muro ellittico dell’anfiteatro in corrispondenza della calcara, rispetto ad altri tratti del tutto spogliati (fig. 166), potrebbe essere spiega- bile proprio ipotizzando un suo utilizzo, in quei secoli di intensa demolizione, come terrazzamento- contenimento dello spazio di lavoro per i calcararii. La datazione al C14 di un carbone di pioppo/salice raccolto sul fondo della stessa cal- cara, e quindi con ogni probabilità usato come suo combustibile, ha collocato l’uso della struttura e dunque di queste attività fra l’VIII e il X sec. d.C. (cap. 3.9). Come già aveva ipotizzato il Bertoli626, le spoliazioni massicce dell’anfiteatro si potrebbero dunque inquadrare nel momento di vitalità edilizia della città, segnato nell’età del patriarca Popone dalla ricostruzione della basilica e dalla edifica- zione del campanile inaugurato il 13 luglio 1031627 (fig. 167). Alla luce delle nostre conoscenze, tutta- via, il reimpiego di elementi lapidei tratti dall’anfi- teatro nel campanile aquileiese non è provabile, a differenza di quanto si riscontra invece a Milano, dove è stato possibile accertare che la poderosa platea di fondazione della chiesa di S. Lorenzo è costituita da elementi architettonici prelevati dal vicino edificio per spettacoli, quali rocchi di colonne, capitelli, architravi e cornici628. Resta del tutto indimostrabile, dunque, anche l’ipotesi dello stesso Bertoli che in questo riuso sia leggibile in filigrana un preciso intento ideologico, in quanto “quelle pietre che un tempo servirono a uso e comodo delle genti ragunate nell’anfiteatro a godere dei gentileschi dannati spettacoli” sareb- bero ora servite “a uso di ragunare, al suono delle campane, i fedeli a godere i sacri spettacoli delle ecclesiastiche solennità”629.

Anche le ultime spoliazioni, che per rapporti stratigrafici sembrano più recenti delle altre, paiono spiegabili come saccheggi di materiale lapi- deo a basso costo: esse potrebbero forse essere inserite nel quadro di interventi avviati sotto il regno di Maria Teresa d’Austria (1740-1780), al fine di bonificare e risanare il territorio aquileiese attraverso la realizzazione di un complesso sistema di chiuse e argini630. Ma poiché il problema della bonifica si pose nuovamente con urgenza agli inizi del Novecento su sollecitazione in particolare

dei grandi proprietari terrieri, quali i Ritter e i Brunner, e poiché questi ultimi nel 1928 acquista- rono l’area oggetto dei nostri scavi, si potrebbe anche pensare che negli ultimi recuperi di materiali dall’anfiteatro ci sia stato un diretto coinvolgi- mento della famiglia, al fine di raccogliere elementi lapidei da reimpiegare nelle infrastrutture idrauli- che territoriali o di venderli per ricavare denaro utile alle stesse imprese.

Quando il conte Giovanni Brunner acquisì il terreno, esso doveva da tempo essere utilizzato come braida dell’abitazione ubicata in via Roma (Periodo 8): ne abbiamo notizia dalle prime mappe catastali della città e in particolare da quella napo- leonica di inizi ottocento, quando l’areale era pro- prietà degli Urbanetti (cfr. fig. 5). A questa fase di sfruttamento agricolo del sito sembra attribuibile il consistente apporto di terra che si è evidenziato nella sequenza stratigrafica, specialmente nel set- tore nord-orientale della braida, dove insisteva ori- ginariamente l’arena, che per l’assenza di murature romane e quindi degli accumuli di materiali costruttivi conseguenti al loro crollo-degrado, doveva essere rimasto a quota più bassa rispetto al resto del terreno (cfr. fig. 83).

626BERToLI1739, II, p. 34 (ristampa anastatica 2002).

627Sul campanile, cfr. CoMELLI, MICALI2001. oltre al Bertoli,

molti altri studiosi ipotizzano che esso sia stato costruito demo- lendo l’anfiteatro: cfr. VALE1926-27; CALDERINI1930, p. CXIII;

BERTACChI1972, p. 53; BERTACChI1994, pp. 168-169; MASELLI

SCoTTI, RUBINICh2009, p. 100.

628LEGRoTTAGLIE2018, pp. 89-91 con ampia bibliografia precedente. 629Il passo è riportato dal Ferrante (1853, p. 96).

630Sulla rinascita di Aquileia in età asburgica, cfr. Aquileia asburgica

2016.

Fig. 167. Il campanile della basilica di Aquileia (commons. wikimedia .org / wiki / File :Aquileia _ Cattedrale _ Santa _ Maria _ Assunta _ Campanile _ 3. JPG).

Patrizia Basso