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N. inventario: IG 140621b Materiale: pietra di Aurisina

4. L’ANFITEATRO DI AQUILEIA: UNA SINTESI INTERPRETATIVA

4.1. L’architettura e la tecnica

4.2.1. Gli elementi architettonic

Per quanto riguarda gli elementi architettonici, nel corso degli scavi sette-novecenteschi si rin- vennero alcune colonne di grandi dimensioni e alcuni altri manufatti, fra cui cornici a modanature lisce, nonché più generici marmi di varie qualità e provenienza, andati perduti e comunque non posizionabili nell’ambito dell’edificio (cap. 1.2). Le nostre indagini hanno restituito invece gli unici pezzi di cui si può ricostruire la collocazione ori- ginaria, pur non essendo stati trovati in crollo pri- mario: si tratta di quattro lastre di rivestimento del podio in pietra d’Aurisina sagomate superior- mente in una cornice a modanature lisce573(cap. 3.4). Con ogni probabilità tali manufatti sfuggi- rono allo spoglio radicale subito dall’anfiteatro perché, riutilizzati dopo la sua defunzionalizza- zione per uno scopo che resta indeterminato (cfr. cap. 2.4.3, Fase 2), vennero a trovarsi nello spazio agonale privo di murature e dunque trascurato dai

cavatori di pietre che nel corso dei secoli anda- rono smontando l’edificio per recuperarne i materiali costruttivi.

I manufatti non permettono di ricostruire l’ar- ticolazione del podio che, come si è detto (cfr. cap. 4.1), in genere era mediamente alto 2,60 m, così da proteggere il pubblico da eventuali colpi dei gla- diatori e da assalti delle fiere impegnate nei com- battimenti574. Delle lastre non si conserva infatti l’altezza complessiva: sulla base di due frammenti (cfr. cap. 3.4, schede 4 e 5) che erano ancora saldati fra loro in verticale si sa solo che essa superava gli 82 cm, ma il secondo dei pezzi presenta nel piano di posa un foro quadrato ancora con il perno in ferro che doveva saldarlo inferiormente a un’ulte- riore lastra.

Il podio aveva un ruolo centrale negli anfiteatri, costituendo il fulcro visivo degli spettatori, ma per impedire un appiglio alle belve non poteva essere ornato da elementi scultorei aggettanti575. Le decorazioni della struttura dovevano prevedere esclusivamente un rivestimento pittorico, come nell’anfiteatro di Pompei (i cui affreschi di IV stile a pannelli con scene di gladiatori e animali delle venationes, finti marmi, Vittorie e candelabri, sono riprodotti in disegni e tempere ottocenteschi)576o di Augusta Raurica (recentemente oggetto di studi approfonditi)577, oppure, come ad Aquileia, in lastre lapidee, in genere di larghezza contenuta (0,30-0,90 cm), perché potessero meglio adattarsi alla curvatura del muro578.

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573Si sottolinea che cornici simili a quelle da noi rinvenute pote-

vano decorare anche le precinzioni fra i meniani, come si osserva ad es. nell’anfiteatro di Cagliari (DADEA2006, fig. 8), ma nel caso aqui-

leiese l’attribuzione al podio sembra accertata dal rinvenimento dei pezzi nel settore dell’arena.

574Per un’analisi dimensionale e tecnica dei podi, cfr. GoLVIN

1988, pp. 314-321.

575Cfr. GoLVIN1988, p. 318.

576LAREGINA2001, p. 334, nn. 24-29; LEGRoTTAGLIE2008, pp.

224-227 con bibliografia precedente. Va ricordato che anche il citato affresco al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (fig. 156) atte- sta come il muro del podio nell’edificio di Pompei fosse dipinto (cfr.

LEGRoTTAGLIE2008, p. 224, n. 265 con bibliografia precedente). 577Cfr. hUFSChMID2009, p. 291. Tale caso va a sommarsi a quelli

già citati dal Golvin (1988, pp. 318-319) e caratterizzati da scene figurative o da una pittura monocroma, per lo più rossa.

578Basti pensare ad anfiteatri oggetto di indagini recenti, quali in

Italia Marruvium (DISTEFANoet al. 2008-2009, p. 104) e Cividate

Camuno (SACChI2004, p. 120) o Cordova in Spagna (VAQUERIZo,

MURILLo2010, p. 252). Il Golvin (1988, p. 319) sottolinea che il

rivestimento lapideo dei podi ne segnava un abbellimento, come nel caso di Leptis Magna ove le lastre vi furono apposte in una seconda fase, ricoprendo le pitture originarie.

4.2. La decorazione

A ulteriore protezione del pubblico, in alcuni anfiteatri sopra il podio veniva costruito un balteo lapideo per aumentarne l’altezza579. Ad Aquileia invece si adottò a tal fine un altro espediente: una rete o una qualche altra forma di transennatura posta superiormente alla cornice, di cui restano sui

piani di attesa della stessa ampi incassi quadrango- lari che dovevano sostenerne i montanti verticali lignei (cfr. cap. 3.4, schede 2 e 4 e fig. 98). Incassi simili osservati sopra gli elementi di coronamento del podio, rinvenuti in stato di crollo primario hanno recentemente permesso di ipotizzare pro- 579Cfr. GoLVIN1988, p. 314.

Fig. 157. Ricostruzione grafica di un settore del podio dell’an- fiteatro di Cividate Camuno (da SACCHI2004, p. 122, tav. 8).

Fig. 158. Particolare dei fori per i montanti lignei delle tran- senne/rete di protezione sugli elementi lapidei di corona- mento dell’anfiteatro di Italica (da ROLDÁNGÓMEZ1994, p. 238).

Patrizia Basso

tezioni in materiale leggero anche nell’anfiteatro di Cividate Camuno580(fig. 157), di Augusta Raurica581 o di Italica582 (fig. 158). Del resto, anche le fonti letterarie menzionano tali sistemi di reti583, che nella VII delle sue ecloghe vengono descritte dal poeta Calpurnio Siculo come impreziosite da fili d’oro584. Resta tuttavia problematico capire se nell’anfiteatro aquileiese le transenne e le reti cor- ressero lungo tutto il perimetro del podio oppure solo in alcuni settori, come si è ipotizzato, ad es., nel caso spagnolo di Mérida585(fig. 159).

Gli altri manufatti portati alla luce nel corso delle nostre indagini, lacunosi e di interpretazione incerta, non raccontano nulla di più sull’apparato decorativo dell’edificio, che resta dunque del tutto dubbio.

4.2.2. La statuaria

Venendo invece ad analizzare la statuaria, nella documentazione degli scavi del de’ Moschettini si menziona, senza però darne il luogo esatto di rin- venimento, una testa colossale di marmo, e in quella del Maionica una statua in marmo di Venere e un frammento di capigliatura, anch’esse perdute e non identificabili (cap. 1.2.4). Si conserva ancora nel Museo aquileiese, invece, una piccola statua di Musa, alta 45 cm, sempre rinvenuta nel corso degli scavi di inizi 1800 (cfr. fig. 13).

Venere non è una divinità fra le più attestate negli anfiteatri, dove invece sono particolarmente numerose le presenze di Nemesi, Diana o Ercole, che dovevano avere una stretta relazione con le venationes, divenute dall’età flavia il tipo di spetta- colo prevalente in questa tipologia di edifici586(fig. 160). Tuttavia, effigi di Venere sono note, ad es., negli anfiteatri di Capua e Carnuntum, dove trova- vano posto rispettivamente nelle arcate esterne e 580SACChI2004, pp. 114, 120-121 e tav. 8. Lo studioso cita come

esempi di analoghi sistemi protettivi gli anfiteatri di Nyon in Sviz- zera e Lione in Francia. In quest’ultimo esempio, in particolare, si segnala come gli incassi quadrati per l’inserimento dei montanti presentino dimensioni (8 cm) del tutto simili a quelle di Aquileia. In altri anfiteatri le recinzioni o griglie protettive vennero invece rea- lizzate al di sopra dei baltei lapidei: cfr. GoLVIN1988, p. 314. 581hUFSChMID2009, fig. 115.

582ROLDÁNGÓMEZ1994, p. 222.

583Plin. nat. 37, 3, 43.

584Nello stesso passo il poeta attesta l’esistenza nell’anfiteatro, che

sarebbe identificabile nel neroniano in Campo Marzio (cfr. AMAT

1991, pp. 61-63), di un altro sistema di sicurezza: una sorta di rulli di legno e avorio che ruotavano ai piedi del muro marmoreo del podio, tenendo lontane le belve.

585áLVARESMARTíNEZ, NoGALESBASARRATE1994, fig. p. 278. 586Sulle divinità attestate negli anfiteatri, LEGRoTTAGLIE2008, pp.

128-133. Sul prevalere delle cacce, LEGRoTTAGLIE2008, pp. 119-124.

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Fig. 160. Istogramma che evidenzia le principali divinità romane attestate nella decorazione degli anfiteatri dell’Impero (da LEGROTTAGLIE2008, p. 133).

Fig. 161. Due frammenti di transenne sagomate a delfino dubi- tativamente pertinenti alla decorazione dell’anfiteatro (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, inv. nn. 2744-2745) (su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo Museale del Friuli Venezia Giulia).

Apo llo Bac cant i/m enad i Dia na Dio niso /Bac co Erc ole Fort una Gen ii Gio ve Mar te Mer curio Min erva Nem esi Net tuno Satir i Vene re Vitt oria 30 25 20 15 10 5 0

Fig. 162. Fotografia del Maionica con uno dei due delfini (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, Archivio fotografico, neg. n. 1297) (su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo Museale del Friuli Venezia Giulia).

Fig. 163. Fotografia di alcuni operai con i delfini (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, Archivio fotografico, neg. n. 1298) (su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo Museale del Friuli Venezia Giulia).

Patrizia Basso

in un sacello correlato all’edificio587. Per quanto riguarda invece le Muse, esse non sembrano altri- menti attestate negli anfiteatri, ma piuttosto nei teatri, e si pensi in particolare a Ferento che ne ha restituite ben otto dal frontescena588. Inoltre, va osservato che la musa aquileiese è molto piccola rispetto alle statue a tutto tondo rinvenute in genere negli anfiteatri e può trovare piuttosto un esempio dimensionale con alcuni esemplari di sta- tuette di Mercurio dal Colosseo, di cui si ipotizza una funzione votiva, o di altre non meglio identifi- cate da Pozzuoli, anche queste tuttavia non posi- zionabili all’interno dell’edificio589.

Vanno infine citati gli elementi decorativi più interessanti che sono stati in passato attribuiti all’anfiteatro: si tratta di quattro transenne più o meno integre con andamento obliquo e superior- mente conformate a delfino, conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Aquileia (inv. nn. 2744-2747), ma di provenienza incerta590(fig. 161). Poiché il margine inferiore dei pezzi è sago- mato per aderire a dei gradoni (h 40 cm, largh. 65-

70), essi dovevano essere in uso in un edificio per spettacoli: Luisa Bertacchi ipotizzò che si trattasse dell’anfiteatro, data la presenza negli archivi del Museo di due foto che ritraggono il Maionica (fig. 162) e alcuni operai assieme ai manufatti (fig. 163)591.

Tuttavia, negli stessi archivi si conservano anche alcune annotazioni e disegni del Maionica (figg. 164.1 e 2) che sembrano fino a oggi sfuggiti alla lettura592: essi attestano che due di questi del- fini furono portati alla luce in occasione di uno scavo condotto nel 1884 nelle Marignane “vicino alle mura nord-occidentali, presso il circo” e infe- riscono che anche gli altri due pezzi (confluiti nella collezione Cassis e da qui al Museo) siano stati tro- vati nella stessa zona593.

È evidente che alla luce di questi testi l’attribu- zione dei pezzi all’anfiteatro o a un altro edificio per spettacoli della città va ripensata con atten- zione. In effetti, se va esclusa una loro pertinenza al circo (data la discrepanza cronologica fra la datazione in età giulio-claudia dei manufatti, pro- 587Cfr. LEGRoTTAGLIE2008, schede 219, 236, 537 con bibliografia

precedente.

588PENSABENE1989, pp. 63-64, 67-68 e catalogo, nn. 1-11;

GASPARRI1994. Per un elenco di altri teatri dell’Impero che hanno

restituito statue di Muse (quali Minturno, otricoli, Siracusa, Sabra- tha, Hierapolis e il teatro di Pompeo a Roma), cfr. PENSABENE1989,

pp. 65-67.

589LEGRoTTAGLIE2008, rispettivamente nn. 73, 87 e 313, 316, 318. 590Per una descrizione dei pezzi, cfr. GIoVANNINI2004, cc. 491-

495; LEGRoTTAGLIE2008, pp. 252-253, nn. 418-421 e pp. 33-34;

www.ubi-erat-lupa.org 14331 e 18820 (consultato il 12.2.2018); GIoVANNINI2012, p. 178. I delfini (misure: 1. h 103 cm, lungh. 112,

sp. 15; 2. h 100, lungh. 122, sp. 24; 3. h 96, lungh 103, sp. 16; 4. h 92, lungh. 67, sp. 22) presentano la pinna dorsale appena rilevata e la caudale stilizzata, il muso aperto con denti e lingua visibili e un grande occhio decorato con motivi a squame diversi gli uni dagli altri. La BERTACChI(1994, p. 175) ricorda che i manufatti erano più

di quattro, di cui alcuni molto frammentari, e quindi ipotizza che

tali animali rientrassero in un ampio programma decorativo, vero- similmente esteso a tutti i vomitori delle gradinate.

591Cfr. BERTACChI1994, p. 175; BERTACChI2003, p. 42. Per uno

studio di queste fotografie conservate nell’Archivio fotografico del Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, neg. nn. 1297 e 1298, cfr. GIoVANNINI2004, cc. 491-495, figg. 7 e 8.

592Cfr. Archivio storico, A.1 Cass. 41 elenco reperti, relazioni

scavi, anno 1883-1884, p. 10; A.1, Cass. 40, schede reperti scultorei, p. 33; A.1 cass. 41, elenco reperti relazioni scavi, anno 1884, pp. 16- 17. Si coglie l’occasione per ringraziare molto Adriana Comar per aver reperito e avermi segnalato tali documenti.

593Dal testo del Maionica non è possibile capire se i manufatti fos-

sero reimpiegati in qualche costruzione della zona e in particolare nelle mura tardoantiche, che vennero realizzate con numerosi ele- menti di riuso: per una recente sintesi interpretativa su questa cinta della città, cfr. BoNETTo2009, pp. 87-89 con ampia bibliografia

precedente (per un elenco di alcuni dei pezzi più significativi riuti- lizzati nelle mura, p. 89, nota 53).

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Figg. 164.1 e 2. Disegni dei due delfini conservati in un quaderno manoscritto del Maionica (Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, Archivi A1, Cass. 41, elenco reperti relazioni scavi anno 1884, particolari pp. 16-17) (su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo Museale del Friuli Venezia Giulia).

posta sulla scorta della loro sobria decorazione e di un moderato uso del trapano594, e l’inquadra- mento in età tetrarchica del monumento: cap. 5.2), le transenne potrebbero invece essere state in uso anche nel teatro della città, come già aveva ipotiz- zato il Maionica595, sulla scorta di un confronto epigrafico con l’analogo edificio dell’antica Rusi- cade in Algeria596, nel cui testo si menzionano due delfini che ne ornavano la strada di accesso. In tal caso non osterebbe la datazione delle transenne perché, se anche venisse confermata una costru- zione del teatro nella seconda metà del I sec. a.C. (cap. 5.1), i delfini potrebbero attestarne una suc- cessiva fase di restauro/abbellimento.

La questione non sembra definirsi in favore dell’uno o l’altro degli edifici nemmeno se si cer- cano confronti iconografici nel resto dell’Impero: in effetti in vari teatri sono noti braccioli, lastre, basi e soprattutto transenne a forma di delfino597, ma quest’ultime sono attestate anche negli anfitea- tri, come ad es. a Roma598.

In sintesi, nonostante i problemi attributivi restino aperti, la datazione dei pezzi e il materiale lapideo con cui essi vennero realizzati, ovvero quel calcare di Aurisina599di cui erano costituite anche le citate lastre di rivestimento del podio, rendono plausibile la loro pertinenza all’anfiteatro (cfr. fig. 153).

594LEGRoTTAGLIE2008, pp. 34 e 252.

595Cfr. i citati testi manoscritti conservati negli archivi del Museo

aquileiese.

596Cfr. CIL VIII 716b = EDCS 13002242 (con bibliografia prece-

dente).

597Si ricordino ad esempio i teatri di Ferento (PENSABENE1989, p.

137, n. 109), Fiesole (FUChS1986, pp. 85-86, I C 4 e 5), Catania

(LIBERTINI1930, n. 143) e Sabratha (CAPUTo1959, p. 15, figg. 45-

46).

598Cfr. PETTINAU1989-90, pp. 387-388, nn. 34-36; LEGRoTTAGLIE

2008, n. 603.

Patrizia Basso

Come si è anticipato (cap. 1.2.3), le indagini sette- novecentesche condotte sull’anfiteatro aquileiese avevano lasciato molte questioni aperte oltre che sull’articolazione architettonica dell’importante monumento pubblico anche sulla sua datazione.

Il Golvin, nella sua ancora ineguagliata sintesi architettonica e storica sugli anfiteatri dell’Impero, ne proponeva un inquadramento cronologico in età giulio-claudia600, ma altre voci ne ipotizzavano la costruzione alla fine del I sec. d.C. o addirittura nel III d.C.601. Il Golvin basava la sua ipotesi, in particolare, sull’osservazione che l’anfiteatro era privo di una galleria esterna, come la maggior parte degli edifici precedenti ai Flavi: secondo la sua analisi, dei venticinque anfiteatri noti senza galleria, solo sei erano posteriori all’età giulio-clau- dia e nello stesso tempo della quarantina di esempi dotati invece della stessa, solo tre erano riconduci- bili all’epoca giulio-claudia (Narni, Verona e Pola).

Resta tuttavia il problema che per molti anfiteatri mancano datazioni puntuali, ancorate ad accurate analisi stratigrafiche e scientifiche, per cui ogni sin- tesi in tal senso richiede una grande cautela.

La lettura stratigrafica e le analisi condotte nel corso dei nostri lavori hanno permesso di otte- nere nuovi dati in merito a tale questione cronolo- gica, permettendo una definizione più sicura della fase di cantiere dell’anfiteatro, e insieme hanno offerto informazioni di grande interesse sulla sto- ria che precedette e seguì la vita e l’uso dell’edifi- cio, la prima del tutto sconosciuta, la seconda solo raramente oggetto di analisi602. In particolare, come si è avuto modo di dire (cap. 2.4), nel sito si sono riconosciuti otto periodi di frequentazione, suddivisi talora in più fasi, le cui datazioni assolute restano talora problematiche, per la scarsità e la lacunosità degli elementi diagnostici rinvenuti (cap. 3.1) (fig. 165).

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600GoLVIN1988, p. 166, n. 141 e pp. 216-217. Va ricordato che più

recentemente Tiussi (2009, p. 69), pur inquadrando l’anfiteatro in età giulio-claudia, ipotizza che la datazione potrebbe forse essere rialzata, se si considera che i confronti tipologici offerti dal Golvin risalgono all’epoca di Augusto.

601Cfr. rispettivamente ChEVALLIER1983, p. 136 e JoUFFRoy1986,

p. 151. Per una sintesi sul discusso inquadramento cronologico dell’edificio, cfr. ToSI2003, p. 499.

602BASSo1999, pp. 221-224 con bibliografia precedente.

4.3. La cronologia

P

ATRIZIA

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Fig. 165. Schematizzazione dei Periodi/Fasi riconosciuti con lo scavo e le loro datazioni (rielaborazione grafica di Patrizia Basso).

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