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Ludovico della tranquillità e del sangue

1. Le due parrucche e due parruccon

Nel volume degli Esercizî del 1939, a centotrenta pagine dal saggio seminale su Come lavorava l’Ario- sto, Contini attribuisce ai due autori a cui è dedicato questo capitolo una stessa tendenza all’irreso- lubilità: «molto bonariamente, quello che Antonio Baldini scrive di Riccardo Bacchelli, si potrebbe ripetere di Baldini stesso: “non è uno scrittore facile a definire”»1. Poi ancora, accolto un anno dopo

su “Nuova Antologia” da Baldini come recensore — su consiglio di Bacchelli medesimo — del Muli- no del Po, inquadrerà lo stile dell’uno in una formula dell’altro, rubricando significativamente il tutto sotto il cartellino che interessa il nostro discorso:

Uno che chiama «fiume Po» il Po («quel vento d’ostro che combatte il fiume Po») è un lettera- to tipico, che riecheggia infatti un verso dell’epicedio ariostesco per Leonora; e il problema si chiari- sce come un fondamentale problema d’espressione. Circa poi il sospetto che un’opera di duemila pagine non possa risultare meglio che un’«opera d’intrattenimento», fosse pure per lettori professio- nalmente intelligenti, non staremo neppure a sommuovere (sarebbe anacronismo) la scolastica que- stione della struttura in poesia, una volta che l’economia d’un’ingente armatura può riuscire, o intel- lettualisticamente non riuscire, tanto quanto l’isolamento incontaminato e programmatico del frammento, ad agevolare il risorgere dell’ispirazione. E a una vena ariostesca giova ogni opulenza

anche di cornice a promuovere opulenza («gràndina in pieno sole», scrisse Baldini).2

La riconsiderazione di quelli che potrebbero passare per elementi di pedanteria e che risultano inve- ce, tenendo presente la «carriera letteraria» dell’autore, sintomi di una ‘letterarietà tipica’ ascrivibili a una «vena ariostesca» è uno dei risultati più interessanti del saggio, che individua in Bacchelli un nuovo tipo del letterato tradizionale, démodé in modo avanguardistico. Passando infatti dalle que- stioni espressive a quelle d’impianto generale — di ‘teoria dei generi letterari’ diremmo oggi —, il critico dalle «due parrucche»3 (come pungentemente lo ritrasse proprio una Tastiera baldiniana dopo

l’uscita del saggio sul Mulino) precisa i caratteri al contempo nuovi e classici della «inattuale» narrati- va in esame e lo fa, con buona pace dello spiritoso ‘tastierista’, indossando la ‘parrucca diurna’ della chiarezza. Non solo riconosce l’impegno del romanziere e la mole del risultato, entrambi fuori mo- da nell’Italia letteraria dell’immediato dopo-D’Annunzio, ma estrae tra le molte peculiarità del Muli- no un fattore fondamentale di anomalia: l’impurità, il narrare «dal difuori» senza silenziare «l’inter-

1 — G. Contini, Per un libro di Antonio Baldini [1933], in Id., Esercizî di lettura, Firenze, Parenti, 1939, pp. 117-122: 117. Lo

scritto era già uscito in forma di recensione al baldiniano Amici allo spiedo su “L’Italia letteraria”, IX, 39, 24 settembre

1933, p. 6.

2 — G. Contini, Il «Mulino del Po» e la carriera letteraria di Riccardo Bacchelli, in “Nuova Antologia”, CDXI, 1648, 1940, pp.

173-87: 174; poi nei Nuovi esercizî in Id., Un anno di letteratura, Firenze, Le Monnier, 1942, pp. 22-54: 23. A proposito dei rapporti, difficili da dirimere, tra Contini, Baldini e Bacchelli, vd. C. Ciociola, La lava sotto la crosta. Per una storia delle Rime del ’39, in Id. (a c. di), Il giovane Contini, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa - Classe di Lettere e Filo-

sofia”, V, 2, 2013, pp. 459-790: 469-570. In particolare, le ipotesi e le ricostruzioni relative ai due rondisti si trovano alle

pp. 557 e sgg.

3 — «Scrive di Dante, che abita così alto e lontano, e capisco tutto; parla di Bacchelli, scrittore che sta qui di casa e che da trent’anni io frequento d’opera e di persona, e mi debbo chiedere più volte che cosa Contini gli ha voluto far dire. E non c’è dubbio che il critico tratti con la stessa serietà d’impegno quelle sestine e quei discordi, e queste fiabe e questi ro- manzi. Si legge negli Avvisi di Roma del 16 dicembre 1678: “Il signor cardinale Chigi si serve di due parrucche, una con la chierica e l’altra senza, e con la prima frequenta le funzioni d’obbligo e coll’altra le conversazioni dal tramonto del sole allo spuntar dell’aurora”. Che ci sia scambio di parrucche? Che Dante sia per Contini funzione d’obbligo diurna e Bacchelli e gli altri scrittori d’oggi siano per lui tema di conversazione notturna?». A. Baldini, Tastiera 1-43 1940-1947, a c.

vento imperterrito del narratore»4. Se il romanzo, come sottolinea più avanti, è agitato da «frequenti

excursus», da «considerazioni» fuoricampo che non avrebbero quartiere in una narrazione pura, non è utile collocarne la funzione nelle periferie digressive del semplice eruditismo: bisogna considerarli «invece prossimi al centro dell’ispirazione». Infatti, un «accordo d’unità e varietà», uno «stile del con- trappunto», una «matematica applicata all’invenzione»5 permettono all’autore, in questo senso, di

perdersi continuamente negli elementi anche più laterali, «mentre la memoria non dimentica l’edifi- cio generale e il ragionevole posto di ciascuno»6 — una capacità che, come vedremo, è messa alla

prova dall’autore fin dall’inizio della sua vicenda creativa, e che in particolare trova la sua più com- plessa occasione di prova generale proprio nel confronto diretto con il rinascimento estense e con la sua poesia. Non c’è bisogno d’altronde (per citare ancora la Tastiera di Baldini) di «quattro paia d’oc- chiali» per vedere come, nell’autorevole lettura continiana, i sovrabbondanti e centrifughi dati di realtà chiamati in causa nell’opera di Bacchelli trovino il loro posto nella matura letterarietà post-vo- ciana e de-liricizzata che in Ariosto ha facilmente un illustre cespite originario. Del resto, il discorso è in parte analogo a quello fatto, nel capitolo precedente, a proposito delle prose di guerra di Bon- tempelli e alla loro consapevole matrice ariostesca. In una simile, appunto, «vena ariostesca», e nella categoria di «poema»7, Contini risolve l’oscillazione tra storicismo e poesia8 che impedirebbe, secon-

do altri recensori e critici, di trattare Il Mulino come un vero e alto romanzo. Di conseguenza risolve anche l’impressione di avere a che fare, per quanto riguarda Bacchelli, con quel «temperamento di saggista più che di lirico»9 che, al di là della principale opera, gli si potrebbe facilmente attribuire ap-

punto a partire dal grandioso saggio-romanzo del 1931, La congiura di Don Giulio d’Este: cinquecento pagine di prosa nate dall’esigenza intellettuale di difendere «Messer Ludovico» dalle accuse di servili- smo mossegli dai lettori dell’Egloga I10 — ma su questo testo torneremo in seguito. Anche la scrittura

di Baldini, presentata ai lettori francesi nella Italie magique del ’46 (altro libro su cui torneremo più avanti), è fotografata lapidariamente da Contini in bilico tra applicazione e assoluto, tra l’arcadico e il redazionale, nello stato di sostanziale impurità che comporta un «incrocio raffinato di umanesimo e giornalismo»11. Rapido su di lui quanto è prodigo di dettagli ed analisi sull’altro rondista12, il critico

4 — G. Contini, Il «Mulino del Po» e la carriera letteraria di Riccardo Bacchelli, cit., p. 24 5 — Ivi, p. 35.

6 — Ivi, pp. 50-51. L’accostamento dei passi individuati da queste ultime tre note mi pare legittimato dalla coerenza, anche a distanza, del discorso.

7 — Ivi, p. 50.

8 — «A più di un critico» chiosa tra parentesi «l’intervento imperterrito del narratore parve compromettere l’oggettività del “romanziere”, e far di lui, sarebbe da concludere, un temperamento di saggista più che di lirico». L’errore di valuta- zione sarebbe commesso anche dallo «stesso Baldini per il Diavolo». Ivi, p. 24.

9 — Ibidem.

10 — R. Bacchelli, La congiura di Don Giulio D’Este, Milano, Treves, 1931, 2 voll. Come spiegato dall’autore stesso, il lavo- ro nasce dalla difesa che sostanzia l’intervento del 1929 presso il più volte menzionato convegno ferrarese per il centena- rio ariostesco (cfr. R. Bacchelli, Una difesa di Messer Ludovico, in A. Baldini - I. Balbo (a c. di), L’ottava d’oro, cit., pp. 741- 776). La trascrizione del discorso è pubblicata come appendice in un volume dell’opera omnia mondadoriana dell’autore dedicato agli scritti ariosteschi e occupato in gran parte dalla riedizione di La Congiura (a sua volta ristampato da Garzan- ti nel 1947 e, per le cure di Anna Modena, dalla stessa Mondadori nel 1983): R. Bacchelli, La congiura di Don Giulio D’Este

e altri scritti ariosteschi, Milano, Mondadori, 1958, pp. 7-517; 653-688. 11 — G. Contini, Italia Magica [1946], Torino, Einaudi, 1988, p. 91.

12 — Alle poche pagine dei due scritti citati su Baldini si contrappone la consistente massa del saggio su Bacchelli, il più lungo di Un anno di letteratura. Prevedibilmente inscritti nella stessa sezione («rondisti») di La letteratura dell’Italia Unita, del primo è antologizzato un solo testo preceduto da un cappello simile, per estensione e contenuti, a quello di Italia

magica; il secondo occupa più di venti pagine ed è accostato, per varietà e vitalità delle attività letterarie, al multiforme ingegno di Croce. Più che considerare poco rilevante Baldini — autori più noti e letti, come lo stesso Bontempelli,

vede anche nell’autore di Michelaccio («umanista sottile» ma «non [...] autentico narratore»13, «desti-

nato a far prendere una cotta filologica a qualche erudito del XXII secolo»14) lo stesso neoclassici-

smo15 sperimentale, corretto però immancabilmente da uno «schermo ironico»16. È proprio l’ironia,

con ogni probabilità, a garantire a questo «conservatore un po’ affettato»17 l’ingresso nel ristrettissi-

mo canone del magismo continiano18, in cui non c’è posto per Bacchelli — capace sì di narrare la

«Storia come favola», ma nel senso manzoniano di «storia come anteriorità sentimentale, tornata in natura, non ancora legata a un giudizio», al di là delle «suggestioni tenebrose» che pure non manca- no nel suo Mulino19.

Due autori molto diversi eppure fortemente interconnessi emergono dalla selettiva ricogni- zione tra Esercizî e antologie d’autore. Anime essenziali di un’esperienza — quella della “Ronda” — centrale nel cosiddetto ‘ritorno all’ordine’ italiano (cui parteciparono naturalmente, ma con più esplicite connotazioni moderniste, anche la metafisica di “Valori Plastici” e il realismo magico di “900”), entrambi declinarono in senso sia classico che volutamente novecentesco la soluzione — tanto innovativa quanto radicata nella tradizione — dell’impurità, sia nello stile che nella funzione dei testi che scrivevano. Molte delle questioni sottolineate da Contini indossando alternativamente la ‘parrucca’ della chiarezza e quella dell’enigmaticità — equilibrio tra «edificio generale» e «stile del contrappunto», tra storia e favola, tra favola e realtà contingenti — sono l’obiettivo e la sostanza del dialogo con il Furioso e con il suo tempo cercato da questi due «parrucconi» (come autoironicamente definì Cardarelli i suoi più giovani compagni di ventura)20 e saranno oggetto delle prossime pagine.

E in particolare l’indecidibile oscillazione tra saggistica e narrazione, tra articolo e racconto, delle più importanti prove precedenti alla seconda guerra mondiale (un discrimine più naturale per gli autori precedentemente trattati, ma perfettamente giustificabile come si vedrà poco più avanti) sarà alla base delle conclusioni sul particolare caso di ricezione, evidente ma mai ancora analizzato nelle parallele implicazioni che comporta nel quadro generale del ritorno alla tradizione della tarda mo- dernità italiana.

Non c’è forse bisogno, per giustificare la presenza di Baldini e Bacchelli in un lavoro su Ariosto nel Novecento, di ricordare che, oltre ad essere stati notoriamente segnati dal poeta come scrittori,

13 — G. Contini, Italia Magica, cit., p. 91.

14 — G. Contini, Per un libro di Antonio Baldini, cit., p. 117.

15 — Non solo in quanto fondatore «della rivista del “neoclassicismo” italiano» (G. Contini, Italia Magica, cit., p. 91), ma anche a causa del «dolce conservatorismo» e della «cura della forma e della tradizione letteraria» che gli riconosce (G. Contini, La letteratura dell’Italia Unita, cit., p. 787).

16 — Ibidem.

17 — G. Contini, Italia Magica, cit., p. 91.

18 — In un lavoro su Buzzati e il cosiddetto «surrealismo italiano», Alvaro Biondi ha recentemente riflettuto sulla doppia natura, ampia e ristretta al contempo, del canone di Italia Magica. Il critico, specie a proposito delle ‘assenze’ più illustri, non prende in considerazione alcune importanti dichiarazioni e questioni preliminari rispetto all’antologia (su cui cfr. soprattutto il recente B. Sica, L’Italia magica di Gianfranco Contini. Storia e interpretazione, Roma, Bulzoni, 2013), ma giu- stamente conclude, rispetto alle ‘presenze’, che gli autori antologizzati, così dissimili, possono essere accostati «sotto il segno dell’ironia», unico vero carattere comune delle loro diverse esperienze. A. Biondi, L’Italia magica e il surrealismo

italiano, in Id., Il tempo e l’evento. Dino Buzzati e l’Italia magica, Roma, Bulzoni, 2010, p. 17. 19 — G. Contini, Il «Mulino del Po» e la carriera letteraria di Riccardo Bacchelli, cit., pp. 39-40.

20 — V. Cardarelli, Un’ora all’accademia, in “La Ronda”, IV, 5, 1922, pp. 209-210: 209; ora in Id., La poltrona vuota, a c. di G.

A. Cibotto - B. Blasi, Milano, Rizzoli, 1969, pp. 189-190: 189. L’autodefinizione da parte di Cardarelli, decano della rivista e ai tempi direttore, è scherzosa, e ironizza ovviamente sulle accuse di disimpegno e accademismo che l’esperienza della “Ronda” si attirava. Il poeta, in una cronaca romana del ’22 relativa a un saggio di recitazione all’accademia Santa Cecilia di Roma, si rallegra del fatto che l’unico autore recitato davvero con brio dai giovani attori sia il classico Goldoni. L’invo- lontario ritorno all’ordine dei ragazzi lenisce l’iniziale «stupore di parrucconi», appunto, provato dai rondisti di fronte al

hanno entrambi avuto un peso non indifferente nella critica ariostesca contemporanea21. Malgrado

ciò, sebbene esistano già, pur non numerosi, dei puntuali studi su alcuni aspetti del loro rapporto con il maestro rinascimentale22, non è stata ancora tentata una sintesi tra i due episodi paralleli di

fortuna, né tra essi e quelli contemporanei analoghi. Questo capitolo intende porsi un simile pro- blema, dando spazio soprattutto agli aspetti della narrativa di Baldini e Bacchelli che li vedono in- dossare le vesti di lettori di Ariosto. Non di critici o di filologi — abiti che pure, con ambiguità e con- seguenze letterarie che andranno valutate, ambedue hanno portato — ma appunto di autori che affidano alla lettura un peso importante nell’esercizio, poi, della scrittura. In questo senso il percorso non abbraccerà l’intero arco della vicenda letteraria dei due, che nel secondo Novecento ad esempio comprende ampliamenti di precedenti lavori ariosteschi23 e nuove forme di dialogo col poema24.

L’intenzione è piuttosto in primo luogo quella di mettere a fuoco il più possibile, come per i prota- gonisti dei precedenti capitoli, le origini del rapporto con Ariosto e l’influenza di una simile relazio- ne ideale sulla fase creativa più significativa nel contesto del primo dopoguerra (gli anni Venti in- somma, gli anni del vero e proprio rondismo). In secondo luogo, seguendo gli sviluppi di tale qua- dro iniziale, l’attenzione sarà dedicata a un parallelo confrontarsi con problemi essenziali del tardo classicismo novecentesco, e con le due risposte — entrambe, nella mia ipotesi, basate sul magistero di Ariosto — che Baldini e Bacchelli hanno formulato. Invece di raggiungere, con il progredire cro- nologico delle analisi testuali, il Mulino del Po e le tarde autoantologie baldiniane del secondo dopo- guerra in cui si consuma il finale, serafico distacco del corsivista dalla società letteraria di prima li- nea, vorrei mostrare come tali volgimenti determinanti siano in realtà incubati nelle opere più espli- citamente legate al Cinquecento e al poeta del Furioso a cui i due autori si sono dedicati in prossimità del centenario del ’33.

21 — Secondo Emilio Bigi, «La congiura di Don Giulio D’Este e gli altri saggi ariosteschi [di Bacchelli] segnano [...] una svolta fondamentale nella storia della critica sull’Ariosto, in quanto [...] dimostrano come quell’arte somma e quell’ar- monia siano sostanziate di complessa e inquieta esperienza umana [...] una dimostrazione che sarà tenuta presente dalla più meditata critica ariostesca recente, dal Dionisotti al Caretti al Segre» (E. Bigi, Bacchelli tra Ariosto e Leopardi, in G. Pampaloni et alii, Riccardo Bacchelli. Lo scrittore, lo studioso, Modena, Mucchi, 1990, pp. 59-69: 63). Dal canto suo, Baldini è il primo editore novecentesco dei Cinque canti, e la sua edizione (del 1915) per Carabba resta l’unica in circolazione per quasi cinquant’anni.

22 — Oltre a recensioni della Congiura, dell’Ottava d’oro e di Ludovico della tranquillità, vd. per Bacchelli E. Bigi, Bacchelli

tra Ariosto e Leopardi, cit.; e il contributo chiesto all’autore nel numero di “Italianistica” dedicato al centenario dalla nasci-

ta di Ariosto: R. Bacchelli, Ariosto solstiziale, in “Italianistica”, III, 3, 1974, pp. 655-656. Per Baldini, vd. in particolare l’am-

pio saggio di Cremante Baldini, Ariosto e dintorni in R. Cremante, Archivi del nuovo. Tradizione e Novecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1984, pp. 49-94.

23 — Le edizioni accresciute di La congiura di don Giulio d’Este, e di Ludovico della Tranquillità, che escono entrambe nel 1958 (R. Bacchelli, La congiura di don Giulio d’Este e altri scritti ariosteschi, Milano, Mondadori, 1958; A. Baldini, Ariosto e

dintorni, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1958), contengono nuovi contributi su Ariosto. Bacchelli arriva finalmente a fare del Furioso l’oggetto principale delle sue riflessioni (Orlando fatato e l’elmo di Mambrino: saggio di idee sul meraviglioso in

Ariosto e per Cervantes, precedentemente stampato in “La Rassegna d’Italia, I, 1, 1946, pp. 37-51; Arte e genio dell’Ariosto

poeta della poesia e Codicillo ariostesco, entrambi pubblicati, in una versione precedente, in “Nuova Antologia”, nel 1956 e nel 1957). Baldini rielabora alcune ‘divagazioni’ successive al 1933 — di particolare interesse le Stazioni dell’ottava rima, in cui con seduttiva acutezza è analizzato il metro del poema.

24 — Mi riferisco in particolare, per Bacchelli, alla curatela di una preziosa cartella illustrata dedicata ad episodi del Fu-

rioso nel ’79 e alla prefazione della più ambiziosa edizione illustrata recente del poema: R. Bacchelli (a c. di), Ariosto Or-

lando Furioso, illustrazioni e interpretazione grafica con testo e firma autografa di Riccardo Bacchelli, Milano, La Spirale, 1979; L. Ariosto, Orlando Furioso, prefazione di R. Bacchelli, illustrazioni di F. Clerici, Milano, Electa, 1967. Ho curato la scheda di entrambe le opere in una galleria dedicata alle immagini ispirate dal Furioso nella contemporaneità (Il poema

immaginato: ‘Visioni’ dell’Orlando furioso tra XX e XXI secolo, a c. di F. Bondi, A. Giammei, G. Rizzarelli, A. Torre, in “Ara-

beschi”, I, 2, 2013, pp. 191-227. Naturalmente Baldini non avrebbe mai partecipato a simili iniziative: nelle sue letture è

ribadito che la poesia di Ariosto è già di per sé un’esperienza visuale e che non può giovarsi di apparati illustrativi che sarebbero comunque riduttivi rispetto alle immagini suscitate dal testo. Vd. per esempio la stroncatura delle tavole di

Se infatti è vero, visto che si tratta di autori in partenza innegabilmente ariosteschi, che non occorre ripercorrere l’opera omnia di ognuno dei due per mettere in luce sconosciuti o dimenticati rapporti con l’auctoritas — anche se non mancheranno, soprattutto per i primi libri, rilievi testuali nuovi e ipotesi di raccordo non tentate —, è altrettanto vero che gli studi tendono a separare lettera- tura e critica nel lavoro di Baldini e Bacchelli, attribuendo alla seconda categoria scritti sulla cui na- tura ci si può proficuamente interrogare con minore nettezza, e considerando la fonte rinascimenta- le più che altro come un serbatoio di memorie o una passione erudita. Nell’inquadramento di que- sto capitolo si tenterà invece di interpretare l’impegno profuso dai due per capire Ariosto e la sua epoca come una lettura davvero umanistica, capace di orientare la scrittura profondamente al di là delle riprese, delle citazioni e degli omaggi.