• Non ci sono risultati.

Spirito ariosteo del realismo magico

5. Tra magia, architettura e geografia

Si sa che il percorso letterario delineato dalle opere fin qui prese in esame sfocerà, a partire dalla me- tà degli anni Venti, in una riflessione teorica programmaticamente coesa (sebbene talvolta contrad- dittoria) dei cui testimoni abbiamo già visto qualche lacerto. Bontempelli fonda “900” — la rivista internazionale che gli darà fama europea e ai cui ideali si associa ormai sempre il suo nome169 — nel

1926, la dirige fino alla chiusura (che risale al ’29) e vi pubblica i fondamenti del suo realismo magico promuovendo l’arte nuova del novecentismo, equidistante da futurismo e rondismo. In varie sedi, tra cui la rivista di architettura “Quadrante”, continua a rimaneggiare le idee politico-letterarie espresse in quegli anni fino a metà del decennio successivo e raccoglie infine la maggior parte degli interventi della pluriennale meditazione prima in Novecentismo letterario, poi nel definitivo volume del 1938 L’avventura novecentista, recuperato quarant’anni dopo da Ruggero Jacobbi170 in una discussa

riedizione171 che resta la più recente172. L’idea di considerare il progetto della rivista, le polemiche,

gli articoli che vi si sono stampati e tutta la «esperienza romana»173 di riflessione sulla letteratura e

sull’arte come una ‘avventura’ è ovviamente influenzata dalla poetica degli avventurieri che abbia- mo visto interessare, sempre via Ariosto, i fratelli de Chirico — un’influenza che va sommata anche a quanto detto più sopra a proposito delle ‘avventure’ che costituiscono i racconti bontempelliani del primo dopoguerra. D’altronde, narrando le peripezie editoriali affrontate per tenere vivi i “qua- derni d’Italia e d’Europa”174 del novecentismo, l’animatore del periodico aprirà le pubblicazioni del

1927 immaginandosi come un paladino vittorioso alla fine di una complicata inchiesta: «oggi, dopo tante prove ariostesche, la nostra vita si annuncia solida e tranquilla. Così comincia l’anno secon- do»175.

Stupisce che gli esegeti di questo lavoro teorico controverso e seminale non abbiano, esclusa la rapida allusione di Baldacci più su citata, sottolineato la discendenza diretta dell’idea stessa di reali- smo magico dal Furioso. D’altronde è anche vero che Bontempelli medesimo, preoccupato di cancel- lare modelli certi a cui farsi ridurre (pur ammettendo che «naturalmente tutti vorremmo essere figli di nessuno; ma non sempre è possibile»)176 e di mantenere piuttosto alle sue spalle una storia lettera-

ria di autonomi «inaderenti» e «candidi» («ognuno degli autori che la tradizione accoglie è un ribelle

169 — A proposito del ruolo della rivista nel quadro europeo del surrealismo e dell’avanguardia, vd. F. Airoldi Namer,

Surrealismo europeo e realismo magico italiano, in A. Carta - I. Fried (a c. di), Le esperienze e le correnti europee del Novecento in

Italia e in Ungheria, Budapest, ELTE Bölcsézettudomànyi Kar-Foiskolai Olasz Nyelv ès Irodalm Tansék, 2003, pp. 209- 225.

170 — M. Bontempelli, L’avventura novecentista [1938], a c. di R. Jacobbi, Firenze, Vallecchi, 1974.

171 — In particolare Jacobbi era accusato di non aver messo in debito conto il fascismo dell’autore e di aver tagliato le pagine più compromettenti del lavoro (a proposito, vd. F. Bartolini, Lettere a Ruggero Jacobbi. Regesto di un fondo inedito con

un’appendice di lettere, Firenze, Firenze University Press, 2006, pp. 26-28). Sulla controversa questione del fascismo bon- tempelliano si è scritto molto, ma pare ormai assodato comunque che per molte pagine dell’Avventura valga quanto di- chiarato con nettezza da Baldacci: «Se un giorno, accanto ai documenti di adesione al fascismo da parte degli scrittori italiani, si vorrà raccogliere un’antologia che dia atto della resistenza di quegli stessi scrittori (quelli, s’intende, operavano in Italia), queste pagine dovrebbero figurare per prime» (L. Baldacci, Massimo Bontempelli, cit., pp. 63-64).

172 — L’antologia di Baldacci contiene infatti solo una selezione ridotta degli scritti. In ogni caso, dove possibile, si citerà da essa, indicandola col titolo da L’avenntura novecentista che compare nell’edizione.

173 — Così definisce l’autore, nella prefazione alla prima edizione, la stagione della sua scrittura che va dal 1926 al 1933, distinguendo la fase di “900” come inventiva e la successiva come meditativa. Il testo è trascritto nell’apparato dell’anto- logia di Baldacci (L. Baldacci, Note ai testi, in M. Bontempelli, Opere scelte, cit., p. 958).

174 — Questo il sottotitolo della rivista, che le attirava l’interesse dei lettori più avversi alla chiusura strapaesana ma anche inevitabilmente le critiche del nazionalismo fascista.

[...] che della tradizione santissimamente se ne infischiava»)177 non ammette direttamente l’impor-

tanza che Ariosto ha avuto per lui in L’avventura novecentista. Sarà infatti un lapsus a portarlo, nel 1930 e in una collocazione molto meno diffusa, a dichiarare di aver chiaramente indicato «lo spirito ariosteo» quale principale «fonte primigenia» della scrittura novecentista:

[...] quando, anni fa, ho additato una legge artistica e l’ho chiamata «realismo magico», ho avu- to cura di citare per l’appunto l’Ariosto; e tutto il «novecentismo» letterario non è appunto che que- sto: salire alle nubi in groppa all’Ippogrifo, e scenderne la sera per andare a dormire all’osteria, come

fa il nostro savio Ruggiero.178

Non è vero: una simile citazione esplicita manca in L’avventura e per trovarne traccia bisogna sfoglia- re con attenzione i numeri di “900”. Compare infatti in un occhiello del ’28 che promuove le inizia- tive del comitato ferrarese per le celebrazioni del centenario della morte del poeta e non riporta nemmeno la firma dell’autore179. Ne abbiamo già visto più sopra uno stralcio — sempre a proposito

della geniale ottava di Ruggiero che schiva «d’alloggiar male» (X, 73) — e lo trascrivo ora per intero:

Nessuna iniziativa potrebbe piacerci più di quella dell’Ottava d’oro. A Ferrara si legge e si commenta pubblicamente l’Orlando Furioso. Vorremmo scrivere un inno a Italo Balbo e ad Antonio Baldini che hanno immaginato e attuato la bella impresa. L’hanno anche iniziata, Balbo parlando dei voli di Astolfo, Baldini difendendo la femminilità di Angelica. Ariosto, il poeta-puro per eccellenza, il più arioso armonizzatore della fantasia con la realtà, il creatore più nettamente italiano. Nessun narratore può essere più caro al nostro cuore, di colui i cui eroi scendono dall’Ippogrifo per andare a

far colazione all’osteria.180

In ogni caso le caratteristiche attribuite ora al «Ludovico» che quasi un quarto di secolo prima era stato già preso a modello per un’arte nuova sono tutte parte del profilo del «novecentiere» delineato nei testi teorici di cui parliamo. Pur rifiutando il lirismo «ultrasoggettivo» dei futuristi ad esempio181,

o degli ermetici, i novecentisti devono saper infatti conciliare purezza e costruttivismo, come archi- tetti:

Queste vedute non rifiutano affatto la concezione filosofica dell’arte come lirismo puro, con- cezione inattaccabile in sede idealista e metafisica. Le nostre osservazioni hanno un carattere pura-

mente empirico: guardano all’opera come fatta e in sé vivente. [...] È lo spirito dell’architettura.182

«Poeta-puro» e «creatore» («unico strumento del nostro lavoro» scrive altrove Bontempelli «sarà l’immaginazione [...] occorre riimparare l’arte di costruire»)183, Ariosto è, nell’ottica di “900”, un

mago, giacché la magia in letteratura è la capacità di entrare in contatto col mondo per «imparare a dominarlo, fino a poterne sconvolgere a piacere le leggi». Il realismo magico reagisce all’«interiori- smo impoverito» con una «cura d’ironia»: «l’importante è creare oggetti, da collocare fuori di noi, bene staccati da noi; e con essi modificare il mondo»184. Tutto ciò però — come nell’ottava di Rug-

giero in cerca d’alberghi — senza che «il dominio dell’uomo sulla natura» si traduca in irrazionali fantasmagorie sfrenate; «immaginazione, fantasia: ma niente di simile al favolismo delle fate: niente

177 — Ivi, p. 764.

178 — M. Bontempelli, L’Ariosto geografo, Lettura tenuta nel Castello Estense il 9 novembre 1930, in A. Baldini - I. Balbo (a c. di), L’ottava d’oro. La vita e l’opera di Ludovico Ariosto. Letture tenute in Ferrara per il quarto centenario della morte del poe-

ta, Milano, Mondadori, 1933, pp. 545-568: 554.

179 — Ma è certo Bontempelli, direttore della rivista e autore dell’articolo su cui compare l’occhiello, l’estensore.

180 — M. Bontempelli, senza titolo, in “900”, VI, 1, 1928, p. 28.

181 — M. Bontempelli, da L’avventura novecentista, cit., p. 768. 182 — Ivi, p. 757.

milleunanotte [...] la vita più quotidiana e normale vogliamo vederla come un avventuroso miraco- lo» e viceversa185. La qualifica di «italiano» serve proprio a rimarcare questo aspetto di razionalità e

intelligenza186, e anche ad usare il Furioso — nel contesto asfittico del regime che pretendeva dagli

scrittori una rappresentazione del fascismo e della «storia nuova d’Italia» — come modello principale di una scrittura sì italiana e moderna, ma non apologetica e documentaria:

L’Ariosto non intese se non creare un mondo di divertimento e di consolazione, non avrebbe mai potuto sognare i meccanismi critici mediante i quali quel poema ci può apparire oggi (se cre- diamo alla teoria storica dell’arte) una rappresentazione dello spirito e perfino della storia politica

del suo secolo.187

È questo uno dei punti su cui si torna più spesso, e d’altronde abbiamo visto che uno dei doni chiesti a Ludovico già nel 1907 era proprio quello di riuscire a cantare i progressi e gli orrori della contem- poraneità senza patetismo né mimesi assoluta. Per narrare le invenzioni del Novecento non basta descriverne realisticamente il funzionamento o imitarne retoricamente, come i futuristi, le meccani- che e i rumori: le aeropoesie di Marinetti, come i racconti di aviazione legati alla propaganda, non possono competere con le invenzioni aeree del Furioso: «nessuno ha descritto il volo, e la meraviglia del vedere volare, meglio che l’Ariosto ove parla dell’Ippogrifo»188. In questo senso la ‘inaderenza’ è

una qualità novecentista, secondo un dettame leopardiano citato da Bontempelli nell’articolo Morali- tà letterarie del ’36 e poi incluso in L’avventura: «“il sentimento deve essere l’anima e non la materia del discorso”. Sentimento vuol dire “spirito”»189 e allo «spirito ariosteo», nell’intervento del ’33, si

fanno risalire geneticamente il realismo magico e il novecentismo letterario190. Su simili questioni di

inaderenza comunque la posizione era stata espressa nel 1932 con lo stesso esempio già nei testi di L’avventura:

Il poeta ha bisogno di immaginazioni non realizzate. La grande poesia dell’aviazione l’hanno fatta l’inventore della favola di Icaro, e Ariosto con i voli dell’Ippogrifo. Appena si inventa la mongol- fiera, non ne esce che una brutta poesia. L’invenzione dell’aeroplano ha fregato del tutto la poesia

aviatoria.191

Nello stesso brano peraltro l’autore segnala come Ariosto sia in grado di alludere a fatti politici a lui vicinissimi persino al vertice della fantasia, come nel canto della luna in cui si riflettono le virtù e i vizi della corte e si ragiona velatamente sui rapporti tra poeti e signori192. Una lettura analoga si può

dare, ad esempio, del suo specchio in cui autoritari manichini governano cumuli di oggetti perduti; o della villa misteriosa in cui Evandro si fa servire da marionette semoventi: Roselena Guglielmo, in uno studio sull’ironia bontempelliana, sottolinea che proprio negli anni in cui simili invenzioni prendevano vita «in Italia i segnali di una svolta politico-sociale autoritaria si erano già fatti corposi e

185 — Ivi, pp. 750-751.

186 — Negli studi sul surrealismo italiano, Fontanella ricorre a passaggi simili per definire la poetica bontempelliana come «surrealismo razionalizzato», in un’accezione deteriore relativa agli aspetti artificiosi e intellettualistici (Cfr. L. Fontanella, Il surrealismo italiano, Roma, Bulzoni, 1983, pp. 139-155). Tuttavia abbiamo già visto che tali aspetti rispon- dono a una tendenza diffusa, legata ai nomi di Savinio e Papini e coronata dall’antologia continiana Italie magique, su cui si tornerà diffusamente in un altro capitolo.

187 — M. Bontempelli, da L’avventura novecentista, cit., pp. 775-776. 188 — M. Bontempelli, L’avventura novecentista, cit., p. 72.

189 — M. Bontempelli, da L’avventura novecentista, cit, p. 773. 190 — M. Bontempelli, Ariosto geografo, cit., p. 553.

concreti»193. Non è questa la sede per una valutazione del rapporto controverso di Bontempelli col

fascismo194, ma è certo che una delle battaglie più interessanti condotte in L’avventura novecentista è

quella contro «la protezione», e cioè contro il controllo politico dell’arte. Anche in quest’ambito, il modello di Ariosto è fondamentale: dalla sua biografia l’autore trae una scena piuttosto fortunata come esempio negativo dei rapporti tra potenti e poeti.

Un saggio regime deve saper distinguere (se vuole interessarsi dell’arte) tra l’aiutare e il pro- teggere. L’aiuto può anche essere discreto, amorevole, fraterno (pericoloso sempre); la protezione è in ogni modo una cosa pesante e ingombrante, che pone il protetto in condizioni di servitù. Il più bell’esempio è il cardinale Ippolito che proteggeva Ludovico Ariosto, e lo faceva star alzato ad aspet-

tarlo, tardi la sera e pieno di sonno, per farsi da lui cavare gli stivali quando rincasava.195

Il nostro «Sancio Panza intellettuale», di cui nel ’16 si proseguiva la terza satira immaginandolo a «ragiona[re] con Astolfo o con Alcina» dietro una siepe leopardiana dopo aver realizzato il più fic- cante ritratto satirico della corte romana196, è dunque un esempio di artista vessato ma risolto e so-

prattutto un modello di scrittura pubblica e al contempo d’evasione. Un campione attuale per Bon- tempelli, che ritiene che «il compito più preciso della nostra letteratura» sia quello, negli anni in cui i contatti con l’Eruopa sono più osteggiati e l’arte stenta a mantenere una sua autonomia, «di riporta- re l’invenzione narrativa al poema» e di «riinventare gli eroi»197. E l’idea che la narrativa nuova debba

somigliare a un poema di eroi rinnovati si sposa bene con il quadro utopico dell’Italia moderna che l’autore aveva tratteggiato nella remota lirica Al Tasso e che ora avverte come realizzato, pronto ad essere messo in letteratura. È infatti la nazione intera a «scrivere un poema mitico» attraverso i pra- tici aspetti della vita produttiva e ad avvicinarsi, dunque, agli «ideali» del progetto di “900”:

Novecentismo [...] è l’eterna e fatale tendenza mediterranea al semplificato, all’aereo, alla ric- chezza fatta di mobilità perpetua, a voler mescolato sempre un poco di cielo alle cose della terra e di mistero alle più precise realtà, al crearsi ogni ora della vita quotidiana come strofa d’un mito poeti- co. C’è una strana e spontanea rispondenza, degna di grande attenzione se vi fosse chi sa prestarla, tra gli ideali che il novecentismo segnò da principio in pura sede letteraria e tutto l’atteggiamento della rinnovata vita italiana. Noi parlavamo di volenterosa creazione dei miti della nuova epoca; e tutta l’Italia non lavora forse oggi, in tutti gli ordini, nelle cose più pratiche, nella politica e nell’indu- stria, nell’agricoltura e nel costume, come intenta a scrivere un poema mitico, con una sensazione

precisa della propria funzione di protagonista sulla scena d’un teatro, che è il teatro della storia?198

Persino l’espressione architettonica degli stessi ideali, quel fiorente razionalismo italiano che l’autore supporterà con forza nei primi anni Trenta, sembra rispondere, nel modo in cui lo presenta e inco- raggia su “Quadrante”, al magistero di Ariosto. Innanzitutto, intervenendo nella polemica sulla sta- zione di Firenze, il letterato incita i giovani architetti e gli intellettuali modernisti a tenere la posi- zione immedesimandosi di nuovo, come per l’avventura editoriale del ’26, in un paladino del Furioso:

Oggi occorre fare un fronte unico: bisogna aver vinto di buone campagne, prima di permetter-

si il lusso di fare il campo di Agramante.199

Ma ciò che è più interessante è il passaggio dall’attenzione iniziale per il fatto costruttivo e per

193 — R. Guglielmo, La traversata dell’ironia, Napoli, Guida, 1994, p. 80.

194 — Tra i contributi recenti che più si soffermano sulla questione il più completo è forse U. Piscopo, Massimo Bontem-

pelli. Per una modernità dalle pareti lisce, cit.

195 — M. Bontempelli, da L’avventura novecentista, cit., p. 772.

196 — Mi riferisco alla già citata prefazione, M. Bontempelli, L’Ariosto minore, cit., p. 29. 197 — M. Bontempelli, L’avventura novecentista, cit., p. 170.

l’anonimato dell’architettura — che in letteratura dovrebbe rispecchiarsi nella magia come creazio- ne e nella volontà di inventare nuovi miti che abbiano vita propria e autonoma200 — all’innamora-

mento per la «superiore semplicità» e la «profonda elementarità» delle realizzazioni razionaliste coe- ve. Tale passaggio risale infatti al 1933, data di uscita di Ludovico della tranquillità di Antonio Baldini, nelle cui pagine sul paesaggio e sui palazzi del Furioso è istituito un bizzarro e suggestivo parallelo tra il castello di Atlante e le forme pure di Terragni e compagni:

In faccia a questi paesaggi variati di cento verdi le architetture dell’Ariosto s’aprono senza eco- nomia d’archi e di colonne. Senonché, quando il contorno si faccia più severo, aspettatevi di vedere spuntare anche un poco d'architettura razionale, come nel castello del mago Atlante, tutto d'acciaio in cima a una rupe eccelsa:

«da quattro canti era tagliato e tale

che parea diritto a fil de la sinopia»201

Pochi mesi dopo la pubblicazione del libro, Bontempelli porta il dibattito a un livello «morale e poli- tico» sintetizzando la lezione che l’architettura deve dare all’estetica e al costume nella stessa liscezza «a fil de la sinopia» in cui Baldini aveva appena rintracciato un impossibile prodromo del razionali- smo costruttivo: «L’ammonimento gridato dall’architettura e dalla poesia — edificare senza aggettivi, scrivere a pareti lisce — deve diventare norma per tutta l’arte, anzi per tutto il costume quotidiano»202.

Le «pareti lisce» moderne e quotidiane203 sono del resto il principale bersaglio della critica tradizio-

nalista, che secondo il novecentista avrebbe preferito coprire le forme funzionali dei nuovi edifici «con una crosta»204 antica e decorativa pur di non lasciare nudo il cemento armato — una forma di

manierismo dannunziano in architettura. In ogni caso i continui ricorsi all’immaginario, alla vita, alla poesia di Ariosto in tutte le articolazioni della riflessione teorica non sono paragonabili a quelli relativi a nessun altro poeta della tradizione tra quelli che compaiono occasionalmente in L’avventu- ra: forse solo Dante è nominato abbastanza spesso da meritare una menzione e in effetti solamente la Commedia è avvicinata al Furioso quando, nei «consigli ai giovani scrittori» di uno dei primi numeri di “900”, si riflette sull’influsso benefico dei classici e sul modo in cui lasciarsi investire da esso:

Occorre leggere da giovani i grandi capolavori del passato, per non doverli leggere più tardi, quando c’è altro da fare. E soprattutto per questo: che nella maturità ce li troveremo diventati no- stro patrimonio come ripensati, rievocati, sgombri dalle parole. In questo modo la Commedia o il

Furioso sono grandissimi nell’animo nostro.205

Un simile rapporto coi classici «sgombri dalle parole» sembra in effetti rispecchiare l’uso libero degli spunti ariosteschi che abbiamo visto in diverse opere narrative di Bontempelli, nelle quali molto po- co — se non per nulla — si avverte l’angoscia dell’influenza. Tuttavia è certo che negli anni di cui

200 — È noto l’apologo su Manzoni che Bontempelli inserisce in L’avventura per dimostrare cosa significhi produrre miti autonomi rispetto al nome di chi li ha creati («L’ideale supremo di tutti gli artisti dovrebbe essere: diventare anonimi»). Nell’esempio, l’autore racconta di un contadino che non riconosce l’autore dei Promessi Sposi e pretende di mostrargli la vera casa di Lucia, senza immaginare che le avventure di Renzo e della sua fidanzata siano frutto dell’invenzione (M. Bontempelli, da L’avventura novecentista, cit., pp. 762-763). L’idea è ovviamente interessante anche rispetto al rapporto con la realtà storica del fantastico bontempelliano su cui ci siamo soffermati alla fine del precedente paragrafo.

201 — A. Baldini, Ludovico della tranquillità, Bologna, Zanichelli, 1933, p. 29. 202 — M. Bontempelli, da L’avventura novecentista, cit., p. 799.

203 — Interessante la lettura di Pierfrancesco Morabito, per cui «l’ammonimento» di Bontempelli cavato dall’architettu- ra razionale radica sia nell’arte ‘popolare’ (nel senso di leggibile, godibile da tutti) del passato, sia nelle estetiche ultime del primo novecento, e dunque «ricava l’alchimia di un moderno umanesimo» fruibile dalla nascente «società di massa». Cfr. P. Morabito, Mito e modernità nella poetica di Massimo Bontempelli, in “il verri”, 3-4, 1995, pp. 93-111: 111.

stiamo parlando almeno una attenta e partecipata rilettura del poema deve aver impegnato l’autore. L’occasione per un ritorno addirittura erudito alle amate ottave è quella della relazione al convegno ferrarese cui abbiamo più volte accennato, che si situa cronologicamente nel cuore del- l’avventura teorica novecentista. Sappiamo che già nel ’28, sulle pagine di “900”, l’autore si dichiara- va entusiasta dell’iniziativa di Balbo e Baldini, e che nel 1930 fu invitato a parlare al Castello Estense sul tema dell’Ariosto geografo. Il cuore dell’intervento consiste in una disamina precisa delle tappe di Astolfo lungo tutta l’estensione del Furioso, dai viaggi boiardeschi che racconta «sotto la forma più immobile che possa immaginarsi»206 (quella di mirto) nell’isola di Alcina alla liberazione dell’ippo-

grifo sul Rodano. A differenza di altri interventi di romanzieri e poeti dello stesso convegno, quello di Bontempelli è un vero e proprio saggio documentato: si ricostruiscono rotte, si sciolgono topo- nimi antichi, si contestualizzano i versi nella cultura geografica del Rinascimento. Come è stato no- tato207 — e come ammette lo stesso autore208 — una delle fonti principali delle notizie su cui si co-