• Non ci sono risultati.

Questa specie di Sancio Panza intellettuale

Spirito ariosteo del realismo magico

2. Questa specie di Sancio Panza intellettuale

Per ricevere da «Ludovico» gli invocati doni di un divertito sguardo sereno sul mondo e del governo narrativo del caos (assieme a quelli associati della gioia e del coraggio/abbandono), Bontempelli dovrà attendere la svolta fondamentale della sua carriera, quella con cui sceglierà lui stesso di far coincidere l’inizio della sua opera riconosciuta. Ancora per qualche tempo infatti, dopo il 1907, la sua vicenda letteraria stenterà, malgrado i primi successi, ad assumere un profilo definibile, rima- nendo contesa tra le molte opzioni percorribili al crepuscolo della belle époque — dalla novellistica alla lirica, passando per il giornalismo e per le prime prove teatrali ed esplorando il tutto con l’orec- chio teso sia verso i nuovi esperimenti vociani e marinettiani che verso le familiari muse carducciane della cólta letterarietà.

25 — Rime, XXX, vv. 1-6: ««Madonna sète bella e bella tanto, / ch’io non veggio di voi cosa più bella; / miri la fronte o

l’una e l’altra stella / che mi scorgon la via col luma santo; / miri la bocca, a cui sola do vanto / che dolce ha il riso e dolce ha la favella». Il riferimento, in cui però ‘fronte’ e ‘stella’ sono relativi al poeta e non all’amata, è notato da France-

sco Ursini ed Emma Giammattei nel più recente commento (cfr. G. Carducci, Opere, tomo II, Poesie, a c. di E. Giammat-

tei, Milano - Napoli, Riccardo Ricciardi editore, 2011, pp. 122-123: 123). 26 — M. Bontempelli, Versi, cit., p. 601.

27 — Penso in particolare alle pagine su Ariosto e Tasso (il cui nucleo costituiva originariamente la prefazione alla gran- de edizione Treves del Furioso con le illustrazioni di Doré del 1880) in cui il poeta definisce il primo «artista [...] senza paragoni grande» discostandolo dalle favole di «certo volgo di lettori e critici dozzinali» che lo vorrebbero «fantasia sbri- gliata e smemorata che si prodiga negli episodi sorridendo ella stessa del suo smarrirsi in via dietro le mille sue favole». Carducci gli attribuisce invece «un senso dell’ordine e della proporzione, un senso della finalità artistica, mirabilmente

serio e ragionativo» e soprattutto la capacità di rimanere «tutto nel tempo suo, nel primo ventennio del secolo XVI,

quando, non rialzatosi ancora con Carlo V l’impero nella nuova forma e forza di gran potenza militare straniera a sog-

gettare l’Italia, era possibile era opportuno era utile sollevare e glorificare una antica dinastia italiana contro le insidie e le minacce della mostruosa signoria papale che al fine ingoiò Ferrara»; concludendo «e rientra nel tempo suo anche co-

me artista». (G. Carducci, Su Ludovico Ariosto e Torquato Tasso [1905], in Id., Opere, vol. XIV, Bologna, Zanichelli, 1954, pp.

Affacciatosi sulla scena nazionale con i propositi ariosteschi e post-carducciani appena visti, l’autore si era presto lasciate alle spalle le frustrazioni dell’insegnamento e, su “Nuova Antologia”, aveva conquistato una rubrica di narrativa che sarebbe rimasta sua fino allo scoppio della guerra29.

Gli anni che corrono tra l’ode All’Ariosto e la partenza per il fronte — dove, come ufficiale d’artiglie- ria, continuerà a scrivere30 meritando al contempo diverse decorazioni al valore militare — lo vedo-

no collaborare a pubblicazioni sempre più importanti e decisamente meno decentrate (fino al “Cor- riere della Sera”) e raggiungere, a metà del decennio, una sorta di peculiare equilibrismo ideologico che gli permette di scrivere e promuovere nuove poesie apertamente futuriste mentre lavora nell’uf- ficio forse più passatista di tutta Milano: quello del responsabile culturale presso l’Istituto Editoriale Italiano, per giunta alla sezione ‘Classici Italiani’. Curatore, per l’eminente collana diretta da Ferdi- nando Martini, di edizioni del Gelli, del Cavalca, di Lorenzino de’Medici e di Giuseppe Baretti (dun- que, comunque, stuzzicando la tradizione), immagina contemporaneamente, in versi liberi, «un col- tello / per tagliare l’Eternità» o voraci ingranaggi che «scivolano / qualche volta stridono / ma si va si va si va»31. Inoltre, prima dell’arruolamento, viene inviato sul campo come corrispondente e si

profonde in entusiasmi interventisti punteggiati da malinconiche riflessioni sul teatro bellico.

Questa fase intermedia merita almeno due rapidi affondi, il primo dei quali è relativo proprio agli scritti inviati nel 1915 dal fronte e poi raccolti nel volume Dallo Stelvio al mare32, di cui abbiamo

un’edizione parziale relativamente recente33. Non è forse azzardato leggere, nelle pagine più acuta-

mente reportagistiche e meno scontate (meno viziate cioè dalla retorica para-futurista34 dell’igiene

della guerra o comunque appiattite dalla legittima necessità di accumulare notizie) un’iniziale messa in pratica del programma ariostesco di osservare con distacco la realtà per cogliere il «succo giocon- do» anche dei suoi aspetti più sanguinosi, sortendo il sorriso dal lutto. Già a quell’altezza Bontem- pelli, come vedremo a brevissimo, conosceva di certo molto bene la biografia del poeta ed era un lettore attento delle Satire, che considerava espressione felicissima di quella serenità ironica che ago- gnava per sé stesso: riteneva Ariosto tanto capace di vedere e comprendere i mali del mondo quanto desideroso di appartarsi per sorriderne, sovrapponendovi immaginazioni apparentemente distanti. In un’ottica simile, brani come quello che segue mi sembrano perfettamente in linea con le aspira-

29 — Tornerà poi a pubblicare sulla rivista suoi racconti e brani di romanzo molto più avanti, per tutti gli anni Trenta e fino all’inizio degli anni Quaranta — cioè dall’elezione ad accademico d’Italia al definitivo allontanamento dal regime. In mancanza di una bibliografia completa degli scritti di Bontempelli, deduco queste informazioni dagli indici di “Nuova Antologia” consultabili presso la Fondazione Spadolini di Firenze.

30 — Non solo gli articoli di giornale e gli interventi sul foglio di trincea «Il Montello», nato dalla sua iniziativa (su que-

st’esperienza vd. U. Piscopo, Scrittura anonima e collettiva: “Il Montello” primo laboratorio, in “L’Illuminista”, IV, 13-14, 2005,

pp. 550-569) ma anche le poesie futuriste di L’Ubriaco, che saranno in seguito raccolte in M. Bontempelli, Il Purosangue, cit.

31 — Cito due dei versi più formalmente legati all’avanguardia tra quelli sopravvissuti all’ampia e impietosa campagna correttoria (costituita essenzialmente da tagli) che, nel 1933, permise all’autore di mondare la raccolta dal sintetismo futurista, piuttosto indigesto al suo gusto maturo (Cfr. le note ai testi nell’antologia citata a cura di Baldacci, precisamen- te alle pp. 961-963). Che tuttavia Il purosangue partisse come opera inclusa nel rinnovamento marinettiano è dimostrato anche dalle prime collocazioni editoriali che trovò: “L’Italia futurista” e, già in forma di raccolta, la collana di poesia di Maria Ginanni presso Facchi Editori. I due componimenti da cui si cita sono oggi in M. Bontempelli, Il purosangue [1916], in Id., Opere scelte, cit., pp. 899, 916.

32 — M. Bontempelli, Dallo Stelvio al mare, con 21 carte geografiche, Firenze, Bemporad, 1915. L’opera è tra quelle rifiu- tate nel 1919 e non sarà riammessa tra le accolte del 1930.

33 — M. Bontempelli, Dallo Stelvio al mare [1915], a c. e con un’introduzione di U. Piscopo, Napoli, Guida, 2002. Il volu- me riporta i brani che, nella princeps, erano alle pp. 19, 43-44, 47-50, 65-69, 83-84, 87-96, 123-125, 130-133.

34 — Vd. ad esempio p. 36: «Com’è igienico vedere tutte le lotte elettorali d’ieri affratellate nel grande fatto nazionale che le ha improvvisamente scompigliate e sommerse!». Cito, come più avanti ove possibile, dall’edizione Piscopo. Nel caso in cui i testi non fossero tra quelli ivi raccolti, citerò dall’edizione originale indicandola con la dicitura Dallo Stelvio al

zioni moderniste e rinascimentali della lirica del 1907.

In un punto dei più battuti sorgono pochi alberi spelacchiati di tra una distesa di macerie, e misti a queste le reliquie, i rifiuti, gli avanzi di tutto ciò che serve alla vita quotidiana dell’uomo, dal libro alla sedia e dalla padella alla ruota; e tra quel miscuglio si sforza di sporgere qualche cima di cespuglio mal fiorito, a stento, storcendo il fusto esile per raggiungere di sbieco la luce. Ora, tutto questo è circondato da un cancello, e a sommo del cancello sta scritto che “si affidano le piante alla

tutela del pubblico”. Quei cumuli di rottami hanno una vaga forma di aiuola.35

La descrizione delle macerie, che inaspettatamente si chiude con quello che gli umoristi chiamereb- bero ‘colmo’, è introdotta da una considerazione che raddensa il meccanismo di elaborazione della realtà che conosciamo: «in questa desolazione» commenta l’autore di fronte alle macerie «può fiori- re l’ironia»36. Può fiorire persino sugli usci delle trincee, vicino ai quali Bontempelli trova cartelli la

cui comicità è stavolta intenzionale — «Prima di entrare si pregano gli austriaci di farsi annunciare»37

e, contemplando intorno il paesaggio naturale nordico invaso dalle tende (con i soldati che cucinano su pietre annerite e lavano panni e stoviglie nel fiume), commenta la scena con un eloquente: «po- trebb’ essere nell’Orlando Furioso»38. Torneremo sull’istituto dell’ironia ma è intanto utile tenere

presente che, descrivendo i fondamenti della sua poetica novecentista e del realismo magico, l’auto- re scriverà, dieci anni dopo:

L’ironia è la forma artistica del pudore al cospetto dei nostri sentimenti, è un modo di allonta- narci dal contingente, di liberarci da un’aderenza troppo minuta con la superficie delle cose. È l’av-

viamento a una lucidità superiore [...]39

L’idea che collega queste righe con il vecchio proposito «di riguardar serenamente il mondo» e di levare un sorriso «ove sian lacrime» — e che si esprime, come propongo, nelle prose citate e in altre analoghe40 — emerge chiara in un ritratto di Ariosto che Bontempelli componeva negli stessi mesi,

tra il viaggio al fronte da giornalista e quello da ufficiale:

[...] quest’uomo rassegnato e arguto, lui, Ludovico Ariosto, con le avventure della sua vita di cortigiano per forza, sopportate con lo spirito di chi non è affatto uomo d’avventura e non ama se non fantasticare tranquillo tra le pareti domestiche, questa specie di Sancio Panza intellettuale, è il protagonista di quella gustosissima autobiografìa che è costituita dalle sette cosiddette Satire: capito- li autobiografici in forma di lettere, senza legami esteriori che le compongano ad unità, ma dai quali il carattere dell'uomo esce stupendamente rappresentato e ritratto, vivo, tipico: e vagamente mosso in un’atmosfera colorita e varia di divagazioni, di confidenze, di paesi, di persone secondarie, di giu- dizi assennati e acuti intorno a persone e casi del suo tempo, di storielle facete a illustrare a mo’ di apologhi la morale delle vicende del giorno. Satira, sì, ma senza veleno, anche ov’è amara. Sorride, e pare anche, ed è, serena: serenità, intendiamoci, fatta d’egoismo, di quell’egoismo inattivo, e però inoffensivo, proprio dei temperamenti d'immaginazione.

Non cieco però, né indifferente. Leggete nella prima satira il quadro della Roma borgiana: com’è compiuto, machiavellescamente partito, serrato! Ma Ludovico non è un temperamento apo- stolico, non si sente di muovere in crociata furiosa contro il male: preferisce scantonare, fuggire la strada grande ove s’incontrano le cose malvage. Cerca un viottolo, s’interna tra i cespugli, va a sede- re in un luogo solitario; e, come iI Leopardi sentiva l’infinito, così egli di dietro una piccola siepe segue a volo l’Ippogrifo, ragiona con Astolfo ed Alcina, sente e vive l’infinito mondo della sua 35 — Ivi, pp. 218-219.

36 — Ivi, p. 218.

37 — M. Bontempelli, Dallo Stelvio al mare 1915, cit. p. 51. 38 — Ibidem.

39 — M. Bontempelli, Fondamenti [1926], in Id., L’avventura novecentista [1938], in Id., Opere Scelte, cit., pp. 747-803: 754- 759: 757.

40 — Si veda ad esempio, sempre in Dallo Stelvio al mare, l’avvio di L’esercito italiano è in multa, in cui è definito «lietissi- mo» a un primo sguardo «un villaggio vuotato dalla guerra», correggendo il «gelo di morte» delle strade con l’allegria

fantasia.41

Pur ridimensionato — o meglio, spogliato dei lirismi — il mito di quello che pochi anni prima era il «Vate» e il «Poeta» resta dunque un’ispirazione chiara: è l’autore stesso ad ammettere, nei brani au- toscopici de L’avventura novecentista, di aver traversato l’ironia42 intesa come vigile distacco per rag-

giungere il suo stile successivo e più maturo. La pagina su Ariosto risale al 1916, data di uscita ap- punto del settantatreesimo volume dei ‘Classici Italiani’, dedicato a La Cassaria, I Suppositi, La Lena, Il Negromante e alle Satire. È su questo libro, l’ultimo a cura di Bontempelli per l’Istituto Editoriale Italiano, che vorrei condurre il secondo breve affondo relativo agli anni della vicinanza al futurismo e della guerra.

Dobbiamo la datazione della pubblicazione — che non riporta alcun anno — ad Ugo Pisco- po43, e sappiamo che un buon successo di vendite ha portato l’editore a preparare presto una ri-

stampa, in cui il ritratto del poeta, originariamente scelto tra quelli conservati alla pinacoteca di Fer- rara, è stato sostituito da una riproduzione della più celebre tela della National Gallery, la stessa che ha suggestionato, come abbiamo visto, Carducci e de Chirico44. Si tratta dunque del lavoro forse più

fortunato tra quelli condotti da Bontempelli sui testi della tradizione — nonché di una delle edizioni delle Commedie e delle Satire più diffuse in tutto il primo Novecento45 — e la prefazione che contiene

è piuttosto ampia. L’estensore non manca, tra considerazioni d’indubbia erudizione e giudizi in ac- cordo con le linee critiche dominanti, di andare incontro al pubblico con esempi arguti e un po’ bla- . Ad esempio, a proposito della noia di Isabella d’Este alla ‘stagione teatrale’ del 1502, commenta:

Tant’è: il gusto e la cultura classica s’imponevano e si diffondevano traverso lo snobismo — diremmo oggi — delle classi migliori, che pagano, s’annoiano e mostran di divertirsi e di esaltarsi; com’è avvenuto ai nostri tempi, per esempio, del wagnerismo: perché è legge umana che si arrivi

presto alla verità attraverso la finzione.46

Non si tratta, qui come altrove, di una semplice divagazione umoristica: il magistero ariostesco nel celare la più penetrante analisi storica dietro uno schermo di finzione tornerà utile anni dopo per proteggere il realismo magico dall’accusa fascista di non raccontare l’Italia contemporanea: «I corti- giani che si sentivan leggere dall’Ariosto le ottave dell’Orlando, non sognavano certo che le fantasti- cherie di quell’inaderentissimo sarebbero riuscite per noi la più vera e profonda interpretazione del Cinquecento italiano»47. L’ironia intellettuale poi è la stessa che vedremo informare le prime opere

riconosciute — e in questo caso intendo letteralmente la stessa, giacché in una scena della Vita Inten- sa, a proposito dell’assurda speranza di far soldi addestrando ‘gatti da pesca’ e vendendoli agli snob,

41 — M. Bontempelli, L’Ariosto minore, in L. Ariosto, Commedie e Satire, a c. e con un’introduzione di M. Bontempelli, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1916, pp. 11-29: 28-29.

42 — Cfr. M. Bontempelli, L’avventura novecentista [1938], a c. e con un’introduzione di R. Jacobbi, Firenze, Vallecchi, 1974 cit., p. 190-191

43 — Cfr. U. Piscopo, Massimo Bontempelli. Per una modernità dalle pareti lisce, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, p. 89. La monografia è certamente la più ampia tra quelle dedicate a Bontempelli e ricostruisce ampiamente la sua bio- grafia e le diverse fasi della sua vicenda letteraria, soffermandosi anche in particolare sui rapporti col fascismo.

44 — Malgrado la sostanziale assenza di informazioni paratestuali nei due similissimi volumi, l’edizione con Tiziano è, come già detto, considerata successiva negli annali curati da Agnelli e Ravegnani in occasione del centenario. A patroci- nare l’operazione bibliografica peraltro furono proprio l’Accademia d’Italia e il comitato Ferrarese: Bontempelli era parte del primo istituto ed era in rapporti stretti con i fondatori del secondo, da cui come vedremo era stato invitato a parlare a Palazzo dei Diamanti. Cfr. G. Agnelli - G. Ravegnani, Annali delle edizioni ariostee, cit., p. 136.

45 — Come già detto nella nota precedente, se ne contano due ristampe piuttosto ravvicinate. Inoltre resta quella edito- rialmente più prestigiosa fino alle edizioni anni Trenta di Vallardi, Sansoni e Le Monnier.

troviamo un calco fedele della medesima idea: «le maggiori propagande di novità artistiche o prati- che vanno affidate allo snobismo: il wagnerismo che dominò l’Europa nel trentennio ultimo [...] è il più grande esempio di tale verità»48.

Ma ci interessa soprattutto desumere dal saggio (l’unico dedicato ad Ariosto tra i molti scritti da Bontempelli, che pronuncerà un altro intervento monografico per il poeta solo in occasione del centenario — ma su questo si tornerà più avanti) la posizione dell’autore rispetto al «Ludovico» a cui si era rivolto meno di dieci anni prima come a una musa. Abbiamo visto, nel passaggio sulle Satire, il ritratto da «Sancio Panza intellettuale» che, letto accanto alle prose di guerra più su citate, dà l’im- pressione di adombrare un’immedesimazione. Si pensi ad esempio al primo scritto inviato dal fron- te, in cui «l’appressamento alla guerra» è vissuto come di là da un diaframma: con il distacco non indifferente (mostrare la guerra nello specchio della scrittura fa tremare le mani e «mette i brividi») e certo non cieco di chi intende osservare e raccontare «una grande avventura»49 senza ancora volerla

o poterla vivere:

ANDAR A VEDERE LA GUERRA... È un’idea, anzi una frase [...] una pura frase vuota di senso. La

guerra non è una cosa che SI VA A VEDERE.

Ma appressarsi, accostarsi in qualche modo alla guerra, non per entrarvi nel mezzo per viverla per morirvi; così, per sentirne qualche riflesso men lontano; lasciarla distinta, così, là, in faccia a noi, nel panorama; e noi qua, più vicini ch’ è possibile, ma non tanto, non dentro; noi ed essa; la cosa e la persona: la persona mette davanti alla cosa un suo specchio, e poi in quello specchio, in quel pezzo

di specchio stinto, che le trema tra le mani, vi fa vedere la guerra, la sua la vostra guerra...50

Percorrendo poi la storia e la fisionomia delle commedie, che mostra di non amare, l’appassionato lettore del Furioso e delle terzine autobiografiche va in cerca di deragliamenti dall’imitazione dei la- tini e di «sprazzi di genialità rappresentativa»51. Rintraccia i riferimenti di Ariosto al proprio tempo,

nota che una frecciata alla corte romana è stata tagliata dalla Cassaria nel passaggio dalla prosa ai versi e ne registra altre nel Negromante e nella Scolastica52. Si preoccupa soprattutto di mettere in luce

gli aspetti che già nel 1907 aveva dichiarato di ammirare e voler imitare e che evidentemente, pren- dendo posizione rispetto alla lettura desanctisiana, trova tipici della migliore poesia dell’autore, con- siderando un «raffinamento» il suo occasionale «accosta[rsi] alquanto alla vita reale del suo tempo»53

e «veramente “ariostesch[e]”»54 solo le menzionate allusioni filtrate alla realtà del Cinquecento. In sé

non gli interessa quello che, ricorrendo alla stessa parola della sua preghiera programmatica in versi, chiama «intrico»55: le «trappolerie», gli «amori», le «agnizioni» e tutti i moduli che costituiscono la

realtà altra della finzione diventano interessanti solo se un apparente disordine si dimostra alla fine orientato a far emergere il «disegno», appunto, a dar vita a un «carattere [...] colorito»: «perché que- sto è nel teatro (e altrove) il punto di confine dell'arte»56.

Ma veniamo finalmente alla svolta annunciata, in cui le intenzioni e le aspirazioni fiorite dalla frequentazione dei versi ariosteschi sono davvero messe alla prova.

48 — M. Bontempelli, La vita intensa [1920], in Id., Opere scelte, cit., pp. 5-147: 86.

49 — Il testo, dal titolo Appressamento alla guerra, non è compreso nell’edizione Piscopo. Nell’edizione originale è alle pp. 11-18: 11.

50 — Ibidem.

51 — M. Bontempelli, L’Ariosto minore, cit., p. 22. 52 — Ivi, pp. 23-24.

53 — Ivi, p. 54 — Ivi, p. 22.