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Lo specchio, la luna, il mago e l’ippogrifo in panne

Spirito ariosteo del realismo magico

4. Lo specchio, la luna, il mago e l’ippogrifo in panne

I due testi dei primissimi anni Venti su cui intendo soffermarmi prima di passare a una disamina più diffusa dell’Avventura novecentista sono molto diversi da quanto visto fin qui. Si tratta infatti di rac- conti lunghi comparsi direttamente in volume, in cui l’autore concede invenzioni assai ardite alla propria immaginazione e si allontana con decisione dalle tecniche del giornalismo.

Difficile inquadrare il primo, scritto due anni dopo la Vita Intensa e uscito a Firenze nel 1922, nel contesto letterario in cui è nato95. Attraverso i mutamenti che ha subito dal punto di vista para-

testuale si può ricostruire l’evoluzione che ha avuto nell’economia dell’opera di Bontempelli: edito inizialmente per la “Biblioteca Bemporad per i ragazzi” con illustrazioni di Sergio Tofano96, fu poi

messo in coda all’edizione Mondadori delle avventure (nel senso che abbiamo visto nel paragrafo precedente) di Viaggi e scoperte nel 192597, prima di trovare una definitiva ma ambigua categorizza-

zione, tra l’infantile e l’avanguardista, sotto la dicitura «favola metafisica» nel 194098. Anche nelle

riedizioni più tarde ha poi continuato a oscillare tra sedi esplicitamente dedicate ai giovani lettori e collane di letteratura generale99, entrando comunque nel canone dell’antologia di Baldacci come

uno dei lavori più significativi dell’autore.

Molto raramente — e mai approfonditamente — il nome di Ariosto è stato fatto finora dagli studiosi di Bontempelli, ma gli accenni al Furioso che punteggiano la bibliografia si concentrano so- prattutto intorno al programma novecentista di «raccontare il sogno come se fosse la realtà e la real- tà come se fosse un sogno»100, che secondo Baldacci ad esempio coincide con «lo stato di grazia che

tutta la critica concordemente (dal Foscolo al De Sanctis ai giorni nostri) ha rilevato alla base di quel miracolo poetico che è l’Orlando Furioso»101. Se finora abbiamo visto per lo più esempi di favolosa

quotidianità, in La scacchiera davanti allo specchio è la storia di un sogno a essere trattata come una vicenda di tutti i giorni. L’autore non rinuncia all’autobiografismo ma racconta un episodio della prima infanzia: chiuso per punizione in una stanza, all’età di otto anni, il piccolo Massimo si trova solo di fronte alla scacchiera e allo specchio del titolo. Il re bianco — non quello nella stanza, ma quello che si vede riflesso oltre il vetro — si anima allora per invitarlo a entrare nello specchio: chiusi gli occhi, il bambino si ritrova in una pianura infinita e scopre che il mondo in cui lo ha portato il pezzo degli scacchi è abitato dall’immagine di tutte le cose e di tutte le persone che sono state rifles- se almeno una volta da quello specchio. Dopo varie esplorazioni e peripezie, durante le quali alcuni personaggi spiegano le incongruenti regole della realtà altra in cui vivono, il protagonista si addor- menta e si risveglia, al rientro dei genitori, nella stanza, senza che sia possibile dire se tutta la storia sia accaduta davvero o se si trattasse di uno strano incubo. Come è chiaro sin dal titolo, dietro a tutta l’invenzione (oltre ai più ovvi parallelismi con Pirandello)102 c’è la scoperta di Lewis Carroll e del suo

95 — Per uno studio sulle «incerte frontiere» di genere del racconto, vd. M. Colin, Massimo Bontempelli, un écrivain pour

l'enfance? Les frontières incertaines de La scacchiera davanti allo specchio, in “Transalpina”, 11, 2008, L’Italie magique de Mas-

simo Bontempelli, numero monografico a c. di G. Spaccini - V. Agostini-Ouafi, pp. 37-58. 96 — M. Bontempelli, La scacchiera davanti allo specchio, Firenze, Bemporad, 1922.

97 — M. Bontempelli, Viaggi e scoperte seguiti da: La scacchiera davanti allo specchio, Milano, Mondadori, 1925. 98 — M. Bontempelli, Due favole metafisiche, Milano, Mondadori, 1940.

99 — Le ristampe postume per Sellerio ad esempio lo vedono sia nella celebre e prestigiosa ‘collana blu’ di Sciascia, “La memoria”, dal 1981, che, più recentemente, in “Narrativa per la scuola”.

100 — M. Bontempelli, L’avventura novecentista, cit., p. 251. 101 — L. Baldacci, Massimo Bontempelli, cit., p. 91.

102 — Penso in particolare al ruolo dello specchio in Uno, nessuno e centomila (che uscirà a puntate nella “Fiera letteraria” tra 1925 e 1926) e in generale al tema del doppio nel teatro e nella narrativa dell’autore, con cui Bontempelli era in otti-

Through the Looking-Glass, tradotto per l’Istituto Editoriale Italiano proprio negli anni in cui Bontem- pelli vi lavorava103. Il racconto rappresenta uno dei pochissimi episodi di ricezione letteraria del ca-

polavoro vittoriano nell’Italia del primo Novecento104 e, oltre ad avere un incipit e un finale quasi

identici e a ricalcare le idee dello specchio/porta e degli scacchi animati, conta lo stesso numero di capitoli105. Mi sembra tuttavia che l’influenza del Furioso sia, pur meno evidente, più utile a spiegare

l’anomala favola e che in particolare sia alla base del rapporto che Bontempelli decide di instaurare tra la realtà e il mondo fantastico che dichiara di aver visitato da bambino.

In Through the Looking-Glass Alice si trova, una volta attraversato lo specchio, in una stanza identica a quella che ha lasciato, accorgendosi che tutto è capovolto solo quando le pagine di un li- bro si dimostrano illeggibili direttamente e prova a decifrarne le parole, appunto, dal loro riflesso nello specchio. Gli scacchi con cui interagisce sono parte di una partita le cui mosse scandiscono il procedere della narrazione, basata sull’incontro di personaggi delle nursery rhymes che la sottopon- gono a giochi di parole, paradossi e analisi di poesie assurde. La nuova dimensione che la ragazza esplora è abitata dunque da creature immaginarie e si fonda su cortocircuiti logico-linguistici. Anche al piccolo Massimo viene spiegato che la stanza riflessa è identica a quella che ha lasciato, ma all’in- gresso nel mondo fantastico l’ha già oltrepassata e non vi tornerà più.

Domandai: «Dove siamo?».

«Siamo di qua» rispose il Re Bianco; «di qua dallo specchio.»

«Ma di qua» obiettai io «credevo che fosse tal quale come di là: una stanza, con un caminetto, con una parete azzurra...»

«Infatti, appena passato lo specchio c’è tutto questo, tutto uguale, fino alla parete azzurra. Ma dopo la parete, tutto cambia. Noi abbiamo fatto del cammino.»

«Non me ne sono accorto.»106

Oltre la parete, come vedremo, c’è una complessa geografia invisibile nelle cui valli si trova tutto ciò che è stato riflesso dallo specchio: uno spazio abitato da immagini parlanti e corporee in cui il non- sense della lingua non trova alcun posto. Anche rispetto all’unica altra opera italiana per ragazzi di quegli anni ispirata a Carroll, Sua altezza! di Annie Vivanti, il mondo oltre lo specchio di Bontempelli è originale: nel racconto della scrittrice inglese infatti i bambini protagonisti si ritrovano in una di- mensione in cui il linguaggio figurato ha effetti letterali, e dunque la «carta topografica» è piena di «topolini», chi è abbastanza intelligente da «diventare un’aquila» può effettivamente volare e così via107. L’interdipendenza tra la realtà ‘di qua’ e quella ‘di là’ è differente: sia in Alice che nelle sue imi-

tazioni fedeli lo specchio è soprattutto un tramite tra un luogo in cui le parole sembrano prive di un vero senso (il nostro) e un altro in cui, per assurdo, l’incongruenza si manifesta prendendo alla lette- ra le parole. In La scacchiera davanti allo specchio lo specchio invece è il luogo stesso, tanto che è uni- forme e incolore, non contiene niente che non vi ci sia specchiato e chi ci vive teme che si possa rompere ed è tenuto a tornare al suo posto se qualcuno, ‘di là’, si affaccia a guardarlo. Il microcosmo tuttavia non è semplicemente un magazzino: proprio gli scacchi del titolo, ad esempio, si dichiarano

103 — La prima edizione italiana del seguito di Alice’s Adventures in Wonderland compare nell’edizione complessiva L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, illustrazioni di R. Salvatori, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1913.

104 — Sull’argomento, vd. A. Giammei, Nell’officina del nonsense di Toti Scialoja. Topi, toponimi, tropi, cronotopi, Milano, edizioni del verri, 2014, pp. 11-58: 19-36.

105 — Naturalmente la corrispondenza vale per l’edizione citata dell’Istituto Editoriale Italiano, la quale, contenendo sia il primo che il secondo libro su Alice, finisce per totalizzare ventiquattro capitoli.

106 — M. Bontempelli, La scacchiera davanti allo specchio, in Id., Opere scelte, cit., pp. 287-340: 297.

107 — Sul romanzo vd. M. R. Truglio, Annie in Wonderland. Vivanti’s Sua Altezza! and Children’s Literature during Fascism, in “Quaderni d’Italianistica”, 1, 2004, pp. 121-143. Vd. anche M. Colin, I bambini di Mussolini [2010], Brescia, Editrice La

archetipi degli uomini di potere e delle loro vicende più importanti, tanto da ritenere il mondo ‘di là’ un risultato parallelo dei loro movimenti. A spiegarlo al protagonista — che tuttavia mostra di cre- derci poco — è il Re bianco:

I pezzi degli scacchi sono molto, molto più antichi degli uomini, che sono all’ingrosso una specie di pedoni, con i loro alfieri, Re e Regine; e anche i cavalli, a imitazione dei nostri. Allora gli uomini hanno fabbricato delle torri per fare come noi. Hanno poi fatto anche molte altre cose, ma quelle sono tutte superflue. E tutto quello che accade tra gli uomini, specialmente le cose più im- portanti che si studiano poi nella storia, non sono altro che imitazioni confuse e variazioni impastic-

ciate di grandi partite a scacchi, giocate da noi.108

Una simile doppia specularità, per cui la realtà sarebbe effetto di grandi partite avvenute in uno specchio — solo quelle, infatti, contano, mentre quelle giocate dagli uomini sono «una caricatura»109

— e lo specchio a sua volta conserva le immagini della realtà che riflette, mi sembra possa essere stata mutuata dalla luna ariostesca, in cui si trovano gli archetipi dei fatti umani (XXXV, 18)

Tu dei saper che non si muove fronda la giù, che segno qui non se ne faccia. Ogni effetto convien che corrisponda in terra e in ciel, ma con diversa faccia [...]

Tra lo specchio della luna che Astolfo scopre essere «come un acciar che non ha macchia alcuna» (XXXIV, 70) e quello «grande» e «vecchio»110 nella stanza di Bontempelli bambino non c’è una corri-

spondenza assoluta, ma si può ben argomentare almeno una genealogia. Abbiamo visto che all’au- tore di La scacchiera davati allo specchio non interessa più di tanto la sublime incongruità del nonsense e che nel suo viaggio oltremondano non sono messe alla berlina le regole della realtà e del linguag- gio. Tutto ciò che dicono il Re e le altre immagini ha perfettamente senso una volta accettato il fun- zionamento dello specchio (mentre le leggi di Wonderland sono inaffidabili e arbitrarie) e ogni rea- zione della realtà ‘di là’, pur fantastica, corrisponde alle spiegazioni iniziali. Piuttosto che vivere una complessa allegoria del mondo infantile, nella favola si esplora, come in Ariosto, un luogo inaccessi- bile ma quotidiano, presente nell’esperienza di tutti, e vi si trova una corrispondenza con quanto lasciato alle spalle. Ma per corroborare il parallelo è bene aggiungere qualche ulteriore analogia.

Quando il protagonista si allontana dagli scacchi e dalle altre immagini che ha incontrato (sua nonna da giovane, un ladro che aveva svaligiato la casa prima che lui nascesse, due facchini e altri) per esplorare la pianura che sembra circondarlo, il fatto di trovarsi in uno specchio gli impedisce di vedere nient’altro che la superficie «senza colore»111 dello spazio intorno a sé. La natura metafisica

di tale superficie è restituita con raffinatezza dalle illustrazioni di Sto, che vedono i personaggi so- spesi in un biancore assoluto e privo di dimensioni (fig. 1). Persino i piedi sembrano sospesi nel vuo- to sulla pagina immacolata (fig. 2) e di certo, oltre ai protagonisti stessi, non si vede nulla. Fuori dal- la vista tuttavia, gli altri sensi sono in grado di percepire, nella narrazione, una geografia nascosta dietro all’apparente uniformità. L’inizio del cammino è in piano, ma presto il bambino avverte un dislivello:

Dopo dieci o dodici passi mi sembra di sentire un che di strano nel mio andare, non capivo perché. [...] Ero arrivato, mi pare, a trentacinque, quando quell’impressione mi si fa chiara e precisa: l’impressione di salire. [...] Il terreno pareva sempre piano, e unito, uguale interminatamente da tut- 108 — M. Bontempelli, La scacchiera davanti allo specchio, cit., p. 309.

109 — «Le partite che contano sono quelle che giochiamo noi, e, come ti ho detto, esse dirigono i fatti umani» ribadisce il Re Bianco verso la fine. Ivi, p. 328.

te le parti. Riprendo, e quella sensazione perdura [...] faccio alcuni passi sulla linea delle mie orme, cioè tornando indietro, e qui il mio camminare era più leggiero, andavo in giù con facilità, in giù, certo: discendevo. [...] Oramai non c’era più dubbio. Sebbene, all’apparenza, io fossi in perfetta pia-

nura, stavo invece montando su per una salita112

Si manifesta poi un «non so che leggerissimo, quasi inafferrabile, mormorìo» che arriva alle orecchie del protagonista e si fa progressivamente distinguibile: «quel fremito che corre le fronde dei boschi al menomo soffio di vento»113. Domandandosi se non si trovi «in mezzo a una invisibile foresta»,

Massimo prosegue e incappa in un nuovo suono, che tradisce un’ulteriore invisibile manifestazione della natura:

Poi quel tremolìo senza cessare s’indeboliva, e invece si fece avanti e ingrandì un’altra voce, un fluire armonioso come d’acque, come d’un fiume. Anzi il suono di quella corrente era complesso come quando il fiume corre sotto i nostri piedi, che le acque vicine gorgogliano forte, e vanno spe-

gnendosi, a poco a poco, lontano, chi sa dove. Mi colse il dubbio di stare passando su un ponte.114

Da notare che l’idea del ponte non sembra avere altro scopo che quello di evitare che chi legge possa pensare che le manifestazioni sonore siano illusioni uditive e nient’altro: per sentire così chiaramen- te il fiume senza caderci dentro, il bambino non può che passarci sopra attraversando un ponte. An- dando avanti, l’ultimo suono che si incontra è quello di «onde piccole piccole che vengono a battere e allungarsi, una per una, sulla sabbia e sui sassolini» a cui poi segue il «lungo gemito flebile e inter- rotto» del vento che batte «gli scogli spezzati dei piccoli promontori» sulla costa115.

Dedicare un intero capitolo — il tredicesimo, intitolato Esplorazione, l’unico insieme al primo in cui il protagonista è da solo e la storia non progredisce — al disorientante viaggio in questa natu- ra, tanto analoga a quella del mondo reale quanto nascosta alla vista dalla liscia uniformità della su- perficie riflettente, significa assegnare alla conformazione interna dello specchio un’importanza consistente e un significato. Il mondo ‘di là’ sembra dunque come il nostro — anche se, come ve- dremo a breve, un peculiare personaggio fornirà una spiegazione diversa e spetterà al lettore decide- re se credergli o meno — ma allo sguardo non appare altro che la patina immacolata dello specchio. Il legame di tutto ciò con il canto XXXIV è ovviamente relativo alla celeberrima ottava 72, in cui l’al-

terità e l’analogia della luna con la Terra è istituita — dopo aver registrato l’apparenza di limpido «acciar» — elencando le stesse conformazioni incontrate dal piccolo Massimo: pianure, monti, valla- te, foreste, corsi e specchi d’acqua.

Altri fiumi, altri laghi, altre campagne sono là su, che non son qui tra noi; altri piani, altre valli, altre montagne, c’han le cittadi, hanno i castelli suoi, con case de le quai mai le più magne non vide il paladin prima né poi: e vi sono ample e solitarie selve, ove le ninfe ognor cacciano belve.

Ciò che si para davanti al protagonista alla fine del lungo tragitto poi è ancora più interessante. Pro- seguendo come guidato da una volontà superiore, che gli impedisce di perdersi e di cadere in burro- ni, laghi o torrenti, il bambino si trova infatti di fronte a una «ampia scavatura»116, che stavolta rico-

nosce alla vista perché una nebbia sottile si manifesta riempiendola tutta. Quando la foschia si dirada

112 — Ivi, p. 313. 113 — Ivi, p. 314. 114 — Ibidem.

Massimo si aspetta «di vedere laggiù quei fiumi, o quei boschi, o quel mare»117 che si era lasciati alle

spalle, ma trova invece «una specie di paesaggio fatto di oggetti»118.

La nebbia era totalmente scomparsa; ogni cosa si presentava lucida e nitida; c’era, in quel vasto fossato [...] una quantità di oggetti diversi. Mobili di varia specie: sedie, tavolini, mensole, cassettoni, e poi tendami; e mazzi di fiori, in vasi alti e bassi, sottili e panciuti; e cuscini, e una quantità di vasetti di più fogge; e poi libri, e un martello accanto a una lima e ad altri strumenti del genere; un attacca- panni, spazzole di varie forme e pettini e fiale, una storta come se ne vedono nei gabinetti di chimi-

ca, parecchi piumini di quelli che adoperano le cameriere per spolverare i mobili.119

Si tratta ovviamente delle immagini di tutte le cose che, nel corso dei decenni e dei molti viaggi che lo specchio ha fatto al seguito dei diversi proprietari, sono stati riflessi dalla sua superficie. Questi oggetti — per usare in senso lato la categoria di Francesco Orlando — ‘desueti’, come il modello su cui la nonna del protagonista si provava i vestiti, sono scomparsi nel mondo ‘di là’ ma il riflesso ne ha conservato un doppione e ogni doppione è radunato nella vallata. «Gli specchi» del resto, spiega il manichino stesso (l’unico capace di muoversi e parlare), «sono fatti per ricevere ed eternare le im- magini degli oggetti»120. La permeabilità dello specchio sembra dunque funzionare come quella del-

la luna, dove «ciò che si perde qui» si «raguna» proprio «in un vallon tra due montagne istretto» (XXXIV, 73) simile alla valle che si raggiunge salendo del mondo ‘di là’.

L’invenzione ariostesca del regno delle cose perdute — un regno speculare alla realtà terrestre, fatto di specchio ma dotato di una sua geografia altra — mi sembra la suggestione principale dietro queste declinazioni del Looking-Glass carrolliano, da cui si prende in prestito «l’intrico» ma non «il disegno». Proprio come aveva trovate vane le «illusioni»121 del Re Bianco, convinto di essere più che

umano e di regnare su entrambi i mondi, il bambino protagonista ascolta con distacco i discorsi che il manichino spuntato dalla valle delle cose riflesse va sciorinando quando lo incontra. L’oggetto ri- tiene infatti che gli uomini e le donne cerchino di modellarsi su di lui «per sembrare manichini an- che loro» 122 e si incorona lui stesso «re di tutto questo reame», oltre a ridurre i suoni della natura

che si sentono nello spazio dello specchio a semplici voci delle cianfrusaglie che governa, composte originariamente di elementi naturali e dunque capaci di parlare la loro lingua123. È un neo-platoni-

smo in continuo cortocircuito quello che emerge dalle convinzioni degli abitanti del mondo ‘di là’, persuasi di essere le idee pure delle cose e delle vicende terrestri ma terrorizzati dal pensiero che qualcuno, nella stanza fenomenica del mondo ‘di qua’, possa rompere il loro specchio e condannarli all’oblio.

Prima di passare al secondo testo degli stessi anni interessato da riusi del meraviglioso arioste- sco, è bene ricordare che quando Bontempelli scriveva La scacchiera davanti allo specchio l’invenzione della luna come specchio della Terra, sede geografica e metafisica delle vanità consumate dal tempo e di ciò che va perduto, era ancora considerata una novità tutta da attribuire al Furioso e alla sua ine- dita fantasia ironica. Solo negli anni Sessanta infatti il lavoro di Eugenio Garin124 che ha restituito la

fonte principale dell’episodio — il Somnium di Alberti, nelle Intercenali125 — ha potuto aprire la strada

117 — Ivi, p. 317 118 — Ivi, p. 318. 119 — Ivi, p. 317. 120 — Ivi, p. 320. 121 — Ivi, p. 306 122 — Ivi, p. 321. 123 — Cfr. ivi, p. 322.

a studi che mettessero in relazione l’elaborazione di Ariosto con la rete di riferimenti rinascimentali in cui è oggi situata126.

Su Eva ultima127, l’altra «favola metafisica» dei primi anni Venti, le rielaborazioni di contenuti

ariosteschi sono meno complesse e più divertite. La storia narra di una donna che si fa leggere la sorte da una tricomante a una fiera per poi lasciarsi portare da un misterioso giovane, Evandro, nel-