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Effetti generali delle vibrazioni nel corpo umano

Dinamica corporea sotto carichi impulsivi e vibratori Valter Parodi

6.4 Effetti generali delle vibrazioni nel corpo umano

Le vibrazioni applicate direttamente agli arti superiori sono state adeguatamente studiate, cosa che non è ancora avvenuta nei riguardi degli effetti conseguenti all’azione diretta di

ecci-tazioni dinamiche vibratorie sul corpo. Si sa che la lunga esposizione alle vibrazioni anticipa la stanchezza psichica e fisica colpendo zone selezionate del corpo, in funzione delle fn locali confrontate con lo spettro di frequenze del disturbo. Particolarmente nociva si rivela la ban-da di frequenze attorno ai 5 Hz (ad esempio un fuoristraban-da ban-dalla sospensione rigiban-da) perché caratterizzata da oscillazioni di grande ampiezza che rendono faticoso il mantenimento della postura, incrementano la ventilazione polmonare e il consumo d’ossigeno.

Gli effetti delle oscillazioni vibratorie sul corpo umano si dividono in tre grandi categorie:

1. interferenze meccaniche con le varie attività fisiche;

2. danneggiamenti meccanici irreversibili dei tessuti;

3. risposte biologiche, fisiologiche e soggettive.

1. Se le ampiezze di oscillazione raggiunte sono notevoli, vengono disturbate le funzioni neuromuscolari e sensoriali fino al punto da rendere difficoltoso il controllo preciso della postura, la lettura e la manipolazione di strumenti delicati. Anche l’emissione della voce articolata può essere compromessa. È il caso di postazioni di controllo in ambiente inquinato da disturbi vibratori.

2. I danneggiamenti meccanici possono essere diretti nei tessuti oppure provocare sindromi complesse che colpiscono interi sistemi (cartilagini articolari, disco ecc.). L’esposizione a vibrazioni comporta sempre l’aumento apprezzabile della temperatura corporea. Questo fenomeno cresce con l’ampiezza delle oscillazioni ed è da correlare ai meccanismi di dissi-pazione energetica di natura meccanica che si attivano all’interno del corpo quando vi è un tentativo di stabilizzazione del disturbo tramite attivazione muscolare e in parte sono dovuti anche a risposte metaboliche. La situazione è tipica dei mezzi di trasporto, delle macchine operatrici, dell’uso di utensili vibranti.

Nel corpo dell’uomo, superando i 3 g nella banda 10-20 Hz si manifestano dolori toracici;

per 6 g, nella banda 20-25 Hz la perduranza nel tempo genera sintomi di danneggiamenti intestinali (sangue nelle feci). Oggi conosciamo abbastanza bene la tipologia dei danni che possono verificarsi per esposizione alle vibrazioni caratterizzate da una singola forzante fon-damentale, ma non si hanno molte indicazioni riguardo alle correlazioni tra i danni possibili e le combinazioni incrociate di frequenze, intensità e tempi di esposizione. In altri termini è ancora carente la conoscenza degli effetti dei disturbi distribuiti a larga banda spettrale.

3. Molto più difficili da definire sono le ingiurie croniche da alterazione metabolica provocate da esposizioni che non producono effetti apparenti e danni diretti, almeno nei tempi limitati delle sperimentazioni in laboratorio. Per tali tipi di danni l’esperienza si limita ai casi in cui l’applicazione dell’eccitazione è concentrata e delimitata a specifiche parti del corpo (CV per i mezzi di trasporto, estremità degli arti superiori nel maneggio di utensili). Le risposte fisiologiche più appariscenti riscontrate nelle cavie e nei soggetti umani sono i mutamenti nei cicli riproduttivi, attività respiratoria e cardiaca, circolazione sanguinea periferica e inibizione dei riflessi posturali. La risposta soggettiva degli esseri umani all’esposizione alle vibrazioni si sviluppa attraverso tipici stadi successivi: percezione, disagio, apprensione e sofferenza. Gli effetti sull’individuo dipendono dall’intensità dell’accelerazione, frequenza, durata, condizioni dell’applicazione e dello stato fisico-fisiologico del soggetto. Le esposizioni ai disturbi che producono reazioni entro 5 minuti sono sempre caratterizzate da elevate intensità d’accelerazione e da basse frequenze.

6.4.1 Rachide lombare sottoposto a vibrazioni

Esiste sicuramente una correlazione tra l’esercizio professionale della guida di automezzi operativi o industriali e il manifestarsi dei dolori lombari; secondo Andersson (1981), la

proba-bilità dello sviluppo del BP, per tale categoria, è dell’80.5% contro il 50.7% della popolazione che non guida da professionista. Precedenti studi epidemiologici (Kelsey e Hardy 1975: 63;

Wilder, Woodworth, Frymoyer e Pope 1982: 243; Frimoyer e Pope 1980: 65, 1992: 101) hanno associato lo sviluppo dei disordini spinali con l’esposizione alle vibrazioni di bassa frequenza e grande ampiezza.

Una ricerca condotta con soli strumenti statistici può essere indispensabile per distinguere tra falsi e reali problemi ma la soluzione dei veri problemi richiede di individuare una relazione tra dosaggio dell’offesa e intensità della risposta biologica (Sandover 1988: 249), come anche definire il livello dello sforzo sviluppato nei tessuti delle articolazioni rachidee, in funzione delle caratteristiche dell’offesa dinamica.

Resta comunque provato che nei soggetti seduti, la prima frequenza propria è sempre compresa nei 4-6 Hz; tale frequenza dipende dal modo di oscillare del rachide, cioè dai gradi di libertà attivati in traslazione verticale e flessione anteriore; lo spettro di disturbo meccanico, prodotto dai vari veicoli, comprende sempre tali frequenze.

Indagini radiografiche hanno evidenziato il verificarsi di alterazioni geometriche degene-rative nei corpi vertebrali lombari per situazioni collegate a esposizioni croniche alle vibrazioni (Rosegger R. e Rosegger S. 1960: 241; Wilder, Woodworth, Frymoyer e Pope 1982: 243; Adams e Hutton 1985: 524; Sandover 1988: 249).

In particolare si sviluppa LBP nei conduttori di vetture delle ferrovie metropolitane; in questo caso non sono le vibrazioni, ma le forti accelerazioni orizzontali trasversali sviluppate sui binari a stretto raggio di curvatura che costringono a un’eccessiva attivazione muscolare per garantire la necessaria stabilità posturale e il fatto che tali operatori non dispongono di una presa su di un volante, utile per stabilizzare la parte superiore del tronco.

La degenerazione diretta dei tessuti strutturali della CV è da addebitare all’energia mecca-nica fornita dalle vibrazioni e anche il meccanismo di diffusione, che consente la nutrizione dei tessuti del disco, è contrastato dalla presenza di fenomeni oscillatori. La registrazione EMG dei muscoli rachidei durante l’esposizione del tronco alle vibrazioni indica che sono attivati in con-tinuazione sia per limitare gli spostamenti e sia per fungere da smorzatori per la trasformazione di energia meccanica in termica, facilmente asportabile dal flusso circolatorio.

In particolare Wilder, Woodworth, Frymoyer e Pope (1982: 243) hanno dimostrato che la attivazione-contrazione muscolare tende ad assecondare il ritmo del disturbo. La risposta, però, del muscolo non è molto congruente all’intensità dello stimolo e perciò non è in grado di sviluppare un’ottimale strategia protettiva; si potrebbe dire che la risposta del sistema neurofi-siologico non è sintonizzata in intensità sul disturbo ed è evidente l’intensificazione dell’attività dei muscoli spinali in contrazione, quando i soggetti seduti sono eccitati in corrispondenza delle frequenze proprie.

In conclusione si può ritenere che le contrazioni attivate dalle vibrazioni costituiscano un reale meccanismo d’incremento dei carichi rachidei.

Il problema della produzione dei danni rachidei per effetto delle vibrazioni si deve ancora una volta ricondurre alla comprensione di ciò che accade nell’articolazione della CV confron-tando la situazione normale, statica o fisiologicamente dinamica, con quella alterata dal regime oscillatorio.

Sotto questo punto di vista è ovvio che tanto più le condizioni di eccitazione si avvicinano alla situazione di risonanza, maggiore è l’alterazione del meccanismo di generazione degli sforzi rispetto a ciò che caratterizza la situazione statica. Questa condizione può favorire l’innesco del rimodellamento dei tessuti rigidi e molli, nel senso di favorire cambiamenti degenerativi e pro-lasso discale. Un importante lavoro sperimentale è stato condotto da Pope, Kaigle, Magnusson, Broman e Hansson (1991: 39) osservando gli EF L3-L4 e L4-L5 provati a 5 e 8 Hz in eccitazione verticale con rilievo diretto in vivo, attraverso fissaggio di trasduttori sui processi spinosi delle

vertebre in studio. Le vertebre hanno confermato di oscillare eseguendo un movimento com-posto di rotazione sul piano sagittale (0.1°-0.3°) associato a traslazioni verticali (0.1-1.1 mm) e orizzontali (0.05-0.25 mm).

Se il tronco è leggermente flesso, diventa più importante il ruolo svolto dagli arti superiori, a seconda che contribuiscano o meno al mantenimento della postura influendo sul grado di attivazione dei muscoli rachidei. La contrazione di questi ultimi irrigidisce il sistema e comporta sempre una riduzione del movimento oscillatorio nelle articolazioni. Un altro importante passo verso la comprensione degli eventi dinamici attivati dalle oscillazioni inter rachidee può essere fatto ricorrendo allo studio in simulazione.

Il suggerimento utile e conclusivo che si deve trarre da questi tipi di studi è il seguente:

• le sollecitazioni dinamiche di compressione agenti nei dischi e nei corpi vertebrali, a parità di escursione del carico applicato, sono crescenti con le frequenze e trovano un picco nella risonanza assiale; come conseguenza si ha l’aumento di deformate del corpo vertebrale e del disco, aumento degli sforzi nell’osso corticale e spongioso, della tensione delle fibre dell’anello e della pressione interdiscale;

• l’oscillazione rotazionale delle vertebre sul piano sagittale sembra maggiormente contra-stata dal contatto tra le faccette articolari piuttosto che dall’azione dei legamenti;

• la risposta di contrasto al disturbo dato dai contatti apofisari dipenderà dagli spazi tra le faccette e quindi dalle geometrie anatomiche, dallo stato di salute delle cartilagini, dalle pressurizzazione del disco, dai precarichi gravitari e dalle azioni muscolari.

Lo studio comportamentale fornito dalla simulazione risulta del tutto congruente con i risultati delle osservazioni sperimentali; questo ci conforta sul grado di affidabilità dell’ap-proccio. Lo strumento di simulazione non vale per la precisione numerica dei risultati forniti, ma per il fatto che ci fornisce uno strumento di previsione comportamentale capace di gestire il fenomeno dell’eccitazione dinamica nel suo complesso in modo sufficientemente coerente con i risultati dell’esperienza.

Vari ricercatori si sono interessati al problema ergonomico dell’effetto del tipo d’interfac-cia esistente tra il corpo umano e la superficie rigida che imprime l’impulso, come suole delle scarpe o cuscino del sedile. A parità di eccitazione si sono voluti individuare i coefficienti ottimi, in rigidezza e smorzamento, per scarpe e sedili, al fine di minimizzare l’effetto complessivo di trasmissione delle vibrazioni alle varie parti del corpo umano.

Nel caso delle scarpe, l’ottimizzazione condurrebbe a suole che si deformano di @ 35 mm sotto il peso statico di un uomo della massa di 70 kg (frequenza della scarpa 2.7 Hz, in appoggio monopodalico) e ciò è incompatibile con la stabilità nella normale deambulazione quotidiana.

Però, nel caso dei sedili, tali cedimenti statici sono del tutto proponibili.

Anche se l’ottimizzazione per le calzature non è realizzabile nella sua completezza, in tali risultati è espressa l’indicazione sui possibili miglioramenti conseguibili con l’uso di suole più morbide.

Il caso del soggetto seduto è particolarmente interessante perché con l’ottimizzazione del sedile, oltre alla notevole riduzione del valore di picco trasmesso, si ottiene una discesa della prima risonanza dai 4-5 Hz ai 2 Hz. Nel caso dei sedili di autovetture significa che è possibile attenuare efficacemente tutta la banda dei disturbi vibratori del mezzo tipicamente concentrata in 4-15 Hz.

Per quanto riguarda l’energia termica prodotta per dissipazione dalle forze interne, l’inter-vento di ottimizzazione del sedile la riduce al 20%-10%, nella parte alta del tronco e nella testa, e al solo 10% nelle anche. È ipotizzabile che, adottando sedili migliorati, si ottenga una specifica riduzione dei pericoli di cervicalgie e lombalgie, nei guidatori e nei viaggiatori professionali.