• Non ci sono risultati.

Movimenti articolari, forze e momenti di forze, parti funzionali della CV

Cenni di biomeccanica strutturale e cinematica rachidea

3.1 Movimenti articolari, forze e momenti di forze, parti funzionali della CV

La CV opera come un nucleo poliarticolato centrale del corpo umano, svolgente funzioni di interconnessione, associato a quattro catene articolari periferiche, costituite dalle serie di diartrosi degli arti superiori/inferiori. Si può intenderla come un unico, complesso, sistema cinematico, costituito per concatenazione-integrazione di sinfisi (disco intervertebrale), diar-trosi (articolazioni interapofisarie) e sindesmosi (legamenti inter e sovraspinosi). Nella Fig.

3.1 la CV vista nel suo complesso; nella Fig. 3.2 l’elemento funzionale EF, o sezione articolare del tratto toracico; nella Fig. 3.3 l’EF, o sezione articolare del tratto lombare con evidenziazio-ne dei legamenti anteriore e posteriore. Il movimento geevidenziazio-nerale della CV è attivato dalle forze (normali, N, e di taglio, T) e dai momenti (flettenti Mf, e torcenti Mt), agenti nelle varie sezioni articolari degli EF.

La parte scheletrica mobile della CV è ripartita in 24 costituenti ossei relativamente rigidi, denominati vertebre; sono intercalati e vi aderiscono degli elementi deformabili a strutturazione fibrosa e dotati di proprietà viscoelastiche complesse, i dischi intervertebrali.

Il movimento di ogni sezione articolata della CV avviene nelle tre dimensioni dello spazio;

perciò, la deformazione di ogni disco consentirà un totale di sei possibili spostamenti reversi-bili, relativi alla coppia di vertebre tra le quali è inserito. Questi sei spostamenti non sono mai

Fig. 3.1 Fig. 3.2 Fig. 3.3

totalmente indipendenti tra loro e consistono in tre traslazioni, sempre assai modeste, e in tre rotazioni, più apprezzabili, riferite alla terna cartesiana locale.

Per quanto detto, nella CV possono contemporaneamente coesistere fino a 24 x 6 = 144 piccoli spostamenti localizzati, molti dei quali tra loro dipendenti.

Risulta quindi comprensibile che uno spostamento locale, in grado di scatenare una reazio-ne algica, può essere attivato reazio-nello svolgimento di un’azioreazio-ne orientata in direzioreazio-ne differente.

Il vero movimento eseguito dalla CV è costituito essenzialmente da combinazioni di rotazioni tra le singole vertebre e tali rotazioni possono essere attivate o inibite solo dai momenti delle forze agenti nell’articolazione e non dall’azione diretta delle forze pure.

In altre parole, affinché una forza raggiunga lo scopo di creare-impedire il movimento di rotazione articolare, deve agire all’estremità di un braccio di leva e non direttamente sull’asse di rotazione.

Le azioni di tiro dei legamenti e dei muscoli, nel loro trasferimento sul rachide, impiegano dei bracci di leva assai modesti; questo vuol dire che per creare i momenti di forza necessari per attivare-contrastare un movimento, occorrono forze notevoli, come dimostrato dalla formula:

momento necessario, anche modesto = forza grande x braccio piccolo

La conseguenza è quella che si producono grandi sforzi sulla CV per il fatto che numerosi muscoli e legamenti sono vincolati a essa mediante piccoli bracci di leva e le trasferiscono, come effetto collaterale al controllo del movimento realizzato attraverso i momenti delle forze, le loro elevate forze d’attivazione. Ovviamente tali forze devono trovare reazione di contrasto nei differenti siti tessutali e questo genera degli sforzi locali potenzialmente pericolosi.

Nel rachide cervicale, in condizioni statiche, gli sforzi sviluppati all’interno delle artico-lazioni dovrebbero derivare solo dal mantenimento della postura del capo, che è un modesto carico gravitario, e dalla sua mobilizzazione. Gli sforzi tessutali derivanti dal mantenimento del capo in flessione, come nelle posture fisse lavorative, sono particolarmente intensi e pericolosi perché prolungati nel tempo. Per stanchezza il controllo può passare dai muscoli ai legamenti che, avendo bracci di leva inferiori ai muscoli, devono obbligatoriamente sviluppare forze superiori producendo così maggiori compressioni sui dischi. La CV cervicale rischia inoltre di essere coinvolta in fenomeni traumatici d’origine dinamica, come il colpo di frusta, e di subire le sollecitazioni e i microtraumatismi delle vibrazioni alla guida e stati di contrattura da stress.

Il tratto toracico interessa particolarmente quale trasferitore dei carichi, sostenuti-trasmessi dagli arti superiori, o dalla parte alta del tronco, verso la zona lombare. È chiaro come tale funzione risulti potenzialmente a rischio.

Il tratto lombare deve svolgere il compito strutturale più impegnativo non solo in quanto su di esso grava il carico maggiore ma anche perché è il sito che è direttamente aggredito dagli impulsi d’urto generati dalla deambulazione, almeno per la quota non attenuata dall’azione degli arti inferiori, ed è la regione rachidea che da sempre desta il maggiore interesse nello studio della genesi delle manifestazioni dolorose.

È convenzione individuare nelle vertebre, e quindi anche in tutta la CV in genere, due parti distinte: anteriore (sviluppo dei corpi vertebrali) e posteriore (sviluppo degli archi vertebrali).

Nella CV si distinguono due parti: una anteriore (A), delegata principalmente al trasferimento dei carichi verso il basso, e una posteriore (P), in cui si concentrano le funzioni cinematiche articolari. La Fig. 3.4 e la Fig. 3.6 illustrano la morfologia delle vertebre toraciche o dorsali; la Fig. 3.5 e la Fig. 3.7 la morfologia delle vertebre lombari.

La parte anteriore è rappresentata dal corpo vertebrale; sul contorno circolare periferico c’è un sottile strato di osso corticale compatto rigido. Il materiale interno è osso spongioso dalla rigidezza media assai modesta (circa 1/20-1/30 della rigidezza del guscio).

La parte posteriore è

valore di 90° rispetto l’orizzontale nel tratto lombare in relazione a un piano sagittale, 60° nel tratto toracico e circa 45° nel tratto cervicale in relazione a un piano frontale.

Oltre che da questi contatti diretti tra le parti, le vertebre sono tra loro condizionate dal fatto di avere i corpi vertebrali uniti tra loro da due legamenti longitudinali, anteriore e posteriore. Le lamine di due vertebre adiacenti sono tra loro collegate dal legamento giallo, mentre i processi trasversi adiacenti sono uniti dai legamenti intertrasversari. Infine, i processi spinosi sono uniti tra loro, all’estremità dei processi stessi, dal legamento sopraspinoso, mentre nella parte interna è situata la larga striscia del legamento interspinoso. La Fig. 3.8 illustra la disposizione dei lega-menti nel rachide lombare: LA, legamento longitudinale anteriore; LP legamento longitudinale posteriore; LG legamento giallo; LI, legamento interspinoso; LS, legamento sopraspinoso.

Fig. 3.4

Fig. 3.6

Fig. 3.8

Fig. 3.5

Fig. 3.7

I legamenti giallo, interspinoso e sopraspinoso svolgono una funzione di collegamento non rigido tra le parti a cui aderiscono consentendo i movimenti ma ostacolandoli nell’evoluzione eccessiva.

Il disco vertebrale, per la sua struttura ripartita in un nucleo polposo avvolto da un anello fibroso, è quello che rende fisicamente possibile il fenomeno della flessione-torsione della CV ed è quindi oggetto prediletto di offese meccaniche (degenerazione, erniazione, delaminazione dell’anello, sfondamento dei piatti vertebrale di supporto ecc.).

I legamenti longitudinali, anteriori e posteriori, rinforzano i dischi, irrigidiscono le artico-lazioni rachidee e contribuiscono a ridurre la instabilità della CV sul piano sagittale.

Le articolazioni interapofisarie, con il contatto tra le cartilagini delle faccette articolari con-trapposte, consentono solo un moderato scivolamento e contribuiscono a guidare e limitare il movimento relativo tra i corpi vertebrali durante le flessioni e le torsioni della CV.

Il sistema dei contatti nelle articolazioni interapofisarie, unito al complesso dei legamenti e alla rigidezza del disco, costituisce il già citato sistema passivo di stabilizzazione della colon-na; mentre il sistema attivo è costituito dai muscoli inseriti sui processi traversi e spinosi che agiscono, oltre che per la stabilizzazione, anche come muscoli motori della colonna.