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Sistemi di controllo nella CV e biomeccanica generale delle curve fisiologiche La mobilità della CV dipende da numerose segmentazioni controllate attivamente o

passiva-mente e il blocco delle articolazioni si ottiene grazie all’azione di numerosi sistemi di controllo, che è opportuno distinguere in passivi e attivi.

Sistemi di controllo passivi sono i dischi, i legamenti, i contatti articolari e la gabbia tora-cica; sviluppano il blocco articolare generando sempre una risposta meccanica di resistenza progressiva e antagonistica alla deformazione che subiscono. L’equilibrio è raggiunto sempre in una situazione di deformazione crescente con l’aumentare dei carichi agenti. Con essi non è possibile il controllo posturale fine. Altro inconveniente sono gli sforzi elevati cui generalmente sono soggetti i tessuti di tali costituenti rachidei che facilmente ne subiscono irreversibile offesa, in particolare se operano isolatamente e non in sincronia. Le grandi deformazioni nei sistemi passivi costituiscono la fonte dei pericoli che corrono i costituenti nervosi, intrappolati nelle limitate geometrie rachidee come le variazioni della lunghezza del canale midollare, le restrizioni delle dimensioni dei forami attraversati dalle radici, i rigonfiamenti discali che restringono le sezioni del canale ecc. I sistemi passivi hanno il vantaggio di operare mantenendo il consumo energetico metabolico poco discosto da quello basale.

Sistemi di controllo attivi sono le contrazioni muscolari e la generazione della pressione intraddominale (PIA). Possono produrre forze di intensità modulabile completamente indipen-dente e in tal modo è possibile provvedere al ripristino della postura. Svolgono quel controllo di regolazione fine degli assetti geometrici impossibile ai sistemi passivi. I sistemi attivi, uniti alle

azioni esterne e gravitarie, sono in grado di promuovere e guidare tutte le fasi delle funzione cinematica cosciente della CV. L’aspetto negativo è la loro elevata richiesta di energia metabolica che ne limita la durata d’impiego e l’efficienza nel tempo, nonché la necessità dell’esistenza di un complesso sistema neurologico per il loro controllo funzionale.

Le curve fisiologiche rachidee hanno un grande interesse biomeccanico, per la loro influenza sulla deformabilità e il controllo di tutta la CV e sugli stati locali di sollecitazione delle sezioni, specialmente quando il sistema è sottoposto all’azione preminente di un carico verticale statico o dinamico che, producendo uno stato di presso-flessione, tende ad aumentarle.

Per valutare quantitativamente lo sviluppo delle curve, è proposto l’Indice Rachideo di Delmas (ID). In una CV priva di irrigidimenti articolari, l’ID è definito come il rapporto tra la misura rettilinea verticale del rachide, dal piatto superiore di S1 all’atlante, e la vera lunghezza dell’asse della CV misurata seguendone tutti i meandri.

Un valore di normalità corrisponde a 0.95 con intervallo di 0.94-0.96; con l’aumento delle curve fisiologiche l’ID scende sotto 0.94 e determina una CV funzionalmente dinamica, mentre con appiattimento ID cresce sopra 0.96 e determina una CV funzionalmente statica.

Si tratta però di una definizione grezza e biomeccanicamente non soddisfacente in quanto non discrimina tra i contributi delle zone rachidee e nulla dice della qualità cinematica delle curve:

infatti una ipercifosi consolidata certamente riduce il valore dell’ID, ma non dinamizza la CV.

Di fatto la diminuzione dell’ID genera, per i carichi verticali, bracci di leva sempre maggiori creando momenti flettenti più elevati nelle sezioni e aumentando ulteriormente le curvature.

Col diminuire dell’ID lo sforzo dovuto a pura compressione è invariato, ma aumenta quello generato dalla flessione specialmente negli apici delle curve fisiologiche.

Nella CV con curve sviluppate e flessibili sono favoriti i movimenti di rotazione in flesso-estensione, tra i corpi delle vertebre; è più deformabile e sono più efficienti i sistemi di controllo posturale, specialmente i legamenti.

È fondamentale sapere che se una struttura meccanica, come lo è il rachide, aumenta in elasticità e cioè cresce la sua capacità di deformarsi in modo reversibile, migliora la capacità di attenuare parte delle componenti dinamiche degli impulsi d’urto che si propagano dal basso verso il capo e delle eccitazioni vibratorie durante la loro propagazione dal bacino alla sezione cervicale; mentre una CV quasi rettilinea presenta, sotto i carichi verticali, una deformabilità modesta fornita dal cedimento elastico dei dischi intervertebrali. Il sistema è caratterizzato da rigidezza assiale elevata e crescente con l’abbassamento dei dischi sotto compressione. In que-sto caso la CV svolge una funzione statica, comportandosi come un puntello tra capo e bacino.

L’aumento delle curve fisiologiche porta a un orientamento sempre più inclinato dell’arti-colazione della vertebra L5 su S1, cui deve corrispondere un’orizzontalizzazione del sacro e un incremento della mobilità sacro-iliaca. Invece, la riduzione delle curvature tende a verticalizzare il sacro e la mobilità sacro-iliaca si riduce rapidamente.

L’aumento delle curve consolida l’atteggiamento bipede statico e dinamico. Nel bipede infatti tutto il peso corporeo si trasferisce su due soli arti, cosa che massimizza l’impulso dinamico del piede durante la deambulazione, la corsa e il salto. Anche se attenuata dal sistema degli arti inferiori, una parte delle eccitazioni dinamiche giunge sempre al bacino e aggredisce la colonna vertebrale che trae vantaggio da una strutturazione di tipo dinamico.

Non è però bene esasperare le curve del rachide. Per curve cifotiche eccessive, la sollecitazione di flessione cresce troppo e il suo contrasto produce forti carichi di compressione sui dischi. Se risulta insufficiente l’azione dei muscoli posteriori, e questo può avvenire anche per stanchezza, i soli contributi dei legamenti e del disco produrranno compressioni eccessive concentrate sulla parte anteriore dei piatti vertebrali, che ne potranno soffrire; questa condizione crea condizioni di rischio nel periodo evolutivo giovanile e negli anziani. Inoltre i legamenti sono soggetti a scor-rimento di natura viscoelastica, che li rende meno efficaci col protrarsi dei tempi di attivazione.

La tensione legamentosa e la contrattura muscolare, necessarie per contrastare l’evoluzione della cifosi, sono all’origine della dorsalgia meccanica posturale. Un aumento della cifosi toracica è fatalmente associato agli incrementi della lordosi cervicale e lombare per compensazione, come anche alla possibile generazione delle relative rachialgie artrosi; mentre l’eccessiva riduzione della cifosi toracica, associata alla diminuzione della lordosi lombare, produce un incremento di carico sui corpi vertebrali nel rachide lombo-sacrale: questo può portare allo sviluppo della dorsolombalgia da progressivo danneggiamento dei dischi. Nel caso in cui, alla riduzione della cifosi toracica, si associa la conservazione o l’aumento della lordosi lombare, aumenteranno le sollecitazioni nella parte posteriore del rachide lombare. La lombalgia, la degenerazione artro-sica dell’apofisi posteriore e il tensionamento dei muscoli posteriori della coscia sembrano tutti correlabili a tali situazioni di sforzo (Pipino, De Giorgi, Gentile, Martucci 1995: 154).

Per ridurre le curve rachidee occorre la riduzione dell’antiversione del bacino, ottenuta dai muscoli estensori dell’anca, ischio-crurali e grande gluteo. La verticalizzazione del sacro riduce la curvatura lombare e ciò impone anche la correzione automatica delle curve superiori.

Nei programmi di riequilibrio posturale la scelta delle esercitazioni si basa proprio su queste considerazioni e la postura astenica viene sostituita stabilmente con una postura equilibrata e consapevole che rispetta le curve fisiologiche.

Elena Martinelli, Prevenzione del mal di schiena di origine meccanica con attività motoria e comportamentale. Approfondimenti di patomeccanica e biomeccanica rachidea ISBN 978-88-6655-650-3 (print) ISBN 978-88-6655-654-1 (online PDF),

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