Riequilibrio posturale ed esercizi antalgici
12.1 BP di origine meccanica in età adulta e anziana, problematiche legate all’invecchiamento e trattamento con l’esercizio fisico
L’attività motoria praticata con costanza mantiene il benessere generale e produce effetti positivi sul mantenimento della salute. Anche nelle persone in discreta salute generale col tempo si assiste a modificazioni fisiche e degli stili di vita sempre più ingravescenti: incremento della sedentarietà, diminuzione dei picchi di attività fisica e tendenza alla ripetitività dei movimenti e a uniformare la tipologia degli sforzi, mantenimento di posture incongrue, incremento delle disabilità fisiche e motorie, incremento di periodi depressivi, diminuzione della massa musco-lare e ossea, diminuzione dell’autostima e della fiducia nelle proprie possibilità di movimento, diminuzione dell’interesse a intraprendere attività nuove e impegnative, incremento del senso di affaticamento psicofisico, incremento del disagio sociale e tendenza all’isolamento. Man mano si configura una vera e propria forma di disabilità con limitazione dell’attività sociale, riduzione di equilibrio, forza e mobilità.
Mantenere le curve rachidee in un range fisiologico mette a riparo dal BP in ogni età ma questo avviene al massimo nel 10% delle persone perché nel corso della vita gli eventi attitu-dinali, patologici e traumatici possono indurre ad assumere vizi posturali, ai quali si vanno ad aggiungere le modificazioni indotte dall’invecchiamento.
Una delle maggiori condizioni di rischio posturale è l’ipercifosi dorsale con iperlordosi cer-vicale e lombare di compenso (Fig. 12.1, 12.2 e 12.3), che determina condizioni di sovraccarico ancora più pericolose nei casi di BP in rachide osteoporotico.
La nostra scelta di esercizi antalgici e di riequilibrio posturale, impostata su basi ergono-miche e biomeccaniche, deve però anche tener conto delle condizioni generali del soggetto, della ridotta mobilità generale e distrettuale, dei deficit propriocettivi, di equilibrio e di forza muscolare e delle modificazioni indotte dall’invecchiamento.
12.1.1 Meccanismi di trasformazione della vertebra legati all’invecchiamento
La vertebra è l’elemento rigido del sistema ma tale rigidezza è assai relativa e la deforma-bilità della vertebra è tutt’altro che trascurabile. Il corpo vertebrale è soggetto a compressione, le apofisi trasferiscono le sollecitazioni di flessione e di taglio derivanti dalla interconnessione con legamenti e fibre muscolari e pertanto una certa parte del loro materiale osseo può essere sollecitato a trazione.
Il corpo vertebrale è costituito da un guscio periferico di osso compatto molto sottile che avvolge l’osso spongioso dalla caratteristica struttura trabecolare. L’architettura dello spon-gioso è organizzata per trasmettere i carichi pressori in senso verticale, da piatto a piatto, e armonizzare gli inserimenti delle apofisi. L’osso è sottoposto a una continua azione di rimo-dellamento che ne modifica la geometria, ubbidisce a segnali di natura specifica ancora dubbia ma correlabili all’intensità e alla direzione delle tensioni agenti in modo che la geometria si adegui alla situazione operativa prevalente. Patologie, farmaci, regimi di vita e alimentari, razza, condizioni di lavoro, errori posturali risultano altamente condizionanti nei confronti delle proprietà biomeccaniche dell’osso. Inoltre l’osso vecchio risente dell’eredità storica delle differenti condizioni di rimodellamento a cui è stato sottoposto e che condizionano le differenze qualitative e quantitative di minerale e collagene a livello strutturale. L’elemento dominante della fase d’invecchiamento dell’osso è il continuo incremento di mineralizzazione. Esiste una degrado senile delle proprietà del collagene ma è nel raggiungimento dell’ipermineralizzazione che si nascondono i meccanismi di degrado della resistenza all’urto e, nelle regioni iperminera-lizzate, la frattura è facilitata dalla presenza di microcricche. La creazione di zone ad alta densità è meglio collegabile all’accumulo dei traumatismi piuttosto che al valore assoluto del grado di mineralizzazione. Per questo motivo il fenomeno del degrado delle proprietà meccaniche dell’osso sotto urto può apparire meglio correlabile con l’età che con altri parametri. Evitare i microtraumatismi non significa condurre una vita statica e sedentaria, ma semplicemente imparare fin da giovani un controllo posturale corretto e una motricità intelligente finalizzata all’uso del corpo senza commettere abusi.
12.1.2 Effetti biomeccanici dell’osteoporosi
La patologia più comune collegabile all’invecchiamento dell’osso spongioso è l’OP. Si evi-denzia generalmente nella terza età ma affonda le sue radici nell’età evolutiva; una insufficiente saturazione del tessuto osseo nei primi 20 anni condiziona l’evoluzione della patologia nella vecchiaia. È quattro volte più frequente nelle donne ed è legata al periodo menopausale e senile.
In Italia circa il 50% della popolazione femminile attuale si trova in fase pre e postmenopausale.
Dato che l’osso spongioso vertebrale ha tempi di rinnovamento estremamente rapidi con velocità circa 10 volte superiore a quella del corticale delle ossa lunghe, i mutamenti
osteoporo-Fig. 12.1 Fig. 12.2 Fig. 12.3
tizzanti stravolgono precocemente la sua struttura che diviene sede di elezione per il riconosci-mento della patologia in atto. L’immobilizzazione dell’anziano e le posture fisse cifotiche sono situazioni ad altissimo rischio che devono essere scongiurate in ogni modo.
L’OP consiste nel fatto che la cavità di riassorbimento viene riempita con una quantità insufficiente di osso neoformato; se nell’unità si ha un riassorbimento superiore alla neoforma-zione, e questa azione si esplica su trabecole più sottili della norma, si ha il taglio e la perdita di continuità della trabecola stessa. Dal punto di vista biomeccanico la trabecola così lesionata, pur garantendo un congruo contributo a rilievo sensitometrico con la MOC, in effetti perde la sua funzione strutturale intesa come riduzione della rigidezza e della resistenza dell’osso. Successivi processi riparativi risulteranno pressoché inutili in quanto depositeranno nuovo osso sui lembi delle interruzioni, ma raramente saranno in grado di ripristinare la continuità delle trabecole e con questa la vera integrità strutturale. Si può, al limite, recuperare del tutto la densità ossea iniziale pur avendo ormai compromessa gravemente la funzione strutturale. Questa visione concorda con l’osservazione del prodursi di fratture OP nell’osso spongioso pur in presenza di valori di densità ossea non sospetti.
In conclusione si può affermare che nell’anziano sono da attendersi notevoli decrementi di resistenza meccanica del corpo vertebrale in concomitanza di modeste riduzioni di densità ossea. I farmaci disponibili per lo stimolo della neoformazione sono di efficacia dubbia nei riguardi del miglioramento delle caratteristiche meccaniche dell’osso spongioso e ancora una volta si evidenzia la convenienza della prevenzione, preferendo il ricorso agli inibitori del riassorbimento osseo che svolgono una funzione di profilassi sul meccanismo di scon-nessione trabecolare.
L’osso spongioso del corpo vertebrale sano può sorreggere fino al 90% del carico pressorio totale, ma in situazioni di degrado si moltiplica il rischio di nuove fratture e questa situazione può rivelarsi estremamente pericolosa nei soggetti anziani sottoposti per molte ore a carichi aggravati da posture scorrette o a giacenze su sedie a rotelle. Attività ripetitive con carichi rachidei elevati e persistenti nel tempo possono giocare un ruolo importante nella progressione delle fratture vertebrali nell’anziano perché le rotture delle trabecole tendono a manifestarsi in adiacenza a precedenti fratture in zone espanse di danneggiamento. E poiché la ridotta forza muscolare e la ripetitività degli schemi comportamentali si traducono in costanza di sollecitazioni statiche e in un accumulo di danni da fatica localizzati, è sufficiente una modesta percentuale di rotture trabecolari per provocare forti riduzioni della rigidezza dello spongioso.
12.1.3 Modificazioni del disco intervertebrale con l’invecchiamento
Il disco è formato da un nucleo polposo fluido cerchiato da un anello fibroso costituito da numerosi strati di fibre, a inclinazioni variabili e invertibili a ogni strato, fissate con gli estremi alla zona periferica dei piatti vertebrali. Con l’invecchiamento il volume del nucleo diminuisce e la sua matrice si modifica assumendo un aspetto fibroso e solido simile a quello dell’anello. Tale trasformazione, anche se fisiologicamente correlata all’invecchiamento, viene notevolmente accelerata da abitudini di vita che sottopongono i dischi a frequenti sovracca-richi. Le fibre dell’anello sono mediamente inclinate di 30-35° nel giovane ed evolvono verso l’orizzontalizzazione con il progredire dell’età come conseguenza di un abbassamento gene-ralizzato del disco, attivando un meccanismo di strappi e sfilacciature a partire dagli strati più interni. In oltre il 50% degli anziani si riscontrano anelli con fibre degenerate ed estese calcificazioni nelle fessurazioni. La depressurizzazione del disco e il consolidamento del nucleo polposo hanno come conseguenza lo spostamento della zona pressoria dal centro del piatto vertebrale verso la periferia della vertebra. Ne risulta una riduzione dello stato tensionale dell’osso spongioso del corpo vertebrale e un trasferimento dei carichi sulle sottili corticali
del contorno. La rigidezza di tale guscio, se sommata a una cattiva distribuzione del carico in conseguenza dell’irrigidimento dell’anello, amplifica i rischi di fratture vertebrali sotto carichi statici e dinamici. Un disco sano e pressurizzato ha un comportamento da liquido favorendo la distribuzione uniforme della pressione sulla superficie vertebrale anche in presenza di un certo grado di inclinazione e di carico eccentrico. Nel rachide anziano il comportamento dei dischi è da sistema solido, con possibilità di forti concentrazioni di pressioni locali e conseguente elevato rischio di fratture a parità di carico globale applicato. Il fenomeno del cambiamento di distribuzione delle pressioni sul piatto condiziona anche nella tipologia il meccanismo della frattura vertebrale:
• nel giovane, a nucleo liquido, la frattura si manifesta centralmente con lo sfondamento del piatto vertebrale con fratture trabecolari e assenza di erniazione nello spongioso;
• nell’anziano, a disco solido, la frattura avviene a cuneo coinvolgendo la corticale verte-brale anteriore o anterolaterale.
12.1.4 Modificazioni delle faccette articolari nel rachide anziano
L’artrosi delle faccette articolari si manifesta con fenomeni più o meno marcati di danno irreversibile del tessuto cartilagineo e osseo. Nei giovani, con rachide eumorfico, prevalgono i fenomeni di semplice usura cartilaginea, mentre con l’avanzare dell’età prevalgono i fenomeni di adattamento reattivi dell’osso sub condrale. La senilità è quindi accompagnata da modifi-cazioni della morfologia delle faccette con profondi mutamenti funzionali dell’articolazione.
La degenerazione artrosica sulle faccette è stata correlata alla presenza di vizi di postura, alterazioni delle forme vertebrali, mutamenti nella cinematica del rachide, degenerazioni discali, anche se si riscontrano gravi artrosi diffuse su faccette di CV prive di alterazioni macroscopiche.
12.1.5 Modificazioni della muscolatura negli anziani
Diminuisce la massa muscolare con riduzione dell’area della fibra e una perdita del numero totale di fibre muscolari. Si riduce il numero di unità motorie funzionanti, il contenuto di fosfa-geno e di glicofosfa-geno muscolare e il volume mitocondriale. Il contributo dei vari livelli di attiva-zione delle differenti fibre muscolari del torso è fondamentale e condiziona la deformabilità del sistema rachideo garantendone, per quanto possibile, l’integrità. L’ipotonia della muscolatura di sostegno erettoria del rachide presente nell’anziano non allenato è responsabile anche del senso di affaticamento che si accompagna al raddrizzamento del rachide dall’atteggiamento cifotico e che lo scoraggia nelle manovre iniziali autocorrettive, configurandosi come un grave ostacolo al recupero della mobilità residua e di una postura fisiologica.
12.1.6 Il rachide anziano sottoposto a vibrazioni
Nelle eccitazioni di vibrazione o d’urto che arrivano sul bacino attraverso le articolazioni degli arti inferiori o sui glutei nella posizione seduta, l’energia meccanica si trasmette lungo il rachide verso il cranio. La somma dei fenomeni degenerativi connessi normalmente con l’aumento dell’età porta il sistema CV verso un irrigidimento generale. Questo significa che una sempre maggiore quantità di energia, avente origine da eventi dinamici, viene convogliata senza attenuazione verso la parte superiore del corpo e il pericolo di offese meccaniche aumenta.
Anche situazioni non estreme come la semplice deambulazione o il trasporto da seduto possono divenire per l’anziano fonti invalidanti se si ripercuotono in modo offensivo sulla parte superiore del corpo. È interessante notare che alcuni mutamenti adottati dall’anziano nella sua strategia
deambulatoria normale, quali riduzione della velocità e aumento della base d’appoggio, non sono strettamente dipendenti da impossibilità fisiche, ma mirati alla riduzione dell’entità dei picchi dinamici prodotti che egli percepisce come eccessivi a livello propriocettivo articolare toraco-lombare e negli arti inferiori.