Biomeccanica dei costituenti rachidei
4.3 Elementi di controllo attivi: muscoli
4.3.1 Muscoli come generatori di forze e loro valutazione
Accenneremo ora a un argomento fondamentale per lo studio della biomeccanica della CV e del fenomeno del BP di origine meccanica, poco sviluppato nella corrente divulgazione didattica. Si è detto che il BP di origine meccanica trova la sua manifestazione in una zona di tessuto, spesso alterato, sottoposto a uno sforzo per lui eccessivo date le condizioni in cui si trova. Tale sforzo consiste in una particolare distribuzione locale di forze che di norma hanno origine dall’azione gravitaria delle masse e dalle contrazione muscolari. La stima derivante da
calcolo e mai da misura diretta delle forze che in un dato istante agiscono nel complesso dei muscoli del tronco associati alla CV si ottiene mediante il ricorso alle tecniche che la biomec-canica ha sviluppato: l’analisi in simulazione con modelli numerici integrata con misurazioni EMG e verifiche sperimentali dirette.
Tali metodiche hanno ormai raggiunto un elevato grado di realismo ed efficienza nella loro capacità di simulare il comportamento meccanico reale dei sistemi biologici. Con i modelli del tronco s’indaga sull’equilibrio delle forze e dei momenti agenti sulla CV in condizioni statiche e dinamiche (movimento, postura e stato di sforzo). Lo studio del tronco tramite modello è stato iniziato da Schultz, Andersson, Ortengren, Haderspeck e Nachemson (1982: 713) che, raggruppando le entità anatomiche per efficacia funzionale, considerarono cinque coppie di muscoli equivalenti agenti nella sezione trasversa del tronco a livello di L3 e considerarono l’articolazione rachidea capace soltanto di resistere ai carichi verticali o di compressione e orizzontali o di taglio. Il compito di contrastare i momenti flettenti era completamente dele-gato all’azione dei muscoli; ciò equivale ad affermare che la CV era considerata con rigidezza flessio-torsionale nulla ponendo, in tal modo, i presupposti per sovrastimare le forze di com-pressione sul disco. Per la taratura di tale modello si basarono su rilievi EMG eseguiti in occa-sione di prove di sollevamento di pesi e sulle misure delle pressioni interdiscali conseguenti (Nachemson, Morris 1964: 1077).
Anche in questa forma molto elementare, il modello presenta troppe forze muscolari inco-gnite che superano il numero delle equazioni d’equilibrio che possono essere impostate, perciò il modello analitico è staticamente indeterminato e quindi non è in grado di fornire una soluzione unica in termini di ripartizione delle forze nei fasci muscolari considerati. Il problema di distri-buire le forze tra i vari muscoli ammette infinite soluzioni; non vi è limite al numero di differenti combinazioni di forze muscolari che sono in grado di soddisfare l’equilibrio flessio-torsionale nella CV, generando però compressioni discali differenti per ogni caso risolutivo considerato.
Una soluzione accettabile può essere ricercata per via numerica applicando nel modello un principio d’ottimizzazione cioè un criterio logico per distinguere le soluzioni soddisfacen-ti all’interno del caos. Il criterio è formulato sotto l’ipotesi che esista una regia intelligente dell’attivazione muscolare che si curi di minimizzare le tensioni nei vari fasci muscolari e la compressione nelle sezioni rachidee, in particolare in L3.
Si procede perciò a distribuire le forze nei muscoli partendo da quelli che presentano il braccio di leva più grande per creare il momento e, di conseguenza, per ottenere la minima compressione sulla CV; quando questi sono saturati e non possono essere ulteriormente caricati si passa all’attivazione di quelli che presentano un braccio di leva minore ecc. Per minimizzare la tensione, cioè la resistenza alla fatica nelle fibre muscolari, si deve attivare il maggior nume-ro possibile di muscoli agonisti ma non quelli antagonisti perché aumenterebbe inutilmente la compressione spinale. L’ottimizzazione così ricercata però non prende in considerazione la necessità di realizzare una stabilizzazione, seppur minima.
Per sostenere quest’ultima parte dell’affinazione del modello è indispensabile ricorrere a rilievi EMG diretti, che informano a proposito della ripartizione reale delle forze attorno a un’articolazione, attribuendo il giusto contributo a ogni muscolo. Il problema è che i modelli, specialmente quelli più realistici, contengono un numero di unità muscolari superiore a quelle che si possono praticamente monitorare con gli strumenti EMG.
Nonostante queste difficoltà si ritiene che, per risolvere il problema della ridondanza dei muscoli rappresentati nel modello limitandosi all’impiego dei soli procedimenti di ottimizza-zione, sia più problematico che applicare anche una procedura di verifiche EMG.
Hughes, Bean e Chaffin (1995: 875) hanno proposto un modello del tronco per il quale, nella sezione lombare L3-L4, risultano coinvolti 5 + 5 gruppi di muscoli e hanno introdotto l’effetto della co-contrazione dei muscoli antagonistici sulla forza di compressione della colonna.
L’equilibrio statico è calcolato a livello L3-L4 per quattro differenti effetti meccanici di pari valore numerico:
I) momento flettente, in estensione, di 50 Nm;
II) momento flettente, anteriore, di 50 Nm;
III) momento flettente, laterale destro, di 50 Nm;
IV) momento di torsione, destra, di 50 Nm.
Nella Tab. 4.4 sono riportate le distribuzioni delle forze muscolari previste dal modello di Hughes R.E. e Coll. per tali condizioni di carico.
Tabella 4.4
Forza nel muscolo (N); Lato Sinistro/Destro
MUSCOLO I
S = D II
S = D III
S/D IV
S/D
Erettore della colonna 475 0 0 / 376 0 / 586
Retto dell’addome 0 194 0 / 137 226 / 0
Obliquo interno dell’addome 0 271 138 / 191 0 / 316
Obliquo esterno dell’addome 0 302 0 / 213 352 / 0
Gran dorsale 34 0 0 / 47 11 / 0
Le tensioni massime di trazione raggiunte nelle fibre muscolari per unità di sezione, espresse in MPa (1 Megapascal-MPa = 1 N/mm²) sono:
• 0.26 per la flessione anteriore;
• 0.51 per l’estensione;
• 0.36 per la flessione laterale;
• 0.60 per la torsione.
Di conseguenza le manovre di estensione e di torsione si confermano come quelle che sol-lecitano maggiormente i tessuti muscolari, a parità del momento sviluppato.
Mc Gill (1992: 395), con un modello lombare di 10 + 10 muscoli, tratta il caso di un movi-mento dinamico di passaggio da flessione laterale in verticalizzazione, con una massa del peso di 200 N tenuta nella mano destra, come avviene nella fase iniziale del sollevamento-trasporto di una valigia. L’istante temporale che si sceglie di esaminare è descritto da un angolo di flessione laterale di 31° e un momento prodotto pari a 150 Nm alla presenza di co-contrazione muscolare modesta. La compressione sul disco risulta 10 volte il carico sollevato e i soli muscoli obliqui, erettore e psoas sinistri, sono responsabili del 77% della compressione del disco.
Lo studio rileva una torsione nella stessa direzione in cui si esegue la flessione laterale (si ricordino i movimenti associati nella CV) e dimostra, ancora una volta, che il meccanismo ge-neratore delle compressioni discali è la geometria del sistema muscolo-scheletrico del tronco.
In un loro studio, Shirazi-Adl e Parnianpour (1996: 26) considerano un soggetto che so-stiene contro il torace una massa di 45 kg. Nel modello in questione le forze necessarie per il controllo muscolare della CV lombare sono state calcolate nell’ipotesi che il soggetto esegua la spontanea rotazione delle pelvi, provocando la conseguente variazione della curva di lordosi per ridurre i momenti richiesti per la stabilizzazione a livello articolare. La distribuzione delle forze tra i vari fasci muscolari è stata eseguita imponendo, come criterio di ottimizzazione, il principio di distribuirle in modo tale da rendere minimo il totale della somma dei cubi degli
stati di tensione raggiunti nei fascicoli. Questo criterio di ottimizzazione equivale a rinunciare ad attivare al massimo i muscoli con il braccio di leva più favorevole e tende a distribuire la trazione tra gli altri muscoli in modo più equo. In conclusione non risulteranno mai fibre mu-scolari tensionate ai livelli massimi, ma anche la compressione sul disco non sarà quella minima possibile; è la strategia ottima contro i traumi muscolari e l’affaticamento, ma consigliabile solo con dei dischi privi di problemi.
Questo ci conduce ad affermare che non è mai possibile ottenere contemporaneamente l’ottimizzazione dello stato di sforzo nei muscoli, della compressione lombare e della stabiliz-zazione della CV.
Alcuni studiosi sostengono che tra le azioni meccaniche svolte dai muscoli vi è anche quella di proteggere la CV dai danneggiamenti. Anche su quest’affermazione, prima di accettarla, è bene fare chiarezza. Per un evento di carico che ha origine all’esterno del corpo e che il soggetto deve comunque subire, non vi è alcun dubbio che l’intervento muscolare, in aiuto al sistema passivo osteolegamentoso, riduce sempre lo stato di sforzo che quest’ultimo subirebbe se operasse da solo. Invece non è possibile sostenere tale tesi nel caso in cui il carico sulla CV sia provocato direttamente dall’azione muscolare libera e voluta, e magari portata all’eccesso, come nel caso di lavori o di allenamenti molto pesanti o mal condotti.
I muscoli dorsali e addominali agiscono in modo da proteggere la CV da eccessivi movimenti di flessione e torsione ma, sottoponendola sempre a un aumento di compressione assiale sotto l’effetto delle azioni meccaniche, la CV osteolegamentosa non può risultare mai scarica; quindi la situazione operativa migliore è costituita da una compressione assiale, la minore possibile e ben distribuita sul piatto, equivalente alla postura corretta, e dall’assenza o minimizzazioni di flessioni, torsioni e taglio nei dischi.
Nei confronti della sicurezza articolare della CV, il pericolo maggiore è rappresentato dall’af-faticamento dei muscoli che produce un ritardo nella loro attivazione, magari incompatibile con la dinamica dell’evento da controllare; a questo si aggiunge lo scorrimento dei tessuti non contrattili a essi associati che, sotto cicli di carico ripetuti, può inibire gli stimoli propriocettivi della CV e, di conseguenza, ridurre la tempestività-adeguatezza di protezione dell’azione riflessa dei muscoli posteriori.
Si assiste così a una staffetta poco virtuosa: il muscolo affaticato delega il contrasto ai le-gamenti e, quando questi non rispondono perché sono lassi, il compito è trasferito alle fibre esterne degli anelli dei dischi.
Inoltre la protezione fornita dai muscoli dorsali alla CV varia anche con il mutamento giorna-liero delle proprietà meccaniche della CV. Dopo un periodo di riposo notturno i muscoli dorsali non sono in grado di limitare abbastanza la flessione della CV e quindi compensare l’aumento di rigidezza dei dischi e dei legamenti che è più che doppia di quella media giornaliera; perciò in tale stato la difesa del rachide fornita dai muscoli può risultare insufficiente.
Per nostra fortuna tale situazione scompare dopo circa tre ore dal levarsi dal riposo e il con-trollo passa decisamente ai muscoli. Perciò il rischio di BP si riduce drasticamente se si evitano i movimenti di flessione del tronco durante le prime ore successive al risveglio.
Vi è comunque da dire che nei confronti della flessione del busto i muscoli posteriori man-tengono di norma un margine di sicurezza tale da impedire che la CV si fletta troppo portando i tessuti passivi oltre il limite elastico.
Esiste un altro problema connesso con l’azione muscolare su cui è doveroso spendere al-cune parole. Oramai sappiamo che solo una parte modesta della compressione che agisce in vivo sulla CV è da attribuire direttamente alle masse del tronco e a quelle manipolate in vario modo; la parte più congrua è funzione delle forze trasmesse dai vari muscoli e legamenti ade-renti alla CV. Situazioni tipiche sono 300-500 N dovuti al peso corporeo e 2000-5000 N per lavori manuali di sollevamento, da normali a pesanti. In queste situazioni e per carichi elevati,
la ripartizione dei contributi di sforzo tra i tessuti per lo svolgimento del movimento cambia in funzione dell’entità delle forze in gioco, della velocità del movimento e della durata temporale e cronistoria degli eventi di carico precedenti.
In altre parole, situazioni di carico apparentemente simili qualitativamente si possono risolvere in ridistribuzioni di sforzi completamente differenti, con produzione di conseguenze dolorose inaspettate.
Elena Martinelli, Prevenzione del mal di schiena di origine meccanica con attività motoria e comportamentale. Approfondimenti di patomeccanica e biomeccanica rachidea ISBN 978-88-6655-650-3 (print) ISBN 978-88-6655-654-1 (online PDF),
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