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Elena Garibaldi

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1976 (pagine 75-80)

La California, conosciuta co-me il « Golden State » per le sue immense ricchezze, è, insieme allo Stato di New York, quello che ha maggiormente attratto gli italiani che emigrarono in USA in cerca di un lavoro.

Essa, che ha la stessa super-ficie dell'Italia, presenta, per le sue terrazzature, per il suo cli-ma, per certi suoi dirupi, per la varietà del suo paesaggio — si può passare dal mare alla mon-tagna, dal lago alla collina nello spazio di pochi chilometri — molti aspetti simili al nostro Pae-se. Qui, dove sono sorte intor-no al 1880-1890 città dal intor-nome di Asti, Lodi, era ed è possibi-le dedicarsi alla coltivazione di qualsiasi specie, qui non c'era posto, già al tempo della prima massiccia immigrazione, per la malinconia e la nostalgia: ogni sabato suonava la Royal Italian Band al Pavillon ed al Tivoli, si davano opere italiane: dalla « Tosca » alla « Carmen », dalla « Sonnambula » alla « Figlia del Reggimento ».

Che cosa facevano gli italiani in California? I siciliani erano diventati abilissimi pescatori, i liguri si dedicavano al recupero ed alla raccolta delle immondi-zie, i lombardi ed i piemontesi, che avevano la passione della vi-te e del vino, diedero vita ai fa-mosi vigneti che, tramandando-si da padre in figlio, sono,

tutto-ra, un esempio vivente del lavo-ro italiano all'estelavo-ro.

Secondo Guasti, nativo di Mombaruzzo, definito « roccioso piemontese », ha creato la Italian Vineyard Company, i Pellegrini, i Martini, i Mondavi, i Fratelli Vai sono alcuni degli italiani che, ancora oggi, concorrono a provvedere per circa il 9 0 % al fabbisogno di vino degli USA. fi barolo, il barbera, il san-giovese ed il chianti cresciuti su colline simili a quelle piemon-tesi ricordano di nome, anche se non per il sapore, gli omonimi vini italiani ed al tempo della vendemmia era ed è tutta una fe-sta simile a quelle che si fanno in patria con l'immancabile par-tita a bocce sull'aia.

Anche se la produzione vini-cola americana segue dal punto di vista della lavorazione le clas-siche tradizioni europee e gli stessi vini statunitensi recano eti-chette che si ricollegano a note specialità italiane, francesi o te-desche le caratteristiche

chimi-co-fisiche del suolo california-no, le condizioni atmosferiche ed altri fattori imprimono al vino americano caratteristiche proprie ed autonome.

Attualmente il valore relati-vo all'industria enologica statu-nitense ha raggiunto 2400 mi-liardi di Lire con una produzio-ne riportata produzio-nella tabella 1 pari ad oltre 8 milioni di hi.

Per molto tempo gli america-ni si sono limitati a bere il vino nelle occasioni speciali, mentre oggi il vino va gradatamente so-stituendo, anche durante i pasti normali, per effetto dell'aumen-tato reddito, il latte supervitami-nizzato, la birra e le bibite anal-coliche. Oggi il consumo pro-capite è pari a 5 litri contro i

172 litri della Francia, i 136 dell'Italia ed i 112 della Spa-gna.

Il prezzo del vino da pasto in USA è ancora assai elevato va-riando dalle 1000 alle 2500 Lire al litro per quelli di produzione nazionale e toccando cifre ben

TABELLA 1. — P R O D U Z I O N E V I N I C O L A A M E R I C A N A (in migliaia di ettolitri)

1974 1970 1969 1968 Vini da tavola 4.200 2.941 2.639 2.201 Vini d a dessert 2.200 1.993 2.147 2.179 V e r m o u t h 180 138 144 130 Altri vini 1.500 1.263 835 682 T o t a l e 8.080 6.335 5.765 5.192

Fig. I - Lo stabilimento viticolo di Robert Mondavi a St. Helena, in California.

più alte per quelli importati. Infatti mentre l'esportazione è pressoché inesistente •— 600 mi-lioni di Lire all'anno circa — e, nel tempo, si è mantenuta co-stante, l'importazione di vini e brandy è stata nel 1973 pari a circa 100 miliardi di Lire pas-sando in questi ultimi dieci anni da 340 mila a 900 mila ettolitri, che rappresentano il 10% del consumo totale.

Si assiste ad una crescente do-manda per vini poco alcolici, da tavola, fatto che ha creato una carenza di uva da impiegare per i vini da invecchiare: di conse-guenza, essendoci pochi vini di quest'ultimo tipo, questi posso-no raggiungere prezzi cosi eleva-ti da essere inimmaginabili nel nostro Paese.

La maggiore produzione di vi-no negli USA si ottiene in Cali-fornia, dove la coltura della vite è uno dei settori fondamentali dell'agricoltura; infatti, secondo dati statistici recenti, la superfì-cie coltivata a vite è pari a 250 mila ettari con una produzione complessiva di 3,3 milioni di tonnellate di cui il 50% viene abitualmente destinato alla

pro-duzione del vino, il rimanente o consumato fresco, o inscatola-to od utilizzainscatola-to per produrre uva secca, produzione assai impor-tante quest'ultima.

Oltre che in California quan-titativi modesti di uva vengono prodotti nello stato di New York (140 mila tonnellate, destinati per la maggior parte a produrre spumanti), nella Pennsylvania (40 mila tonnellate) e nel Michi-gan.

L'arte di fare il vino fu intro-dotta in Messico dagli Spagnoli e di qui si diffuse dapprima nella baia di California ed in seguito nella parte settentrionale della California; secondo la tradizione sarebbe stato un missionario, Pa-dre Junipero Serra (famoso per aver fondato molte delle missio-ni poste lungo il Camino Real), a piantare le prime viti nella Missione San Diego intorno al 1769 a cui succedettero altri Francescani di missioni sparse per lo stato.

Anche se il primo vigneto fu piantato, in California, da alcu-ni Padri Francescaalcu-ni, il campio-ne vecampio-nerato della viticoltura ca-liforniana, è senza dubbio

Ago-ston Haraszthy, un nobile unghe-rése approdato negli Stati Uniti

dopo essere stato espulso dal suo paese per i suoi sentimenti con-trari alla monarchia asburgica. Promosso « Colonnello » dai suoi compagni di ventura, durante la lunga marcia dalla costa atlanti-ca a quella del Pacifico, sceriffo della Contea di San Diego, mem-bro della Assemblea legislativa californiana, autore di « Utazas Eisakamerikaban » (viaggio nel-l'America del Nord), Haraszthy avviò in California la viticoltura su base industriale, con criteri tecnici europei, ed una intensa attività pubblicistica e promozio-nale a favore di una migliore co-noscenza della vite e del vino.

L'esempio di Haraszthy fu ben presto seguito da schiere di pionieri, Charles Kohler, Wil-liam Hood. Colonnello A.J. Bu-tler, la famiglia tedesca Gund-lach, e persino da tre eminenti Senatori degli Stati Uniti, Tames Graham Fair, George Hearst e Leland Stanford, che investirono risorse finanziarie ed energie nel-l'industria viti-vinicola, all'inse-gna dello slogan «...Esisterà sempre un mercato per il vi-no...! ».

Un giornale americano pub-blicava, il 5 novembre 1891, questo elogio al Senatore Stan-ford: « ... È degno di nota il fatto che il Senatore non mette in ven-dita il suo vino se non quando è invecchiato di almeno tre anni. Capita, al contrario, che molti viticoltori californiani siano co-stretti a vendere il proprio vino appena prodotto, un gesto che ha portato il discredito su questa nostra terra... ».

Stanford, alla sua morte, av-venuta nel 1893, fu pianto dai suoi concittadini non soltanto per i meriti civici e politici, quan-to per il contribuquan-to al progresso

dell'industria vinicola california-na. Giustamente, possiamo affer-mare, se rileggiamo una sua di-chiarazione: « L'impiego genera-le del vino da parte del popolo rappresenta un positivo fattore di salute, rilassamento, tempe-ranza. Come bevanda sul desco familiare il vino porta più van-taggi che svanvan-taggi... ».

Al tempo della dominazione spagnola nella California, quan-do i primi vigneti spuntavano, qua e là, nelle verdi vallate di questa regione, si erano verifi-cati i primi tentativi di contraf-fazione della storia vinicola sta-tunitense. Nel 1834, infatti, cer-to Gamboa y Caballero, che com-merciava fra le località di Mon-terey e San Luis Obispo, vendet-te ad un gruppo di Indiani, spac-ciandola per purissimo vino di qualità, una mistura di zucchero bruciato sciolto in acqua. Un cronista attento dell'epoca, Ban-croft, riportava il fatto cosi: « Gli Indiani si lamentarono per-ché la bevanda non li rendeva felici, ma Gamboa y Caballero rispose prontamente che questo ' vino ' era stato tanto a lungo invecchiato da perdere gusto e forza ».

A quanto pare gli Indiani era-no il bersaglio dei contraffattori. Le cronache riferiscono ancora che un tale Jouan Bandini, ta-verniere, vendette nel 1837 ad alcuni pellirossa vino adulterato e per di più li punì per essersi ubriacati !

Nel 1845, l'allora Governa-tore messicano della California, Pico, cercò di porre riparo a que-sto stato di cose con una legge speciale che impose la licenza ai coltivatori di uva, l'ispezione quotidiana dei villaggi indiani e bisettimanale negli spacci di vi-no. Penalità: multe di cinquan-ta dollari, o quattro mesi di

la-vori forzati. Nel 1847, dopo il trasferimento della California dalla sovranità messicana a quel-la americana, il nuovo Governa-tore, Generale Kearny, ordinò di chiudere le taverne la domenica ed elevò le pene a 100 dollari di multa o sei mesi di carcere. Altre tappe importanti per lo sviluppo della viticoltura califor-niana riguardarono l'apertura della ferrovia transcontinentale Atlantico-Pacifico che consenti ai viticoltori californiani di espor-tare i propri prodotti su tutto il mercato americano, quindi l'apertura, nel 1880, di una Sta-zione Sperimentale di viticoltu-ra, dipendente dall'università di Berkeley e successivamente l'ar-rivo degli Italiani. Essi si trovano ora sparsi, a capo delle loro vi-neyards (stabilimenti vinicoli), in numerose contee della Cali-fornia come Sonoma, Napa, San-ta Cruz, SanSan-ta Clara, Fresno, Modesto, ecc.

« Sono i figli della soleggiata Italia — mi dice foe Hanghey del Wine Institute di San Fran-cisco — che hanno dato illustri contributi all'industria vinicola californiana. Italiani, o nati in

Italia o figli di immigrati, hanno avuto ed hanno tutt'ora, un ruo-lo preminente.

Ecco alcuni nomi, oltre a Se-condo Guasti, Sbarboro, Giovan-ni Dematteis di Asti che giunse in California nel 1886 e due an-ni dopo piantò circa 300 ettari a vigneto, Scatena, Giannini, Meda, Bertero, Bargetto, Gamel-lo, Accomazzi ».

Samuele Sebastinai ha inizia-to a Sonoma la sua produzione di vino con 2000 1 ed è andato successivamente ingrandendosi con grande spirito imprendito-riale tanto da diventare una fi-gura preminente nella zona. Egli ha costruito anche case per i suoi dipendenti, strade ed ha do-nato una scuola alla collettività. Dalla sua morte il figlio Augusto sta continuando con pari succes-so l'iniziativa del padre ed at-tualmente dispone di molte mo-derne attrezzature per la distil-lazione. Egli, che ha ereditato dal padre l'amore per il vino ac-coppiato ad un notevole spirito organizzativo, è giustamente or-goglioso di quanto ha saputo creare. A chi gli chiede il segre-to per quansegre-to produce risponde

Fig. 3 - Stufe a cherosene impiegate per il riscaldamento di soccorso, in caso di gelate tardive.

che il merito è da attribuirsi in parte al favorevole clima di So-noma, generoso di acqua e di so-le, ed in parte alla operosità del-le persone che lavorano nella sua azienda. È anche un ospite deli-zioso ed accompagna personal-mente i vari visitatori in giro per il suo stabilimento intrattenen-doli amabilmente sui segreti del vino.

Anche Robert Mondavi, un altro figlio di emigrati italiani, è una singolare figura di impren-ditore. Egli, come molti altri, non si limita ad avere ettari ed ettari coltivati a vigneto e pos-sedere locali di vinificazione, di conservazione e di invecchia-mento, ma ha organizzato de-gli appositi giri all'interno della sua proprietà, sotto la guida di personale specializzato, duran-te i quali è possibile appren-dere ogni dettaglio di coltiva-zione ed avvicinarsi ad un mon-do affascinante. Senza contare che sono previste apposite de-gustazioni gratuite che costitui-scono un piacevole passatempo domenicale. Perché i viticoltori piemontesi non imitano que-sta usanza americana e cercano

di fare conoscere tutti i segreti dei nostri vini attraverso visite guidate che servirebbero alla va-lorizzazione del prodotto?

I vigneti della California han-no, quindi, una lunga tradizione e sono responsabili attualmente della produzione del 73% dei vini consumati negli USA. In questo stato è possibile scegliere tra zone a clima più fresco adat-to all'ottenimenadat-to dei vini sec-chi e di spumanti (in quanto la maturazione dell'uva è lenta, i grappoli contengono una quanti-tà maggiore di acidi organici e minore di zuccheri e profumi) e zone più calde indicate per la produzione dei vini da dessert (dato che i grappoli posseggono un maggiore contenuto di zuc-chero) .

I viticoltori californiani cono-scono esattamente in quale loca-lità ciascuna varietà di uva può fornire i migliori risultati, per-ché questo argomento rappresen-ta uno dei più imporrappresen-tanti settori di ricerca del dipartimento di viticoltura e di enologia dell'Uni-versità della California.

Come abbiamo già avuto oc-casione di dire per altre colture

agricole anche nel caso della vite il mondo della ricerca è negli USA a stretto contatto con quel-lo della pratica. Infatti presso il <•• Department » di viticoltura del-l'Università di California a Da-vis, non lontano da Sacramento, e nelle varie Stazioni Sperimen-tali disseminate per tutta la Ca-lifornia sono affrontati temi di interesse pratico: ricerca di va-rietà adatte, in base alle caratte-ristiche del clima e del terreno, tipi di potatura più interessanti, tecniche di fertilizzazione e di ir-rigazione (sta diffondendosi quel-la a goccia), modalità di lotta contro le gelate tardive median-te appositi ventilatori ed il riscal-damento di soccorso.

A Davis un programma di mi-glioramento in pieno svolgimen-to attualmente ha come obiet-tivi:

a) per le uve da vino

l'ot-tenimento di varietà adatte a cli-mi caldi, quali si hanno nelle pianure interne, ad alta produt-tività, con grappoli che si stac-chino dalla pianta facilmente;

b) per i vitigni da tavola

l'ottenimento di varietà apirene, con acini grandi, di colore bril-lante, a polpa saporita, soda e croccante, a maturazione molto precoce o molto tardiva;

c) per la varietà da uva passa — assai diffusa per i mol-teplici impieghi che ha in pa-sticceria — l'apirenia, la preco-cità di maturazione, la rapidità di appassimento, il colore e la consistenza degli acini.

Anche sulla raccolta meccani-ca — tema di ricermeccani-ca affrontato già da lungo tempo — nonostan-te le difficoltà insinonostan-te nel proble-ma, si è giunti ad una positiva soluzione. Infatti, come nel caso delle maggior parte delle specie

da orto (dalla lattuga al cavolo broccolo), anche nel caso del-l'uva la raccolta avviene mecca-nicamente.

Anche le tecniche della vini-ficazione sono state approntate su base scientifica presso i Di-partimenti di industrie agrarie operando in stretta collaborazio-ne con i produttori, tanto che attualmente sono assai avanzate come d'altronde i processi di in-vecchiamento.

I coltivatori in California spesso producono, imbottigliano e commerciano vini provenienti da tipi diversi di uva, in quanto è sempre economicamente più vantaggioso non concentrare la produzione su un solo tipo di vi-no. In questo stato circa il 75 per cento dei vini prodotti ap-partengono ai tipi da tavola e da dessert e l'altro 25 a quelli da aperitivo ed agli spumanti. Dei vini da tavola circa 4 / 5 sono ros-si (comprendendo in questa ca-tegoria anche il rosé) e 1/5 bianchi.

Quali sono le varietà maggior-mente coltivate? Tra i vini bian-chi il « Moscato di Canelli », usato per produrre l'Asti spu-mante, ha un aspetto moderata-mente vigoroso, predilige il terreno sabbioso-limoso, viene raccolto tra la metà di agosto e l'inizio di settembre, fornendo una resa variabile da un anno al-l'altro aggirantesi tra 12 e 16 ton/ha potendo anche giungere a 20-24 nei terreni migliori; il v Trebbiano » di origine tosca-na; il « Sauvignon » bianco; il « Semillon », provenienti dalla

Fig. 4 - Sistema di allevamento che facilita la raccolta meccanica.

Francia; il « Palomino » che è stato introdotto dalla Spagna e serve pure per la produzione di Sherry; il « Peverella » che pro-viene dal Sud Tirolo. Tra i vini rossi assai diffusi sono il « Bar-bera » che produce 14-20 t o n / ha, viene raccolto a metà settem-bre totalmente a macchina; il « Cabernet »; il « Pinot nero » ed il « Grignolino ». Tra i rosé il « Gamy rosé »; il « Cabernet rosé » ed il « Grignolino rosé ». Per quanto riguarda gli cham-pagne, un tempo erano serviti solo in occasione di particolari cerimonie, oggi invece sono im-piegati molto diffusamente, an-che nei numerosi « parties » tra giovani, assai frequenti negli USA, specialmente nei piccoli centri dove hanno sede le varie università ed i divertimenti non sono molti. Quindi un esame su-perato brillantemente, la vittoria della propria squadra di base-ball, l'arrivo di un collega dal-l'estero sono tutte occasioni per

una coppa di Cold Duck, uno dei più popolari champagne.

Negli USA il termine vino da dessert è improprio perché il vi-no vi-non viene solitamente servito con il dessert, ma è consumato tra i pasti o durante un rinfresco o al pomeriggio con i dolci e, a volte, anche prima del pasto co-me aperitivo. I vini aperitivi e quelli da dessert contengono cir-ca il 20 per cento di alcool; men-tre i vini da tavola ne hanno il

12-13 per cento.

Chiedo infine a Maynard Amerine — un esperto di pro-blemi di viticoltura — quali sia-no gli obiettivi dei californiani nel settore viticolo: « È sempli-ce — risponde — , mentre molti anni fa offrendo ad un visitatore europeo un bicchiere di barbera della California si vedeva che lo accettava con riluttanza e lo be-veva con varie smorfie, oggi si sente dire che non è male, do-mani si dirà, forse, che è miglio-re di quello piemontese! ».

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1976 (pagine 75-80)