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Franco Barbano - Maura Fracchi a

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1976 (pagine 53-58)

La tradizione giornalistica del Piemonte.

« Casale era una grande provincia del Regno Subalpino quando, in seguito all'editto sulla stam-pa, sorse qui il giornale del ' Carroccio ' che fu fondato il 21 gennaio 1848. ' Il Carroccio ' ave-va come sottotitolo: ' giornale delle province ', quindi si rivolgeva a tutti gli abitanti del Regno sabaudo: era un giornale per cosi dire ' nazio-nale ' ». Lo ricorda Franco Ponti, sindaco di Ca-sale, in apertura del convegno sulla stampa locale tenutosi nel dicembre scorso nella sua città per iniziativa della locale sezione di Italia Nostra e con il patrocinio del Consiglio Regionale.

Casale vanta quindi forti tradizioni culturali sotto l'aspetto giornalistico e l'età dei suoi due giornali attuali — il Monferrato (105 anni) e la Vita Casalese (66 anni) — lo sta a dimostrare. Sono nati molto prima dell'unità nazionale, quan-do ci fu un vero fervore di iniziative analoghe. « Infatti, precisa Ferruccio Borio, capocronista della Stampa e acuto studioso della materia, l'ori-gine del giornalismo piemontese si può collocare 130-140 anni fa. Al termine della rivoluzione francese, il seme dei nuovi concetti aveva potuto germogliare nei nostri ambienti; la coscienza della nuova borghesia subalpina, aiutata dalle illusioni per Carlo Alberto e Pio IX, ha consentito il fio-rire di un nuovo giornalismo, quello che possiamo considerare come l'inizio del giornalismo moder-no. E cosi sorgono fogli — ancora oggi in vita — come la Gazzetta di Mondovf (127 anni) il Citta-dino (113 anni), il Monferrato (105 anni), la Sesia (102 anni) il Corriere di Novara (98 anni), il Galletto di Asti (95 anni), il Biellese (93 anni). La stessa Gazzetta del Popolo ha 127 anni e la Stampa 109 anni ».

Tutta la storia del Piemonte è costellata dal nascere di nuovi fogli giornalistici. Ancor oggi rimane la regione più prolifica, sotto questo aspet-to. Dei sei bisettimanali stampati in tutta Italia,

ben cinque sono in Piemonte; 76 sono i settima-nali. A voler contare tutte le pubblicazioni edite e stampate nella regione si arriva a cifre impres-sionanti.

« In Piemonte esistono 790 periodici — con-ferma Borio — ; vi è tra essi la pubblicazione più importante e quella meno, ma stiamo attenti a dare valutazioni troppo affrettate! Non possiamo dire ad esempio che non è importante il ' Colti-vatore ' di Cuneo, se verifichiamo che stampa ben 60.000 copie! ».

Il numero delle testate attuali.

« Di fronte a cifre del genere noi rimaniamo disorientati — afferma Oscar Lacchio, direttore di una catena di giornali cattolici nel Biellese — ma non possiamo certo contraddire un conteggio sta-tistico. È comunque necessario approfondire l'ana-lisi, delineare un panorama più preciso e detta-gliato della stampa locale, se vogliamo tentare di risolvere il problema ».

Oggi manca un vero censimento delle testate in Piemonte. Lo stesso ufficio stampa della Re-gione non dispone di un elenco completo e aggior-nato; l'unico dato serio è offerto dall'elenco stilato dalle Camere di commercio e dalla statistica an-nessa al volume di Borio: ' Giornali nella tem-pesta '. Secondo queste fonti le pubblicazioni sa-rebbero: 471 in provincia di Torino 104 in provincia di Alessandria 70 in provincia di Vercelli 70 in provincia di Cuneo 57 in provincia di Novara 18 in provincia di Asti.

« Non possiamo comunque accettare un elenco cosi fatto — dice Lacchio. — Bisogna promuo-vere commissioni tecnico-politiche che sappiano

stabilire delle classificazioni omogenee in cui orientare il discorso. È chiaro che la componente politica potrà trovarsi imbarazzata a compiere delle scelte tra testata e testata, ma è un lavoro da farsi, preliminare ad ogni altro... Io stesso sono direttore del ' Biellese ' e di altri sette periodici: certamente mi sento di chiedere considerazione più per il ' Biellese ' che non per gli altri, che non hanno una funzione informativa cosi immediata e cosi tempestiva ».

La difficoltà consiste evidentemente nel trovare i parametri con cui discriminare tra testata e testata.

« Se per giornale si intende qualcosa di con-creto — suggerisce Carlo Caselli direttore del-l'' Eco di Biella ', — qualcosa che abbia alle spalle dei redattori regolarmente pagati e dei tipo-grafi regolarmente retribuiti, è perlomeno scor-retto sollevare il polverone delle 800 pubblica-zioni; si intende forse con ciò anticipare una gerarchia di merito? Come a dire che se le pub-blicazioni di taglio locale arrivano ad essere circa 800, ebbene queste si ritirino dalle richieste di sovvenzioni perché né Stato né Regione potranno mai soddisfare 800 richieste e così la questua rimarrà esercitata solo dalla stampa nazionale... ». Stampa locale e stampa nazionale.

Oggi, in Italia, per stampa nazionale si intende quella offerta dai giornali che hanno una diffu-sione anche al di fuori della Regione dove hanno sede le loro direzioni. Non è l'accezione più cor-retta: infatti giornale nazionale dovrebbe essere quello che tratta problemi fondamentali politici economici sociali e di cultura che interessano tutto il Paese, con esclusione dei fatti margi-nali o semplicisticamente di cronaca. È l'identità — supponiamo •— ricercata dalla ' Repubblica ' di Scalfari.

In Piemonte esiste una stampa nazionale, anche nella sua accezione più limitativa?

Borio è convinto di no. « La Gazzetta del Po-polo è giornale nazionale per tradizione, per te-stata, ma in effetti è un giornale regionale, non esce dai confini piemontesi se non per una minima parte... La stessa Stampa è un giornale di presti-gio, di grande diffusione, ma cinque copie su sei circolano in Piemonte o nella Liguria Ovest. Nella regione quindi abbiamo semmai dei giornali na-zionali di importanza regionale ».

E, nonostante questo inquadramento limitativo

il giornale nazionale non risponde alle necessità di tipo locale. SS è consentita l'approssimazione, si potrebbe affermare che se il grande foglio non ha trovato la sua collocazione in campo nazio-nale, d'altro canto, ha perso la sua matrice pro-vinciale.

A ciò si sta tentando di porvi rimedio: basti pensare allo sforzo di provincializzazione che fa la Gazzetta del Popolo con le sue 9 edizioni (un tempo ne sfornava addirittura 13) o alle 12-14 che fanno la Nazione, il Resto del Carlino, il Mes-saggero. La stessa Stampa, oltre all'edizione per l'area di Torino e a quella per il Centro Sud Ita-lia, fa l'edizione di Novara, l'edizione del Pie-monte Sud ed ha in programma l'edizione del Piemonte Nord.

« Questa è una vera e propria razzia di lettori •— esclama Caselli — a danno della stampa locale. Il giornale quotidiano perde lettori, per motivi che non è il caso di ricordare e usa i cospicui contributi statali (sul prezzo della carta, ad esem-pio) che la stampa locale non riceve, per aumen-tare il numero delle pagine ed invadere campi estranei al naturale ambito di diffusione. Per raz-ziare lettori, appunto. Tempo fa le organizzazioni sindacali vietarono alla Stampa di includere nelle 10.000 copie per Roma un foglio cittadino, anche soltanto di informazione di spettacoli: questo perché si voleva evitare che la Stampa — giornale

urbano di Torino — divenisse giornale urbano di

Roma. Però le stesse organizzazioni non vietano alla Stampa o alla Gazzetta di trasformarsi in strumenti di informazione urbana vercellese o alessandrina o cuneese, con danni economici mol-to gravi che ricadono sulle redazioni e sulle stesse tipografie dei giornali locali! ».

La replica di Ferruccio Borio è tranquilliz-zante: « Quando i giornali nazionali fanno fogli ed edizioni provinciali essi si illudono di poter razziare lettori ai settimanali locali; in realtà se li rubano a vicenda... La Stampa, ad esempio, ha esordito con l'edizione novarese perché là il Cor-riere della Sera era più forte. Lo stesso è avve-nuto in Liguria: c'è stata una lotta tra la Stampa ed il Secolo XIX e quando questo ha messo i calendarietti e i portachiave come omaggio, ha recuperato i lettori che la Stampa gli aveva preso. Con l'edizione cuneese abbiamo aumentato la tira-tura di 24.000 copie, ma a chi l'abbiamo prese? Alla Gazzetta del Popolo non certo ai giornali locali! Ognuno di noi — stampa nazionale e stampa locale — si batte su campi diversi, gioca

su posizioni diverse: noi non possiamo certo mi-nacciare i giornali locali, quelli tipici che hanno una loro formula collaudata, una loro forza... Per quanto riguarda il divieto impostoci a Roma, lo riconosco, avvenne. Ma ora la situazione è cam-biata: il Corriere della Sera sta allestendo a Roma una sua redazione, di venti persone, per fare una sua edizione romana, con tre pagine di crona-ca... ». Si è capito che non c'è rischio per la stampa locale quando giunge un giornale esterno.

Sembra cosi confermato l'ottimismo di Tullio Forno, giornalista del Monferrato, secondo cui « simili iniziative non possono dare risultati deci-sivi e tanto meno creare seri imbarazzi ai gior-nali locali, a patto però che questi prendano co-scienza del loro ruolo e del modo di interpretarlo.

Il compito è molto impegnativo: dare l'avvio ad una informazione più completa e documentata, riportare alla luce valori culturali sopiti ma tut-t'ora ben vivi, affrontare i problemi della comu-nità territoriale in cui sono presenti.

Quello del recupero dei valori culturali sopiti è un tema di estremo interesse per Alfredo Salvo, urbanista e membro di Italia Nostra; « la cultura periferica, non ancora completamente ricaduta nella massificazione metropolitana e quindi an-cora genuina, può ricevere stimoli di recupero e di rilancio proprio dai fogli locali, da quei perio-dici le cui competenze sono passate, dalle cinte daziarie, ai confini comunali ed ora devono ten-dere alle aree comprensoriali ».

La stampa locale nei comprensori e nella Regione. Per Forno i comprensori sono « le più autenti-che creature della Regione. Ad essi spetterà il compito arduo ma esaltante di chiamare Enti lo-cali e cittadini ad una nuova sintesi di partecipa-zione ». E, per Borio, « tra il giornale e il com-prensorio dovrebbe nascere uno scambio alterno come tra due poli ricetrasmittenti: da una parte deve partire il messaggio (cioè dal comprensorio la segnalazione di problemi) e dalla parte del gior-nale deve avvenire la sua ricezione; dopo l'ana-lisi e le osservazioni, il rilancio al territorio. Un rapporto biunivoco come si vede; perché se ci si limitasse ad un senso unico, ossia se ci si ac-contentasse di un giornale che fa del cattivo gior-nalismo, pubblica articoli insulsi, sterili comuni-cati, annunci economici o di stato civile, allora è inutile esprimere tante belle parole ed intenzioni sulla funzione del giornalismo ».

La possibilità da parte dei giornali locali di reggere il proprio ruolo è problema politico, più che amministrativo o finanziario. È l'opinione di Dino Sanlorenzo, presidente del Consiglio Regio-nale: « La soluzione sta nella capacità che hanno tutte le testate, piccole e grandi, del Piemonte di rendersi conto di ciò che si sta muovendo nella società e di essere all'altezza di queste trasforma-zioni. Se questo non avvenisse, sovvenzioni e pre-bende, aiuti e misure, centri stampa unificati, le-gislazioni più o meno perfette, non salverebbero una sola di quelle testate che non fossero in grado di recepire e di essere protagoniste nella trasfor-mazione della società italiana. Il dibattito è dav-vero tutto da fare: se noi non avvertiamo che l'Italia è da alcuni in profonda trasformazione; se non avvertiamo che la stessa possibilità di azione di alcuni grandi giornali che agiscono an-che in Piemonte non è stata data dalla loro capa-cità finanziaria e tecnica ma è stata ottenuta dal fatto di aver intuito e recepito le mutazioni della società e di essersene fatti interpreti; se non ve-diamo che cosa si è opposto alla concentrazione delle testate; che cosa si è opposto a far si che i giornali avessero diversità tra loro soltanto per il fatto che qualcuno puzzava di petrolio e qual-cuno puzzava di benzina; non possiamo pensare di aver posto esattamente il problema.

Ma questo che significa?

Nello stesso momento in cui pensiamo ad una politica che garantisca le condizioni di partenza ai giornali minori, nello stesso momento in cui ci poniamo questo obiettivo, dobbiamo dire che que-sti giornali, i giornali minori, debbono ampia-mente trasformarsi, ampiaampia-mente modificarsi.

Io so che i protagonisti del rivolgimento sociale in Italia non sono pochi demiurghi; sono milioni di uomini onesti, di operai, di lavoratori, di con-tadini che hanno resistito alle lusinghe della cor-ruzione e dell'ingabbiamento... Questi uomini hanno una carica e una volontà di rinnovamento che ha bisogno di essere aggiornata e arricchita: e allora il giornale bisogna farlo con loro! Il gior-nale dev'essere non solo una presenza filtrante ma deve essere scritto da loro: dagli operai, dai con-tadini, dagli studenti; io vedo il giornalista come un grande organizzatore di cultura, se vuole che il proprio giornale sia interprete dinamico della trasformazione della società. È un problema di rivoluzione culturale, che deve impegnare tutte le redazioni, anche quelle dei grandi giornali; ci vuole un nuovo fervore culturale: bisogna avere

il coraggio di pestare i piedi ai potenti, di avere il gusto di dire la verità. Bisogna avere la capacità e l'ambizione di essere una forza promozionale e di guida.

Su quali principi?

Su quelli della costituzione o se volete su quelli dello statuto regionale ».

È evidentemente un nuovo modo di fare noti-zia; è un modo per evitare di fare dell'informa-zione un'operadell'informa-zione meramente tecnico-burocra-tico-amministrativa. Ma per far ciò occorrono strutture nuove, diverse. « C'è chi suggerisce la creazione di centri stampa regionali — informa Emilio Bellomo, vice presidente del Consiglio Re-gionale e direttore del giornale vercellese ' La Risaia ' — come primo passo verso un'organizza-zione pili perfetta, verso un sistema informativo che vede nei canali offerti dai periodici locali un momento di prezioso contributo... C'è invece chi ritiene valida la costruzione di un servizio cen-tralizzato che porti le notizie dalla Regione ai centri redazionali periferici con una certa puntua-lità e una certa precisione... C'è chi parla di ser-vizi telefonici, di telecopia, di terminali nelle città sedi di giornali locali... C'è infine chi ritiene che la Regione dovrebbe prendere l'iniziativa per la creazione di scuole di giornalismo... Quello che in ogni modo deve essere chiaro è che la Regione non può e non deve ripetere gli errori che già fa lo Stato. Non deve pensare di distribuire milioni del pubblico denaro più o meno a vanvera. Essa deve impostare una sua politica al servizio della stampa regionale, deve darle una spinta reale con iniziative di sostegno che non siano paternalisti-che o caritative...

La maggior debolezza economica della stampa periodica porta le piccole e piccolissime imprese che producono l'informazione a dibattersi in un oceano di guai e di disagi e non è infrequente che qualcuna di queste imprese chiuda. La chiusura di una testata, per quanto piccola e modesta sia, è sempre un fatto doloroso, un disarmo della cultura, un impoverimento della democrazia. Assi-stere ai funerali di una testata genera sempre un moto di tristezza e quasi sempre un moto di rabbia.

La ricerca di possibilità nuove che impediscano i funerali illacrimati delle testate di cui è ricco il Piemonte deve far parte dei compiti della Regione. Non è facile anche e soprattutto per le scarse facoltà che le Regioni hanno di legiferare in

pro-posito, ma è compito che in qualche modo deve essere svolto.

Nella misura in cui la Regione vuole essere uno strumento per avvicinare il cittadino al dibat-tito politico e per fornirgli più vere e concrete occasioni per la partecipazione attiva alla vita sociale e collettiva, non può non prendere atto di queste prospettive e non uniformarsi ad esse ».

Lo stesso Aldo Viglione, presidente della Giun-ta Regionale, è convinto che « con l'assemblea ed il governo regionale si possono garantire tutti gli strumenti atti a porre sullo stesso piano quanti vogliono offrire un corretto modo di informa-zione ». E non necessariamente per strumenti si deve intendere denaro; anzi, la maturità della posizione della stampa locale si valuta anche per quel superamento di richieste unicamente di tipo economico caratteristiche degli atteggiamenti di qualche anno fa. Oggi l'imprenditore giornalistico locale sa di poter giocare un ruolo politico e so-ciale e in quelle prospettive si muove. « Io sono contrario ai sussidi — dice Mario Verda, diret-tore del Monferrato — ; se il giornale è un servi-zio, è anche un'azienda, che compra e vende notizie, e come tale dev'essere gestita ».

Non si attendono quindi le prebende. Si atten-dono concrete iniziative perché la stampa locale venga ricollocata — nella scala gerarchica dei valori —- al posto che gli compete, che è di pri-maria importanza. Per ottenere simili risultati bisogna approfondire il dibattito. L'incontro di Casale, utile momento intermedio, ha posto la necessità di affrontare il problema sotto le pro-spettive politiche, culturali e di struttura, che sono poi le prospettive che caratterizzano tutta l'infor-mazione. « Perciò — dice Sanlorenzo — bisogna andare ad una conferenza sull'informazione re-gionale; è questo l'impegno che il Consiglio Re-gionale assume, con una funzione di coordina-mento, di organizzazione politica. Sarà un conve-gno che, nella sua preparazione, coinvolgerà tutti gli interessati a questa problematica e nella trat-tazione del problema dovrà tendere a qualcosa di concreto. Sarà un convegno che affronterà tutti i problemi dell'informazione, compresi quelli della RAI e della sua riforma; lo faremo a Torino, ad esempio, al Teatro Nuovo, degna cornice, e con la collaborazione dei giornali locali del Piemonte; fra tre o quattro mesi ».

La stampa locale è in attesa. All'elencazione di difficoltà economiche e politiche, di

rinnova-mento e di acculturazione, ha avuto in risposta la promessa di una ripresa del dibattito, di un suo approfondimento e allargamento. Dal suo can-tuccio marginale e periferico ha ottenuto di farsi ascoltare e di riempire con la sua presenza il di-battito, ai livelli più alti. Torino ospiterà una con-ferenza sull'informazione, nella quale avrà il ruo-lo di protagonista emergente; a Torino, fra tre o quattro mesi, le ipotesi e le intenzioni verranno verificate e controllate. Ma, perché a Torino?

Perché non ridare alla provincia (come entità geografica) piemontese la funzione che gli spetta da sempre, di nuovo centro di interessi, di dibat-tito e di decisione? Forse che una conferenza re-gionale ad Ivrea, Cuneo, Casale o Alessandria, per dibattere temi come l'informazione periferica e centrale, verrebbe sminuita? O, viceversa, non confermerebbe che alle intenzioni di rinnova-mento politico seguono concrete scelte per sgra-vare la metropoli del suo peso centralizzante?

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1976 (pagine 53-58)