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Piera Condulmer

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1976 (pagine 80-86)

Credo che abbia valore di pe-renne validità il detto di Goethe che le cifre non regolano il mon-do, ma indicano come il mondo deve essere regolato. Alla luce di questa affermazione di un artista e filosofo, possiamo usare la sta-tistica anche per misurare la por-tata e la vitalità di un fenome-no squisitamente artistico, che ha caratterizzato la città di To-rino da tre secoli circa, deposi-tando ciascuno una notevole ere-dità culturale.

È ancora in grado la città di Torino di raccogliere, promuo-vere e gestire questa eredità, di creare attorno ad essa interessi radianti alla regione, alla nazio-ne, all'estero? Ha l'energia d'in-serirsi in questa mutevolissima società, nel costume in una evo-luzione tanto rapida da essere considerata quasi una perenne rivoluzione? Di dare al passato valore permanente permeandolo del nuovo?

Questo vorrò far dire alle ci-fre, dopo aver fatto una breve anamnesi della istituzione

Tea-tro Regio a Torino, e della sua

trasformazione odierna in stru-mento di servizio sociale, di edu-cazione, attraverso il perenne re-cupero di valori artistici che so-no anche storici, e perché arti-stici sono universali. Certo è una deformazione mentale la mia, di voler considerare ogni fenomeno od ogni fatto in prospettiva

sto-rico-geografica, ma mi pare che con ciò ogni considerazione prenda più consistenza e rilievo, e possa meglio inserirsi in un processo conoscitivo.

Pensiamo alla posizione di Torino cerniera tra la cultura francese e quella italiana; una corte sollecitata continuamente dagli intensi rapporti con le più importanti corti francesi e spa-gnole per ragioni di parentele, e, ahimè, anche militari, aspirante a sempre più vaste affermazioni politiche; una città che solo nel secondo cinquecento acquista funzioni permanenti di capitale e vuole assumerne anche le ca-ratteristiche esteriori, e a poco a poco anche le funzioni cultu-rali per mettersi alla pari con le altre capitali europee. Già da un secolo anche in esilio, la cor-te aveva una cappella musicale; questa fu potenziata con bande di violini, con la banda della cit-tadella (che non aveva nulla a che fare con la fortezza); aveva una scuola di cantori. Nulla di più logico che aspirasse ad un teatro che servisse per rappre-sentazioni ed esecuzioni musica-li: e questo fu il Teatro delle feste, dapprima mobile e improv-visato tra il cosiddetto palazzo di S. Giovanni e il Castello (Pa-lazzo Madama), fino a che fu reso fìsso nel grande salone del palaz-zo di S. Giovanni, con attrezza-ture stabili: i suoi palchetti

fu-rono affidati, manco a dirlo, al capo montatore dell'artiglieria. Siamo nel 1678, e da questo an-no si può parlare di regolari sta-gioni d'opera, anzi dell'inizio delle rappresentazioni melo-drammatiche, con l'Eliogabolo di Aurelio Aureli, per la cui ese-cuzione furono ricercati i miglio-ri artisti in Italia e fuomiglio-ri, nel campo musicale come nel campo scenografico. Fu un successo stre-pitoso, e mastro Antonio Batta-gliero dovette provvedere ad al-lestire nuovi palchetti, e il teso-riere ducale a stabilire una tassa d'ingresso. L'interesse era gran-dissimo, ma le spese altrettanto, e si costituì nel 1697 la Società

dei partitami dell'opera per

l'ap-palto degli spettacoli, che non riu-sci però mai a raggiungere anche un lontano pareggio di bilancio. Nel 1727 le si sostituì la Nobile

società dei signori cavalieri, ed

essa ormai doveva gestire un tea-tro divenuto da ducale, Regio. Le lunghe dolorose guerre, il ter-ribile assedio famoso, le vittorie, insieme all'ampliamento territo-riale, avevano elevato il ducato di Savoia a regno, Regno di Sar-degna. Per il teatro regio di To-rino si scrivevano ormai partitu-re e libpartitu-retti appositi, concerti, i coreografi e gli scenografi offri-vano il meglio della loro fanta-sia e della loro arte nell'allesti-mento di balletti favolosi che fe-cero scuola in Francia. Ma il

tea-tro, quello di allora, era ormai in-sufficiente; doveva essere ripre-so l'antico progetto dell'architet-to ducale Amedeo di Castella-monte, che disegnando la lunga galleria del palazzo delle segre-terie, vi aveva indicato in fondo, quasi a contatto con l'Accade-mia militare, il luogo del gran

teatro. L'antico schizzo fu

con-segnato al Juvarra che lo modi-ficò, disegnò le Segreterie Nuove sul lato est della piazza castello, e dietro pose il gran teatro, men-tre a lato costruiva il palazzo de-gli archivi. Ma nel 1735 il Ju-varra parti per Madrid, e il suo disegno fu ereditato dall'archi-tetto regio Benedetto Alfieri, che costruì la manica delle segreterie nuove, ma modificò profonda-mente il teatro secondo le esi-genze delle nuove tecniche tea-trali e acustiche. E ne sorti quel gioiello ammirato come il mi-gliore teatro d'Europa architetto-nicamente e tecarchitetto-nicamente. La serata inaugurale del 26 dicem-bre 1740 fu un avvenimento in-ternazionale. E incomincia la vita del Teatro Regio, interrotta solo negli anni di guerra, nel qua-le oltre i fasti culturali si cequa-le- cele-brarono i fasti della patria, e spesso servi anche per la satira politica.

Palestra per compositori pie-montesi e non piepie-montesi (Giay, Fioré, Paisiello, Porpora, Galup-pi, Gluck, Cimarosa, Giovanni Cristiano Bach, Pugnani, Scarlat-ti, Paganini, Cherubini, Federici, Mercadante), e per librettisti del-la portata di Apostolo Zeno e di Pietro Metastasio, fu l'ambito banco di prova per nuove opere di artisti affermati, come, in tem-pi moderni, per la Bohème e la Manon di Puccini. Su 410 ope-re rappope-resentate in questo teatro dal 1740 al 1936, ben 180 fu-rono date in prima assoluta, con

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Nuovo Regio - Atrio.

scenografie i cui disegni porta-vano spesso le firme di grandi artisti, dal Juvarra al Bibbiena, al Galliani, pittori e scenografi di mezza Europa. 800 furono i balletti allestiti, e giostre e caro-selli, che s'inserivano spesso nei programmi di ricevimenti diplo-matici, di grandi visite politiche. Ma non dobbiamo dimenticare che grande opera promozionale di cultura musicale si è attuata in tale teatro, con i concerti po-polari, iniziati nel 1868 (perciò quando Torino era già stata

de-classata dal suo ruolo di città capitale) con i migliori direttori d'orchestra, per introdurre i to-rinesi al gusto della musica sin-fonica, o musica pura, ed alla comprensione della musica vag-neriana; tanto, che Torino fu definita città wagneriana.

Chiediamo ancora alle cifre la conferma delle nostre asserzioni sull'interesse musicale dei tori-nesi, alimentato dal Regio; se 410 furono le opere rappresen-tate, la cifra salirebbe alle stelle se facessimo il calcolo numerico

delle repliche e delle riedizioni anche in stagioni ravvicinate, quando si pensa alle dieci repli-che del Trovatore, della Wally, del Tabarro, dell'Andrea Ché-nier, della Manon, in una stagio-ne, o alle undici dei Puritani, della Lucia di Lammermoor; alle tredici dei Vespri siciliani, alle quattordici del Mefistofele, alle sedici dei Maestri cantori, del Parsifal, del Tristano e Isotta, dell'Oro del Reno, alle

diciasset-te del Faust, del Lohengrin, del Tannhauser, alle diciotto della Valkiria, alle diciannove degli Ugonotti, alle venti del Poliuto, alle ventuno del Don Carlos, del Ballo in maschera, del Crepusco-lo degli dei, del Falstaff, alle ven-titré della Bohème, alle ventotto della Gioconda, alle trenta del-l'Otello. Poi l'incendio del 1936 e la distruzione bellica del 1943. Ma distrutto il teatro non si di-strusse l'istituzione, che in forma

Nuovo Regio - L'ingrosso.

provvisoria continuò in altri tea-tri torinesi, come il Vittorio Emanuele (poi Lirico) dalla per-fetta acustica, e il Carignano dal-l'armonicissimo ed elegante am-biente, e da ultimo il Teatro nuo-vo e il Palasport, in attesa che risorgesse il Regio dalle sue ce-neri.

Teatro che, costruito quando la città aveva si e no 70.000 abi-tanti per 2500 posti, fu amplia-to fino a 3000 posti nel 1906 per una popolazione di 366.000 abi-tanti, trasformando gli ultimi or-dini di palchi in uno spazioso anfiteatro ritmato in tre eleganti gallerie per accogliere gli ama-tori di musica di tutti i ceti. Nel

1970, in periodo di proclamata democrazia, con una popolazio-ne di 1.200.000 abitanti, è stato ricostruito, il teatro, per 1800 spettatori a sedere, non tenendo conto, secondo me offendendo, o mortificando, la sensibilità mu-sicale dei piemontesi. Le lotte per l'accaparramento di un ab-bonamento o di una poltrona lo stanno a dimostrare. E cosi pure le cifre: tra il 1945 e il '73 fu-rono rappresentate 814 repliche di opere e balletti e organizzati 205 concerti nei vari locali cit-tadini (e negli ultimi tempi, in provincia ed in regione). Nella sola stagione 1972-73 tra il Tea-tro Nuovo e il Palasport si eb-bero 95.728 spettatori, nel 1974 col Nuovo Regio si passa a

171.500 spettatori paganti, nel 1975 a 179.500.

Ma dobbiamo considerare che l'attività dell'Ente Autonomo, Lirico Teatro Regio che prima era Ente Autonomo Lirica e Concerti, non è a fini speculativi, e solo una parte di essa è a pa-gamento, mentre svolge tutta una fascia di attività promozionale gratuita, che va dalle lezioni

sul-Nuovo Regio - Una serata d'opera.

la conoscenza dei singoli stru-menti musicali, sentiti soli, poi fusi in un insieme orchestrale, alla storia del jazz, alla storia del balletto, fatto rivivere anche co-me spettacolo, ai concerti-incon-tri al Piccolo Regio, al Palasport, in Regione, alle prove generali delle opere liriche, alle audizio-ni discografiche, alle conferenze preparatorie degli spettacoli in cartellone, all'invito agli allievi dell'Accademia Albertina di con-tribuire a qualche scenografia, al-le visite guidate; tanto da por-tare il complesso delle manife-stazioni al numero di 516, con mezzo milione di fruitori. Il Re-gio, che già prima si poneva a livello nazionale come qualità di spettacoli, ora come Ente di

di-ritto pubblico e presieduto per legge dal sindaco, funziona da organo portante di tutta la cul-tura musicale in Piemonte, con riflessi non solo immediati, ma anche futuri. Se si mortificasse con una sconsiderata falcidia di sovvenzioni economiche questo suo slancio propulsivo di cultu-ra sociale dai potenti effetti psi-cologici, si passerebbe dal rista-gno al decadimento, con perico-losi coinvolgimenti. Per esem-pio: la constatata chiusura di sbocchi di carriera orchestrale, causerebbe il prodursi di molti vuoti nei conservatori e nelle scuole musicali, impoverendo i futuri quadri dei virtuosi, degli interpreti, dei maestri, dei diret-tori, dei composidiret-tori, le cui

do-ti hanno rappresentato sempre per l'Italia uno degli aspetti ar-tistici più qualificanti. Non solo, ma mi pare che sottrarre alimen-to all'intensificaalimen-to bisogno, dico bisogno, di musica e forse so-prattutto classica, che sta esplo-dendo nella gioventù oggi, e che vorrei considerare come incon-scia ricerca di armonizzazione in un mondo disancorato da ogni principio e da ogni valore, solo capace di produrre rumori che la-cerano l'orecchio e lo spirito, sa-rebbe pericoloso. La musica è organizzazione, è ritmo, è nume-rus. E la musica d'insieme è dia-logo, è lancio e rilancio d'idee in suoni, esposte, proposte, ela-borale, discusse dall'uno all'al-tro strumento, ciascuno con la

propria voce, in quella libertà d'espressione che è autentica per-ché regolata dalle esigenze del-l'insieme; armonia; sinfonia; or-chestrazione; e se c'è lo spetta-colo, scenografia interpretante, regia. Il dramma, la tragedia, l'estasi, la morte, tutto passa at-traverso il numerus, e di qui la catarsi, la liberazione spirituale. Alla prova generale del Trista-no e Isotta, il teatro era strari-pante di giovani, e moltissimi hanno avuto la costanza di rima-nere cinque ore in piedi ad ascol-tare. Per questo dico che non ri-spondere a questa esigenza oggi soprattutto, in periodo di totale paurosa crisi, è una pesante re-sponsabilità sociale e morale che nessun governo dovrebbe sentir-si di assumere.

Scena de / vespri siciliani.

E questo la Torino anticipa-trice di sempre e di tutto, lo sen-te con urgenza, e lo denuncia, e organizza convegni e dibattiti na-zionali al Regio per sensibilizza-re al problema l'opinione pub-blica a tutti i livelli, perché non vengano disattesi e lo spirito e la lettera del dettato dell'Artico-lo I della famosa Legge 14 ago-sto 1967, n. 800 che recita: « Lo Stato considera l'attività lirica e concertistica di rilevante interes-se generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della colletti-vità nazionale. Per la tutela e lo sviluppo di tale attività lo Stato interviene con idonee provviden-ze ». L'Ente Teatro Regio è aper-to alle manifestazioni delle note-voli associazioni musicali di cui

Torino è molto ricca, mentre i rapporti Regio-scuola sono già in attività da quattro anni, a rag-gio comunale, provinciale e re-gionale, e sono già 60.000 que-st'anno le prenotazioni scolasti-che per le varie manifestazioni specifiche indette dall'Ente, men-tre è diventato impossibile spondere a tutte le pressanti ri-chieste regionali di gruppo. Pen-siamo al vertiginoso aumento de-gli abbonamenti speciali per stu-denti alle stagioni liriche d'esta-te, d'autunno e d'inverno, che hanno imposto il raddoppio dei turni al Palasport.

La dimensione che ha assun-to il fenomeno sociologico del-l'interesse alla cultura musicale è tale, da richiedere tutta una nuova concezione e

strutturazio-ne dell'organo propostovi; è di-venuta la musica una funzione sociale, una legge deve porre gli enti lirici al servizio della cultu-ra musicale nazionale e provve-dervi stabilmente per fare pro-grammazioni, senza discrimina-zioni di serie A o di serie B, e tanto meno nei confronti di To-rino, che in questo campo non ha nulla da cedere. Al suo Tea-tro Regio è stato infatti conse-gnato il Premio di anzianità per le secolari benemerenze acquisi-te nella valorizzazione e diffusio-ne del patrimonio musicale uma-no dal 1740 (e forse la data si potrebbe anche un poco antici-pare).

Eppure la si lascia boccheg-giare, nonostante il senso del

ri-sparmio che domina, nonostante l'andazzo dei tempi, la sua am-ministrazione; mentre la percen-tuale media nazionale delle spe-se per il personale amministra-tivo, tecnico, artistico è del 60,6%, e del 12,5% quella per gl'interessi bancari passivi, il Re-gio si è fino ad ora contenuto nel 52,4% e nel 6,5% rispettiva-mente, ed è stato capace di man-tenere nei limiti di 10 milioni la spesa di allestimento scenogra-fico di una edizione del Tristano e Isotta tra le più originali e in-teressanti.

Gli introiti, data la limitatez-za dei posti al Regio, non sono grandiosi, un aumento massiccio del prezzo del biglietto, sarebbe per molte ragioni

controprodu-cente, mentre le spese fisse sono destinate ad aumentare paurosa-mente [(dal 1973 al 1975 si è passati dai due miliardi ai quat-tro miliardi per le spese del per-sonale pur sospendendo ogni nuo-va assunzione; per gli artisti dai sette ai nove miliardi, gli interes-si pasinteres-sivi sono giunti per ora ad un miliardo (per gli Enti lirici in Italia sono 14 miliardi)] ; sen-za contare il riscaldamento, la illuminazione, la manutenzione. Per questo urge una riforma ab

imis del sovvenzionamento

del-l'Ente, pena il fallimento. La fruizione dei beni musicali deve divenire problema politico per-ché divenuta componente essen-ziale della formazione educativa della collettività.

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1976 (pagine 80-86)