Fuori del testo: traduzione e paratesto
2. La scelta del traduttore
2.3. Enrico Burich
Molto diverso da quelli mostrati finora è invece il percorso culturale, politico e linguistico che si segue analizzando il lavoro del traduttore per l’edizione Bemporad. Figura di grande spessore culturale, Enrico Burich non soltanto s’inserisce nel gruppo di traduttori fiumani che hanno svolto un ruolo chiave nella diffusione della letteratura ungherese in Italia: egli si dedicò appassionatamente anche alla cultura tedesca, di cui si occupò anzi ancora più diffusamente. A partire dalla sua figura si apre una finestra sul grande fermento che caratterizzava la riflessione pedagogica della prima metà del Novecento, e che passava in particolare attraverso le figure di Giuseppe Lombardo Radice e della moglie Gemma Harasim. Per i limiti e gli obiettivi della presente ricerca traccerò qui solo le linee principali di questo discorso, che merita sicuramente un approfondimento maggiore, data soprattutto la presenza di diversi materiali d’archivio e di numerosi studi che, principalmente monografici e con indirizzi di ricerca specifici, potrebbero essere analizzati e messi in relazione tra
381 Ibid. 382 Ivi, p. 11.
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loro anche dal punto di vista della traduttologia383. Alla sua morte, Burich così viene
ricordato nella rivista da lui stesso fondata, Fiume:
I fiumani, dispersi nell’esilio, per le città d’Italia e per le vie del mondo, hanno perduto con Lui uno degli ultimi superstiti della generazione che aveva combattuto le battaglie dell’irredentismo, partecipato con più di cento volontari al sacrificio cruento della prima guerra mondiale, svolto la parte decisiva nelle drammatiche vicende della città fra il 1918 e il 1924. Di quella generazione Enrico Burich era uno dei rari uomini in cui l’impegno all’attuazione del destino nazionale di Fiume – pur così profondamente e sinceramente sentito in ogni momento della Sua vita – si inseriva in un orizzonte più vasto, in una effettiva ricchezza di interessi culturali e spirituali, e quindi sfuggiva, più sicuramente e più costantemente, alle tentazioni, apparentemente contrastanti ma così spesso intimamente apparentate, del conformismo, della retorica, del fanatismo384.
La sua figura ci interessa qui non soltanto per un più ampio discorso linguistico- culturale, come testimonianza di un luogo, Fiume, in cui i rapporti tra la lingua e la cultura italiana e ungherese si declinano in maniera del tutto unica 385; più
concretamente sono rilevanti i suoi riflessi sul piano tematico, sui valori e gli obiettivi con cui questo intermediario tra le culture è cresciuto e ha operato.
Enrico Burich era nato a Fiume nel 1889. Il padre, morto quando lui aveva solo tre anni, era stato maestro elementare e da lui Enrico aveva ereditato quell’impronta filosofico-pedagogica che lo portò a compiere gli studi per impegnarsi anch’egli nell’insegnamento nelle scuole di Fiume. Una vocazione insieme pedagogica e politica, se si pensa alla particolare situazione della città all’epoca.
Come già ricordato, dal 1870 Fiume apparteneva alla Corona Ungherese per volontà stessa dei fiumani, che non vedevano in questa dominazione lontana una minaccia alla propria italianità, anzi guardavano all’Ungheria come a un garante rispetto ai tentativi di assorbimento da parte della vicina Croazia. L’esperienza bilingue di chi frequentava il Ginnasio-Liceo cittadino era dunque inizialmente un’esperienza pacifica. Nel 1893, il redattore del giornale ungherese Magyar Tengerpart (Litorale ungherese), Aladár Fest, riassumeva così la “missione culturale” di Fiume:
Fiume dovrebbe diventare il punto ideale degli incontri culturali italo-ungheresi. La nuova generazione degli studenti della scuola fiumana, in base al loro naturale bilinguismo – potrebbe diventare una vera riserva di nuovi traduttori delle opere italiane in Ungheria, e
383 Nell’Archivio della Società di Studi Fiumani di Roma sono custoditi principalmente materiali legati
all’attività politica di Burich. Nel Fondo Lombardo Radice dell’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica, a Firenze, è custodito invece il carteggio tra la famiglia Lombardo Radice ed Enrico Burich tra il 1909-1959.
384 G. Radetti, Ricordo di Enrico Burich, in Fiume. Rivista di studi fiumani, XII/3-4, Roma 1965, p. 97. 385 È da ricordare l’importante ricostruzione della vita politica e culturale della città di fiume fatta
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di quelle ungheresi in Italia. Così si realizzerebbe un vero e proprio interscambio culturale che potrà meglio avvicinare queste due culture ed i due popoli386.
Molto interessante, nel considerare la formazione dei traduttori e il loro compito di intermediari, è notare quanto forte fosse per i fiumani l’esperienza del confine, sia nei rivolgimenti storici della prima metà del Novecento che – più ancora – dopo la creazione della cortina di ferro. Burich così lega quest’esperienza alla propria missione culturale: «Sono nato qui al confine e sono fiero di avere le stimmate dell’uomo di confine, una sentinella in un posto avanzato, se occorre, ma pronto ad operare anche nel campo della cultura»387. Nella città la convivenza di più lingue era
un fatto naturale:
A Fiume si parlavano quattro lingue: l’italiano, l’ungherese, il tedesco e il croato. L’italiano lo parlavano quasi tutti, l’ungherese gli insegnanti (le scuole erano italiane ed ungheresi), i ferrovieri, i postelegrafonici, i giudici, i poliziotti. Il tedesco, quanti si occupavano del contesto internazionale, che alimentava il grande porto. Il croato i lavoratori non qualificati e le lavoratrici domestiche che dalle campagne circostanti scendevano in città388.
Anche Enrico Burich crebbe bilingue, frequentando il Regio ungarico ginnasio superiore dello Stato, tra il 1899 e il 1907. Nello stesso anno in cui conseguì la maturità, Burich s’iscrisse alla “Giovane Fiume”, accanto ad altri personaggi che si sarebbero pure impegnati nella vita politica e culturale cittadina: Riccardo e Silvino Gigante, Guido, Attilio e Arrigo Depoli, Armando e Amedeo Hodnig. L’amore per tutto ciò che era italiano raggiungeva per loro il massimo simbolo nel tricolore: «Quando al Consolato italiano in occasione delle feste nazionali era esposto il tricolore, noi andavamo a rendergli omaggio passeggiando su e giù per Via della Riva, una trasversale della marina», ricorda Burich stesso389. Sono anni, questi, in cui la
svolta nazionalista ungherese cominciava già a farsi sentire, come ricorda ancora Burich nell’accorato racconto del proprio esodo da Fiume, dopo la definitiva occupazione croata alla fine del secondo conflitto mondiale. È un testo che proprio per questo suo pathos merita di essere riletto:
Dal 1869 al 1900 Fiume raddoppiò il numero di abitanti, da 17.854 si arrivò a 38.057! Gli ungheresi miravano ad avere uno sbocco sul mare sempre più efficiente e i fiumani si accontentavano di conservare la loro anima italiana. Come pensare all’irredentismo in
386 A. Fest, Fiume kulturális hivatása, in Magyar Tengerpart, 19 febbraio 1893, pp. 1-2, cit. in. P. Sárközy, Letteratura ungherese. Letteratura italiana. Momenti e problemi dei rapporti letterari italo-ungheresi, Carucci
editore, Roma 1990, p. 187.
387 E. Burich, Esperienze di un esodo, in Fiume XI, 3-4, Roma 1964, pp. 97-182, qui p. 138.
388 Sono le parole dello storico fiumano Leo Valiani, cit. in Sárközy, Letteratura ungherese, cit., p. 185. 389 E. Burich, Momenti della polemica per Fiume prima della guerra 1915/18, in Fiume, IX, Roma 1962, p. 3.
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quegli anni? I fiumani preferivano chiamarsi appunto fiumani per non destare sospetti di slealtà, tanto l’Italia costituita ad unità era lontana dalle sponde del Carnaro. Ma il fiumano anche non dicendosi espressamente italiano era nel campo politico certamente anticroato. Dagli ungheresi noi ci ritenevamo protetti. Il comune aveva il diritto di non concedere la cittadinanza fiumana a chi non era italiano. I croati urgevano fuori dalla rocca del Comune, aiutati da Zagabria dove lo spirito nazionalistico si faceva sempre più aggressivo e intollerante. La lotta si inaspriva sempre più passando dal campo politico anche a quello culturale. Si cominciava a prospettare da parte nostra come da parte croata una rinascita sociale che avrebbe superato gli antagonismi nazionali. La vecchia Monarchia non aveva più l’autorità di una volta, si destreggiava per non perdere il suo prestigio e costringeva un po’ tutti a destreggiarsi. Gli ungheresi si imbaldanzirono, dimenticarono le promesse fatte e dopo il 1890 cominciarono a intaccare le nostre prerogative municipali. Ci fu una vera e propria virata di bordo da parte degli ungheresi che perdettero la testa, convinti di poter eliminare noi e i croati insieme. Così i fiumani divennero esplicitamente italiani e, nella parte migliore, irredentisti. Ed ecco finalmente giungere a Fiume l’ultima ondata del verbo mazziniano, la “Giovane Fiume”. Stavo facendo la terza liceale quando un giorno si avvicinò a me lo studente universitario Siso Cussar e mi fece, con aria misteriosa, un discorso molto semplice: «Conosciamo le tue idee, ti seguiamo da tempo, il nostro giornale ha anche pubblicato un tuo articolo con osservazioni interessanti sulla celebrazione di Giuseppe Garibaldi, soltanto colle tue sigle; devi comunque iscriverti alla “Giovane Fiume”». Accettai senza esitazioni ed ebbi la tessera (che conservo ancora) firmata da Egisto Rossi. Così a diciotto anni fui tra i congiurati mazziniani. Teste esaltate questi irredentisti fiumani che però in qualche modo presentirono i tempi. Ogni discussione era inutile, gli ungheresi nemici come i croati; non ci restava che volgerci all’Italia rompendo pericolosamente colle tradizioni, ormai superate, di autonomismo. La società dei giovani fu sciolta dal governo, ma la fiamma era ormai accesa e Fiume poté prendere il suo posto accanto alle altre città italiane oppresse dalla monarchia390.
Nonostante l’incrinarsi del rapporto idilliaco tra Fiume e l’Ungheria, Burich seguì il percorso di tanti altri giovani della sua generazione e iniziò gli studi di lettere a Budapest. Fu questa, secondo le sue stesse parole, un’esperienza di estraneità, un mondo cittadino troppo chiuso per i giovani fiumani, che faticavano a entrarvi veramente e finivano per rifugiarsi nell’amore per la loro patria lontana, «un’Italia idealizzata e vagheggiata sui libri piuttosto che conosciuta per esperienza diretta, nella sua vita concreta ed attuale, nei suoi problemi effettivi»391. Un’esperienza diretta che
ebbe poi ben presto a Firenze, dove frequentò nel 1909 i corsi estivi dell’università, e dove creò quella rete di relazioni che segnò il proprio percorso d’intellettuale. Borsista fiumana come lui era pure Gemma Harasim, che proprio in quei mesi pubblicava sulla rivista «La Voce» le sue Lettere da Fiume e che presentò Burich a Prezzolini e agli altri vociani. Con essi Burich discusse dei problemi della città di Fiume e delle vicende della “Giovane Fiume”392.
390 E. Burich, Esperienze di un esodo, in Fiume XI, 3-4, Roma 1964, pp. 97-182, qui p. 140. 391 G. Radetti (1965), p. 99.
392 Si vedano gli articoli Studenti fiumani a Budapest (firmato: Ettore Romei), in La voce, Firenze, 9 giugno
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A Firenze Burich terminò anche gli studi universitari, con una tesi sulle relazioni tra letteratura italiana e letteratura tedesca, su L’influenza dell’Ariosto sul Wieland (1912, sarà poi pubblicata a Fiume nel 1924393). Dopo la laurea, Burich cercò di entrare a
lavorare come insegnante di tedesco nel liceo di Fiume, ma per via del suo orientamento politico il ministero ungherese della pubblica istruzione gli negò il permesso di insegnare in una scuola statale. Grazie all’aiuto di Giuseppe Lombardo Radice, marito di Gemma Harasim394 e suo amico, ottiene una cattedra per
l’insegnamento della lingua tedesca all’Università di Catania, città in cui rimase fino al 1915. A quest’anno risale peraltro la sua prima traduzione dal tedesco, i Discorsi alla nazione tedesca di Fichte, pubblicati proprio per la collana diretta da Lombardo Radice “Pedagogisti ed educatori antichi e moderni”. Una dimostrazione, questa, di una concezione militante della traduzione e della mediazione culturale, come vedremo nelle prossime pagine.
All’entrata dell’Italia in guerra, caldeggiata da lui come dall’amico Lombardo Radice, Burich si arruolò volontario con estremo ardore e solennità, come scrive in una lettera dell’11 luglio 1915: «Vissuto momenti solenni e gravi. C’è stato il giuramento della nostra compagnia. Tu puoi immaginare il significato che assume un tale giuramento per me, per i volontari, per gli irredenti. È il primo giuramento che faccio in vita mia: è la mia consacrazione a italiano, è il mio atto di redenzione»395. Burich
restò in zona di operazioni fino alla fine della guerra, impiegato come interprete per l’ungherese e il tedesco, un’esperienza che lo mise a diretto contatto con il mondo dei prigionieri, di cui descrive la condizione con profonda umanità:
tutta questa massa di prigionieri che continua ad affluire… e nessuno ha idea di come il compito di interrogare sia delicato e abbia bisogno di intuito sicuro e di decisione rapida. Sono immerso; penso alla terra che potrebbe essere invasa e allora non mi commuovo più di fronte a nessuno spettacolo. Certo, da quando mondo è mondo, la cosa più triste che ci sia è il prigioniero, e, nella guerra di oggi, la colonna di prigionieri appena catturati. Ma non mi resta proprio il tempo per far della letteratura. Preferisco non astrarmi, rimanere nel fervore, dedicarmi tutto al mio compito396.
393 E. Burich, L’influenza dell’Ariosto sul Wieland, Annuario del Regio Liceo-Ginnasio «Dante Alighieri»,
Fiume 1923-1924.
394 Anche Gemma Harasim è una figura molto affascinante, ampiamente attiva, assieme al marito, in
ambito pedagogico. Anche lei, come detto, fiumana, farà della sua esperienza plurilingue un mezzo di riflessione e importazione di idee, non da ultimo come traduttrice. Intorno al 1908 traduce infatti, per la collana diretta dal marito, gli Scritti pedagogici di Johann Gottfried Herder. A Gemma Harasim è stata dedicata di recente una raccolta di studi a cura di Nella Sistoli Paoli, Gemma Harasim. L’impegno educativo, Aracne, Roma 2009.
395 Lettera alla moglie, Fila Burich Ferrari, cit. in G. Radetti, op. cit., p. 102. Sulle motivazioni dei
giovani italiani che si arruolarono volontari nella Grande Guerra, si veda ad esempio lo studio di P. Dogliani/G. Pécout/A. Quercioli, La scelta della patria: giovani volontari nella Grande Guerra, Catalogo della mostra tenuta a Rovereto dal 27 giugno 2006 al 4 marzo 2007, Rovereto 2006.
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Dopo le delusioni seguite alla fine del conflitto mondiale, Burich fu nel 1919 accanto a Gabriele d’Annunzio nei primi momenti del suo arrivo a Fiume, per poi abbandonare l’ambiente del Comando dannunziano e continuare a servire la causa di Fiume con un’attività pubblicistica, sul Resto del Carlino, sul Mondo, sul Tempo. Il ritiro dalla vita politica attiva coincide con l’inasprimento della situazione, quando nella città si adombra il fantasma della guerra civile, dopo il 1921, mentre nel resto dell’Italia prende sempre più piede il fascismo. In questo periodo egli tornò a dedicarsi all’attività di educatore e studioso: dopo essere stato ordinario presso la Civica Scuola reale di Fiume e poi presso il Ginnasio-liceo «Dante», nel 1924, dopo l’annessione di Fiume all’Italia, passò alla cattedra di tedesco del Liceo scientifico e riprese i suoi studi germanistici. Oltre alla pubblicazione della già menzionata tesi su Wieland, per la casa editrice Sandron, nella collana «Collezione Classici Tedeschi» realizzò studi introduttivi e note del Wilhelm Tell di Schiller e dell’Egmont di Goethe (rispettivamente nel 1925 e nel 1926) e in particolare negli anni Trenta lavorò intensamente come traduttore. In questi anni tradusse infatti per i tipi della Mondadori Arnold Zweig (La questione del sergente Grischa, 1930; Giovane donna del 1914, 1933; Profilo di Bologna, 1934; Claudia, 1935; Davanti a Verdun, 1937). Per Mondadori tradusse anche, nel 1934, L’angelo musicante di Ferenc Molnár, lavoro che fece seguito alla traduzione dei Ragazzi della via Pal.
Nel 1932 la morte del figlio Adolfo segnò la sua vita. Dopo questo tragico lutto, egli si trasferì a Colonia, dove nel 1934 lavorò presso l’istituto di cultura italo-tedesco Petrarca Haus. In questi anni tedeschi si impegnò alla diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo germanico, fino a quando, dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, a causa dei forti bombardamenti sulla città di Colonia fu costretto a rientrare a Roma nel 1942, per un anno. Qui insegnò tedesco presso la scuola di lingue straniere dell’Università e presso l’Istituto universitario di magistero «Maria Assunta». Già nel 1943 però rientrò a Fiume, dove assunse questa volta l’incarico di preside del Liceo scientifico. Ormai a Fiume erano andati perduti i sogni di un’appartenenza all’Italia, la lotta per la liberazione dall’occupazione tedesca era minata dall’intervento croato, che non riconosceva alcun movimento antifascista italiano autonomo e condizionava la liberazione dai tedeschi all’annessione allo stato croato. Quando ormai si era persa ogni speranza per Fiume, dall’occupazione tedesca si era passati all’occupazione croata: Burich, come molti altri fiumani, resistette molto poco a questa situazione nel 1946 decise nuovamente di trasferirsi in Italia, a
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Modena, la città della moglie. Le pagine già citate sull’esodo fiumano descrivono molto bene una condizione di progressiva minaccia per quanti non volevano accettare l’assimilazione al governo di Tito. In qualità di preside di una scuola italiana, Burich visse queste difficoltà molto concretamente, e nelle sue memorie rende conto anche della resistenza dei ragazzi stessi alla dominazione straniera:
L’avversione allo studio del croato diviene ogni giorno più allarmante. I ragazzi non ne vogliono sapere e la loro riluttanza sta diventando pericolosa. Dapprima qualche classe, all’ultima ora di scuola, si dilegua semplicemente al completo. Per evitare queste evasioni, faccio chiudere in tempo il portone dell’istituto e prego l’insegnante di presentarsi subito davanti alla classe. Quando poi la lezione di croato c’è alla prima ora, gli scolari vengono a scuola compatti alla seconda ora. Sgridate, sospensioni, assenze ingiustificate, intervento dei genitori, non servono a niente. So che l’insegnante di croato, un fervido italiano dalmata, è il primo a non prendere la sua materia sul serio. […] La situazione si aggrava ogni giorno, nonostante il tentato intervento delle spie che vengono picchiate di santa ragione e non hanno il coraggio di agire.
Mi accorgo ben presto che l’atteggiamento degli scolari non è avventato. Non sono smargiassate, le loro. In realtà sono azioni di protesta contro il dominio croato. Le dimostrazioni politiche che gli adulti non possono fare, sono organizzate dai giovani riuniti nelle scuole. Sta divampando uno spirito di ribellione, che in città è frenato dalla polizia, ma che nelle scuole esplode più facilmente. Il clima dominante nel segreto dell’intimità della famiglia provoca l’atteggiamento degli scolari che non riescono a controllarsi e stanno perdendo la testa, nonostante i miei interventi397.
La situazione della scuola italiana era divenuta tanto complessa che Burich si decise a rassegnare le proprie dimissioni, per resistere a ogni offerta o imposizione di collaborazione con la Croazia che potesse costituire un’accettazione del distacco di Fiume dall’Italia. Ormai anche il suo mondo fatto di ideali irredentisti era scomparso, come descrive lui stesso:
In sostanza, Fiume è vittima proprio di questo decadere nel mondo internazionale di criteri che parevano ormai acquisiti. Invece non contano più, sono superati. Ci sembrano resti di un mondo idilliaco che non c’è più. Quali siano i nuovi cardini nella lotta tra est e ovest non si vede ancora. Lo stesso concetto di «libertà» ha avuto tante interpretazioni che ha perso la sua lucentezza. E allo stesso modo quello di «giustizia», che non contiene niente di assoluto. E tutto questo si riflette nel minuscolo banco di prova che è Fiume. La nostra lotta nazionale è anacronistica. Gli altri nascondono le loro mete imperialistiche sotto la bandiera del comunismo. Non ci credono del tutto, ma intanto hanno preso il sopravvento398.
A Modena Burich riprese a insegnare presso il liceo scientifico cittadino. Il 1949 segna un’altra tappa importante della sua attività di mediatore culturale: fu chiamato a Roma, a Villa Sciarra, presso l’Istituto di Studi Germanici, dove rimarrà a lavorare fino al 1959.
397 E. Burich, 1964, pp. 126-127. 398 Ivi, p. 157.
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In questi anni tornò a lavorare anche come traduttore, sia dal tedesco che dall’ungherese. Dal tedesco tradusse, nuovamente per Mondadori, La pelle dell’orso di Arnold Zweig (1947) e poi il Roberto il Giuscardo di Heinrich von Kleist (RAI, Roma 1956). Dall’ungherese invece Goethe e il suo tempo di György Lukács (Mondadori, 1949), La tua vita è un vero romanzo, di Sándor Török (Mondadori, 1950), Tempo di Eclisse, di Ferenc Körmendi (Bompiani, 1950). Si occupò intensamente di letteratura tedesca, pubblicando e curando ad esempio per la Paravia Des Elephanten Wiederkehr di Hans Grimm (1958, studio introduttivo e note)399.