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Ferenc Molnár, tra fama internazionale e modernità

3. I ragazzi della via Pál Nasce la prosa moderna per l’infanzia

3.2. La ricezione nei film

Tenendo a mente le parole di Seibert, mi avvicinerò al tema del patriottismo e della guerra anche attraverso un breve excursus in un altro sistema di traduzione, quella intersemiotica, prendendo in considerazione alcune trasposizioni filmiche dei Ragazzi della via Pál. Queste mostrano nuovamente quanto complessi, se non contraddittori, siano stati i tentativi di affrontare la questione, e quanto tuttavia il rapporto tra gioco e guerra finisca sempre al centro della riflessione.

Nel 1934 il regista Frank Borzage realizza la prima versione hollywoodiana del romanzo, dando al film il titolo No greater Glory. Già precedentemente erano state realizzate versioni cinematografiche del romanzo (nel 1917 e nel 1924, entrambe di produzione ungherese e con regia di Béla Balogh), ma questa fu la prima versione sonora e la prima ad avere risonanza internazionale. Nel complesso la trama del film segue piuttosto fedelmente quella del romanzo, salvo alcuni piccoli accorgimenti motivabili con semplici necessità cinematografiche, di durata e di effetto. Vi è un elemento però, introdotto dal regista, che per quanto minimo influisce profondamente sull’interpretazione della storia. Si tratta dell’aggiunta di una scena in apertura del film, quasi a cornice, che, per quanto non abbia apparentemente nulla a che vedere con la storia originale, ne fornisce immediatamente una chiave di lettura univoca sul tema della guerra. Il film si apre infatti con l’inquadratura su un veterano di guerra, ubriaco e malandato – probabilmente ispirato al veterano di guerra guardiano del giardino botanico –, che parla direttamente alla macchina da presa (non si vede l’interlocutore), gridando: «Che mi uccidano piuttosto! Non importa se nemici o amici… Me l’hanno chiesto se volevo combattere? Non volevo. Ogni guerra è sporca. Il patriottismo è un trucco. Che ci vadano loro una volta sul campo di battaglia! Io dico…»227. È evidente come, attraverso questa cornice, venga posto un

forte interrogativo al consueto decantare la poesia della guerra e come anche l’amor di patria che anima i ragazzi della via Pál venga letto sotto una luce del tutto

226 E. Seibert, Themen, Stoffen und Motive in der Literatur für Kinder und Jugendliche, Facultas WUV, Wien

2008, p. 40.

227 Si riporta la traduzione dei sottotitoli ungheresi alla versione inglese. La pellicola è conservata

presso l’Archivio cinematografico nazionale ungherese (Magyar Nemzéti Filmarchívum). [Inkább lőjenek le! Mindegy, hogy ellenség, vagy barát… Megkérdezték tőlem, akarok-e harcolni? Nem akartam. Minden haború mocskos. A hazafiság szemfényvesztés. Menjenek egyszer ők a harctérre! Én mondom…]

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differente da quanto non volessero certe recensioni del romanzo. L’effetto è rafforzato dalla scena successiva, corrispondente all’apertura originale del romanzo, fatta eccezione per il fatto che il professor Rácz è professore di storia e non di chimica, come nel libro. La scena si apre con queste parole: «Il patriottismo è la più bella virtù. E non vi è cosa più nobile che proteggere la nostra amata patria. Se il paese è alle armi anche noi dobbiamo imbracciare il fucile. Solo l’esercito può salvarci. Solo con una tenace battaglia possiamo vincere»228. L’effetto di contrasto tra

la figura del soldato e quella del professore è rafforzato dalla tecnica della dissolvenza incrociata, con cui il regista crea una continuità di contenuto confermata lessicalmente dalla ripresa del termine hazafiság/patriottismo. Diventa subito chiaro che il messaggio del regista ruota intorno a questa tematica, tanto più attuale nell’epoca in cui viene realizzato il film perché il mondo era già stato sconvolto dalla Prima guerra mondiale e si trovava alla vigilia del secondo conflitto.

Nel film il sacrificio di Nemecsek per l’amato grund viene presentato come estremo atto eroico, la lotta tra i ragazzi di via Pál e le Camicie rosse è una vera e propria battaglia. Nemecsek viene fatto morire sul campo: un intervento sulla trama del libro che, se nelle intenzioni originarie serve a condensare gli avvenimenti, pure intensifica il valore della morte dell’eroe. Il suo volto viene subito coperto con la bandiera del campo, il corpo viene infine trasportato tra le braccia della madre, seguito dal corteo di ragazzi che è un vero e proprio corteo funebre dalla solennità militaresca229. È

curioso che anche una rivista ungherese dell’epoca sottolinei questa differenza tra il romanzo e la sua trasposizione filmica. Quest’ultima, si dice nella recensione, avrebbe ripreso il romanzo «quasi parola per parola». La differenza è che, nella zuffa tra Feri Áts e Nemecsek, il primo «non osa difendersi, sta steso rigido, immobile e sente spaventato che Nemecsek, che sta steso su di lui, è completamente immobile. Si sguscia da sotto si alza e vuole innalzare la bandiera; ma il cencio non viene su, la

228 [A hazafiság a legszebb erény. És nincs hemesebb dolog mint szeretett hazánkat védeni. Ha az

ország fegyverben áll nekünk is puskát kell ragadnunk. Csak a hadsereg menthet meg minket. Csak szívos harcban győhetünk.]

229 A conferma di questa lettura, una recensione inglese al film spiega: «New print! Although the

Ferenc Molnár novel on which it was based was originally published in 1907, No Greater Glory’s themes of militarism and the futility of conflict made it particularly relevant in the thirties. The film’s opening swiftly and wittily establishes its central idea, flashing from a wounded soldier railing against war to a schoolteacher preaching the glories of dying for one’s country to a group of young pupils. The kids prove all too willing to listen, banding together against a rival gang in a territorial struggle over the vacant lot that each “army” claims as its exclusive playground. The ironies of this antiwar allegory spilled sadly over into the life of Jimmy Butles, who played one of the young protagonists: he would lose his life a decade later in the real combat of World War II», documento messo a disposizione dal Museo Letterario Petőfi di Budapest.

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mano di Nemecsek lo stringe convulsa. Feri Áts spaventato butta indietro la bandiera e questa si stende sul volto di Nemecsek e lo ricopre»230.

La morte di Nemecsek sul campo contribuisce nel film a far balzare in primo piano il tema della guerra. Dialogando con la prima scena – quella del soldato veterano – il tema della morte da eroe viene posto in forte discussione. Non è un caso che in Francia fu vietata la diffusione del film, perché giudicato antimilitarista e quindi, in un epoca di corsa agli armamenti, non in linea con gli orientamenti del governo francese. È molto interessante il ricordo, profondamente emotivo, che anni dopo Enzo Biagi farà del film, ricordo che ci permette di misurare la forza con cui il film era entrato, insieme al libro, nelle case degli italiani. Un dato che sarà bene tenere a mente nelle pagine dedicate all’analisi delle traduzioni dell’epoca.

Ricorda Enzo Biagi: «In senso sentimentale, il film della mia vita è I ragazzi della via Pal, di Frank Borzage, il regista di Hollywood che proveniva da una famiglia trentina, i Borzaga. Quel film realizzò, per immagini, la lettura scolastica del romanzo di Molnar, fatta in classe, un pezzo al giorno»231. Le parole di Enzo Biagi sono

estremamente interessanti perché colgono, nella loro schiettezza, un punto chiave dell’interpretazione del romanzo. Finora abbiamo letto infatti commenti e riflessioni fatte dagli adulti: lo sguardo sulla vicenda si carica di un’intenzione interpretativa seria, da una parte finalizzata all’educazione, dall’altra volta ritrovare significati simbolici che spieghino (o addirittura presagiscano) eventi storici. Biagi invece ci restituisce quello che doveva essere lo sguardo dei bambini, il modo semplice in cui essi leggevano la lotta tra le bande:

Sullo schermo, i ragazzi della banda dei verdi combattevano la loro strana guerra dello stucco: difendevano il Territorio dei loro giochi. In realtà sognavano qualcosa di più. Inevitabile, per noi, identificarsi con quel gruppo. Portavano, è vero, delle divise: però quelle uniformi allora non ci davano nessun problema. Insomma, non ci apparivano come profezie delle uniformi a venire. No, erano solo dei segni distintivi, indispensabili nel cinema di avventure come il cappello dei cowboy, il Borsalino dei gangster, la divisa delle Giubbe rosse. Servivano a far riconoscere il gruppo. Anche da noi c’erano i gruppi: c’erano quelli che erano balilla, io invece ero dell’Azione cattolica e andavo a giocare a calcio in parrocchia. […] In questo riprodurre la semplicità dei grandi sentimenti, in questo suo essere popolare (come I miserabili), I ragazzi della via Pal era universale. Come

Cuore di De Amicis, ma anche meglio: in Cuore c’è troppo senso del sacrificio, qui prevale

230 Tratto dalla rubrica Taps a moziban (applausi al cinema) di Színházi élet, 17-23 marzo 1935, n. 12, p.

52. [Áts Feri nem mer védekezni, mereven, mozdulatlanul fekszik és dermedten érzi, hogy Nemecsek, aki rajta fekszik, szintén mozdulatlan. Kibújik alóla, felkel és fel akarja emelni a zászlót; de a rongy nem jön, Nemecsek keze görcsösen szorongatja. Áts Feri ijedten dobja vissza a zászlót és az Nemecsek arcára esik és betakarja.]

231 R. Polese, Enzo Biagi. Ero anch’io un ragazzo della via Pál, in Corriere della Sera, 17 luglio 1994,

consultabile nell’archivio online del giornale:

http://archiviostorico.corriere.it/1994/luglio/17/Enzo_Biagi_ero_anch_ragazzo_co_0_940717320.s html.

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l’epica. Si piange, è vero, ma il pianto per Nemecsek che muore è un buon pianto: è il premio che tocca a chi ha compiuto il gesto di coraggio232.

Il modo in cui Enzo Biagi guarda (guardava) alle divise, semplicemente come segno distintivo di gruppi rivali, riporta la lotta tra i ragazzi della via Pál e le Camicie rosse nella dimensione del gioco, inteso non come divertimento ma come immedesimazione e interpretazione di ruoli ben precisi all’interno di una cornice spazio-temporale ben definita e concordata. È una dimensione fortemente presente, centrale anzi, nel romanzo, e l’analisi delle sue dinamiche, di come si sviluppa a livello narrativo e linguistico, andrà a costituire una parte importante dell’interpretazione che propongo per questo lavoro. Prima di soffermarmi su di essa, merita di essere ricordato qui un ultimo adattamento filmico, questa volta tutto italiano. L’anno successivo all’uscita del film di Bozage, nel 1935, l’anno in cui l’Italia conosce un picco di edizioni del romanzo di Molnár, Mario Monicelli e Alberto Mondadori, allora giovanissimi registi (Mondadori, come noto, si dedicherà poi all’editoria), realizzarono un cortometraggio intitolato proprio I ragazzi della via Pal. A Venezia, la pellicola vinse anche il premio come miglior cortometraggio. In un’intervista realizzata da Sebastiano Mondadori a Mario Monicelli233, il regista ricorda il tempo in

cui si decisero per il soggetto con riflessioni che ci danno informazioni anche sul modo in cui l’autore, e la cultura ungherese in generale234, fossero entrate in Italia:

In quel momento I ragazzi della via Paal riscuoteva un successo internazionale. Tanto è vero che a Hollywood Frank Borzage – un regista che apprezzavo molto per il suo tono “borghese” – ne aveva fatto una trasposizione nel ’34, che noi però non avevamo visto. Ricordo che il libro veniva interpretato addirittura come una premonizione del nazismo. Molnár era noto anche per alcune commedie fantastiche sull’aldilà. Ma soprattutto, in Italia c’era il mito dell’Ungheria. Era un paese estremamente libero nei costumi. Spesso arrivavano in Italia delle bellissime attrici ungheresi del varietà. Da Budapest fece tappa anche un famoso balletto, Il cavallino bianco, pieno di queste ragazze meravigliose che gli italiani guardavano strabiliati, perché da noi le ragazze erano sorvegliatissime. Siccome quasi tutte le ballerine avevano trovato marito tra i figli degli industrialotti milanesi, la compagnia si sciolse.

232 Ivi.

233 S. Mondadori, La commedia umana. Conversazioni con Mario Monicelli, Il Saggiatore, Milano 2005. 234 Riguardo al successo dei “telefoni bianchi”, dunque al ruolo dell’Ungheria nel cinema italiano, sono

molto interessanti i ricordi di Monicelli sul modo di ingannare la censura fascista: «Il vero punto su cui si accanivano riguardava la morale sessuale, che era rigidissima nel cassare frasi allusive, doppi sensi, acconciature inopportune, censurando del tutto scene esplicite di sesso e men che meno gli adulterii. Il che era un bel guaio, perché se non metti le corna, dimmi tu cosa scrivi! Allora si ricorreva a degli escamotage: gli adulterii venivano risolti come un grande equivoco e alla fine piangevano tutti, prima di disperazione e poi di felicità. Almeno, in questo modo, per un po’ di metri facevi vedere qualche porcheriola. In alternativa si ambientavano le storie nelle plutocrazie corrotte: la Francia ma soprattutto l’Ungheria. Il quartiere Coppedè, in uno stile neogotico tra il liberty e il medievale, diventò la nostra Budapest. Con Gentilomo ci girammo due film. Ci eravamo procurati l’elenco telefonico di Budapest per trovare nomi ungheresi», ivi, p. 198.

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Con I ragazzi della via Paal ci misurammo con un film più impegnativo, lungo tre quarti d’ora, perdipiù girato in esterni, fatto tutt’altro che comune a quei tempi, in cui si girava quasi esclusivamente nei teatri di posa. Purtroppo allora le macchine da presa 16 mm erano senza sonoro. Dovendo fare un film muto, prendemmo la decisione “rivoluzionaria” di abolire le didascalie e raccontare la storia solo attraverso le immagini. Rispetto al Cuore rivelatore ci trovammo a dirigere un bel gruppo di attori, quasi tutti liceali del Berchet. Uno di loro era Giulio Macchi: lungo, magro, pallido, che sarebbe poi diventato un ottimo documentarista – fece un bel documentario sull’acqua intitolato Udor. A un certo punto sposò una donna ricca e non se n’è saputo più niente.

Anche la regia richiese una maggiore preparazione. Come tutti i dilettanti, credevamo nell’importanza artistica dei movimenti di macchina, e non ci risparmiammo: piazzavamo la camera su carrelli rudimentali e la spostavamo di continuo. Disponevamo di un paio di luci, ma le immagini sono venute abbastanza bene. Il film fu finanziato in parte da Civita e in parte da Arnoldo235.

Riguardo alla morte di Nemecsek, dunque al finale tragico della storia, Monicelli risponde soltanto ricordando che il suo primo approccio al cinema era stato molto impegnato, senza insistere, anzi non accennando affatto al valore simbolico di questa morte nel film. Questo aspetto costituisce un altro tassello nella riflessione su come, nelle varie forme di ricezione del romanzo, viene declinato il discorso su patriottismo ed eroismo. Il film effettivamente non presenta caricature patetiche del momento della morte del ragazzo, molto di più spicca la qualità delle scene di esterni realizzate dai giovani registi.

È giunto dunque il momento di andare a verificare sul testo originale, come gli elementi sinora elencati si trovano disposti nel testo, in rapporto non soltanto alla storia narrata, ma alle specifiche scelte linguistiche e narrative.