Ferenc Molnár, tra fama internazionale e modernità
2. Solo una questione di nomi?
Da molti critici è stato proposto il parallelo tra il percorso che ha portato il giovane Ferenc Neumann a diventare lo scrittore Ferenc Molnár e la crescita di Budapest. Adottando questa prospettiva, per inquadrare la biografia di Molnár non si può partire direttamente dall’anno della sua nascita, il 1878, ma occorre fare un passo indietro, fino ad arrivare alla data che segna uno spartiacque nella storia ungherese e di Budapest. A partire infatti dall’Ausgleich (1867), Budapest crebbe sempre più, per così dire, a immagine e somiglianza di Vienna, trovandosi dunque in una posizione di continuità e contemporaneamente di rottura rispetto al proprio modello. Quella del 1867 è una data che fa da spartiacque per l’inizio dell’epoca moderna in Ungheria e che lega a sé almeno un’altra data precedente la nascita di Molnár. Nel 1872 Pest e Buda vennero infatti unificate, insieme ai territori di Óbuda, e andarono a formare Budapest, che si preparava dunque a diventare una grande capitale moderna164.
Altro anno simbolico nella storia del rapporto tra Molnár e la sua città è il 1896, in cui Molnár festeggia il suo diciottesimo compleanno e l’Ungheria il proprio Millenario. È l’anno in cui Ferenc Neumann decide di intraprendere la carriera di
163 È comunque con le loro parole che bisogna subito mettere in guardia dall’illusione di un’eccessiva
unitarietà. Se pure si vuole porre Vienna al centro della vita culturale asburgica, nemmeno questo centro è pensabile come un tutto uniforme e dunque uniformante, perché la cultura della Vienna del tramonto asburgico non è né unitaria, né omogenea. «Unità e omogeneità sono il risultato di scelte interpretative», dicono Libardi e Orlandi, op. cit., p. 143.
164 Per i riferimenti alla storia e alla cultura ungherese si rimanda al volume di agile consultazione a
cura di A. Papo/G. Németh Papo, Storia e cultura dell’Ungheria. Dalla preistoria del bacino carpato-danubiano
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scrittore e sceglie di magiarizzare il proprio cognome con quello che oggi conosciamo. Il proprio nome di battesimo rivelava immediatamente l’appartenenza alla minoranza ebraico-ungherese. Ferenc Neumann era infatti figlio di Mór Neumann, un gastroenterologo di successo, e Jozefa Wallfisch. Aveva una sorella, Erzsébet, nata nel 1881, mentre suo fratello maggiore, László, era morto prima della sua nascita. La famiglia apparteneva alla borghesia benestante cittadina, laica; Ferenc aveva frequentato il liceo calvinista (i licei cattolici erano vietati a tutti coloro che non ne professavano la religione). La sua scelta di cambiare nome s’inserisce nel segno di una magiarizzazione che stava coinvolgendo all’epoca una fetta sostanziosa della borghesia ebraica. Magiarizzazione che passava soprattutto per l’affermazione dell’appartenenza linguistica165.
Il desiderio della minoranza ebraica di apprendere la lingua ungherese e usarla al posto dell’yiddish nella vita di tutti i giorni costituì l’elemento di maggiore differenziazione rispetto alle altre minoranze del paese, segno inoltre di una indubbia volontà di integrazione sociale166. Questa tendenza, che caratterizzò la popolazione
ebraico-ungherese a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, fu strettamente legata a un sentimento di appartenenza nazionale. Una parte della critica ha attribuito esplicitamente alla consapevolezza di tale appartenenza la scelta di Ferenc Neumann di cambiare il proprio nome in Molnár, vedendolo come «un gesto di affermazione patriottica»167. Il patriottismo così inteso non aveva nulla a che vedere con le
estremizzazioni nazionalistiche che pure si conoscono in quegli anni e, soprattutto, in quelli successivi, seppure il processo di magiarizzazione fosse strettamente legato alla questione delle nazionalità. Nel suo studio sulla Questione ebraica e letteratura nell’Ungheria della svolta del secolo, Giampiero Cavaglià mette in evidenza come esista un
165 Nel volume dedicato all’«anima plurilingue» della Kakania, Michaela Wolf riporta i dati dei
censimenti che tra il 1880 e il 1910 venivano praticati regolarmente nell’Impero austro-ungarico per definire la composizione della popolazione secondo le nazionalità. Il complesso rapporto tra lingua e nazionalità veniva risolto con l’obbligo, per chi partecipava al censimento, di indicare un’unica lingua, quella di uso quotidiano (Umgangssprache). Per quanto riguarda il Regno d’Ungheria, nel 1910 la percentuale di parlanti ungherese era del 54,50%, mentre le minoranze erano quella rumena (16,10%), slovacca (10,70 %), tedesca (10, 40%), rutena e serba (entrambe 2,50%) e croata (1,10%). Wolf sottolinea come la richiesta di indicare un’unica lingua fosse una forzatura nella realtà babelica dell’impero, in cui il bilinguismo o plurilinguismo erano fenomeni assolutamente naturali: «Hier kommt das Konzept der “Erfindung der Nation” deutlich zum Tragen: Es stellt sich die Frage, wieviele der habsburgischen EinwohnerInnen, die ihre „Umgangssprache“ angeben mussten, sich letztendlich tatsächlich unter dieser Kategorie wieder erkannten, zielten doch solche Umfragen auf Eindeutigkeiten ab, die nur in wenigen Fällen einer Realität entsprechen konnten» (Cfr. M. Wolf, Die
vielsprachige Seele Kakaniens, cit., pp. 68-70). 166 I. Várkony, op. cit., p. 33.
167 Si veda ad esempio Várkony, oppure la biografia di Georg Kövary, in cui si afferma: «Die
Ungarisierung seines Namens bedeutete nicht, dass er sich seiner jüdischen Abstammung schämte, dahinter steckte vielmehr Patriotismus», G. Kövary, op. cit., p. 19.
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legame diretto tra il processo di magiarizzazione della minoranza ebraica e la natura di stato sovranazionale dell’impero asburgico. Riprendendo le tesi dello storico István Bibó, egli afferma che «quei popoli furono costretti […] a una forma di nazionalismo distorto: il nazionalismo linguistico»168. In una realtà etnicamente complessa come
quella dell’impero asburgico, questo tipo di nazionalismo godeva di una stabilità solo apparente, che poteva facilmente essere messa in discussione nei periodi di crisi, quando, come effettivamente accadde, si tornò a distinguere tra chi apparteneva davvero alla comunità da un punto di vista “razziale” e chi ne faceva parte soltanto apparentemente – ovvero soltanto linguisticamente. Ma prima di questa crisi, dalle conseguenze purtroppo tristemente note, la situazione degli ebrei nella fase successiva al 1867 è caratterizzata in Ungheria da una disposizione tendenzialmente positiva da entrambe le parti.
Dopo la nascita della Duplice Monarchia, il governo liberale ungherese aveva riconosciuto piena parità di diritti agli ebrei. Questo atto aveva avuto come conseguenza un forte incremento della già crescente immigrazione di ebrei da Oriente (Russia, Galizia), dove la loro condizione non era altrettanto favorevole. Fu appunto attraverso la scelta linguistica che gli ebrei espressero la propria volontà di appartenere a tutti gli effetti alla nazione ungherese: nel 1910 si contavano in Ungheria 91.000 ebrei, quasi tutti magiarofoni. La tendenza alla magiarizzazione da parte della minoranza ebraica è da leggere peraltro in opposizione alla germanizzazione da cui l’Ungheria si sentiva costantemente minacciata. Alla fine dell’Ottocento ci si trovava in una fase di passaggio, in cui la lingua predominante dei ceti colti era ancora quella tedesca, ma che vedeva una sempre maggiore affermazione della lingua ungherese. Per gli ebrei l’espressione del sentimento d’identificazione con la cultura ungherese si manifestava dunque per negazione, in opposizione cioè all’identità austriaco-germanica e alle altre minoranze.
L’integrazione ebraica ebbe conseguenze importanti e positive anche nell’estensione di Budapest a metropoli: essa è infatti determinata anche dalla migrazione verso la città di molti ebrei assimilati. La conseguenza fu che il quadro della popolazione ebraica cittadina cambiò radicalmente: se fino agli anni Settanta dell’Ottocento essi erano principalmente di origine austriaca o boema, a cavallo dei due secoli la polazione ebraica cittadina fu composta per la maggior parte da ebrei assimilati, ossia magiarofoni. Questa generazione fu sostenitrice convinta della causa magiara. Lo
168 G. Cavaglià, Fuori dal ghetto: questione ebraica e letteratura nell’Ungheria della svolta del secolo, Carucci, Roma
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sottolinea Cavaglià, servendosi dell’esempio di un romanzo pubblicato nel 1927 da Lajos Hatvany, noto intellettuale e mecenate dell’epoca, cofondatore della rivista Nyugat. Nel suo Urak és emberek (Signori e uomini) si legge come il protagonista più giovane, l’ebreo Zsiga, si entusiasmi a scuola per la lingua, la letteratura e la poesia ungheresi e sia pieno di zelo patriottico. Cavaglià vi legge la chiave dell’integrazione ebraica:
Lui e i suoi compagni sono tutti degli zelanti studiosi della lingua e della letteratura ungherese. Il loro entusiasmo per l’ungherese è alimentato anche dalle lezioni del prof. Mihályi, uno slovacco magiarizzato, che non cessa di proclamare che «l’ungherese è la migliore delle lingue, la letteratura ungherese è la migliore delle letterature e il verso ungherese il più musicale»169.
La trilogia – di cui in realtà soltanto il primo volume è compiuto – problematizza la posizione degli ebrei nella società ungherese e ne restituisce diverse sfaccettature. Tra queste, al lettore giunge senz’altro in maniera eccellente quel sentimento di partecipazione alla vita culturale ungherese che portò la comunità ebraica a inserirsi a pieno titolo in uno strato della società che a quel tempo risultava vacante: quello della borghesia cittadina.
Il legame tra letteratura e nazionalismi è forte in Ungheria più che altrove: «La letteratura – ricorda Cavaglià – era sin dalla seconda metà dell’Ottocento il terreno in cui la nazione rispecchiava i suoi modelli di identità, e di tale funzione essa resta vicaria molto a lungo nel tempo, ben oltre le soglie del nuovo secolo»170. Il legame tra
scrittori, pubblico e sentimento nazionale si manteneva ben saldo nella letteratura tradizionale: una buona parte della letteratura ungherese restava legata ai valori nazional-popolari e all’«ideale della nazione come armoniosa famiglia»171. Spesso
furono proprio gli intellettuali di origine ebraica, come spiega Cavaglià, a farsi promotori delle istanze di modernità culturale, letteraria, politica e sociale, e anzi nel momento di ripiegamento su posizioni estremiste fu proprio questa una delle cause per cui la minoranza ebraica poté essere accusata di corrompere l’integrità dei valori tradizionali magiari.
Quantunque Molnár si sia occupato della questione ebraica soltanto nel romanzo Andor (1918), aspetto che lascia intendere come il problema dell’integrazione della minoranza ebraica non sia quindi un tema a lui particolarmente caro, il suo percorso biografico, perfettamente in linea con le tendenze dell’epoca, lo rende un caso
169 Ivi, pp. 208-209. 170 Ivi, p. 29. 171 Ibid.
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rappresentativo del processo di identificazione con la città di Budapest, che passa senz’altro attraverso un’identificazione con la lingua172.
Rimanendo sugli avvenimenti significativi, dobbiamo tornare alla data del 1896, memorabile per la coincidenza di tre fatti appartenenti sia alla storia personale di Molnár sia a quella dell’Ungheria. In quell’anno, legato come detto ai festeggiamenti per il Millennio dalla “conquista della patria”, Molnár decide di abbandonare gli studi di giurisprudenza e dedicarsi esclusivamente alla scrittura: a suggellare questa risoluzione, si ricorda, è la scelta di un nuovo nome.
Anche il genere con cui lo scrittore Molnár comincia a cimentarsi è emblematico di un’epoca. Egli lavora come giornalista, inizialmente impiegato nella cronaca, spesso inviato a seguire processi in virtù dei suoi studi di diritto173. Con questa attività,
Molnár si trova nel pieno centro della vita culturale del paese e, ben presto, la sua penna diventa tra le più amate e riconoscibili nelle pagine delle riviste budapestine. In quell’epoca a Budapest – come a Vienna – giornali e riviste avevano un ruolo molto importante nella vita culturale cittadina. Tantissimi furono nell’Austria alla svolta del secolo i cosiddetti “maestri della forma breve” (Alfred Polgar o Karl Kraus, ad esempio). Allo stesso modo la letteratura ungherese si trova in una fase in cui la modernizzazione avviene soprattutto attraverso le pagine di giornali e riviste. È Molnár stesso a raccontarlo:
172 Riguardo al problema dell’origine ebraica, oltre che alle vicende personali dell’autore (l’emigrazione
a New York) ci si può riferire a una recensione di György Lukács al romanzo Isten veled szívem. La recensione è in realtà una stroncatura, come del resto lo era anche quella del 1919 al romanzo Andor: Lukács era molto critico nei confronti di Molnár e in particolare individuava nel sentimentalismo una strategia per riempire quei vuoti, quelle spaccature che si creano tra visioni puramente episodiche, prive di una forza creativa unitaria. La recensione del 1947 è invece testimonianza, nelle sue ultime battute, di una discussione che riguarda il rinnovamento della critica letteraria in senso democratico, ma scevro di ideologie e riferito ai soli criteri di qualità letteraria. Afferma infatti Lukács: «[…] non tanto tempo fa abbiamo letto che Ferenc Molnár rientra tra i “classici” ungheresi. Come è mai pensabile una revisione democratica dell’evoluzione ideologica ungherese, se vi sono democratici che prendono le difese, in blocco fino ad Andor Miklós, di tutti coloro che sono di origine completamente ebraica? Non vedono, questi scrittori dalle intenzioni democratiche, che facendo ciò aprono nuovamente una spaccatura nel difficile processo di creazione di una ricezione democraticamente unitaria della letteratura e della cultura ungherese? Che ostacolano una revisione veritiera e imparziale del passato fatta nello spirito di una cultura ungherese veramente democratica? Qui non si tratta di fare concessioni tenendo conto di un qualche sentire comune, non si tratta di una qualche tattica; qui l’unica giusta tattica è la proclamazione spietata della verità storica. Se diciamo la verità, anche su Ferenc Molnár, anche su Andor Miklós, serviamo con la verità la buona causa della democrazia e con essa l’estirpazione delle radici soggettive dell’antisemitismo», Gy. Lukács, Molnár Ferenc: Isten veled
szívem, in Id., Magyar irodalom, magyar kultúra. Válogatott tanulmányok, Gondolat Kiadó, Budapest 1970,
pp. 433-438, qui p. 438.
173 Un’esperienza fondamentale ad esempio, che segna l’inizio della collaborazione con il giornale Budapesti Napló, è quella di inviato a Ginevra al processo all’anarchico Luccheni, responsabile
dell’omicidio dell’imperatrice Elisabetta. Un’esperienza che Molnár racconta nelle sue memorie come uno dei momenti più spaventosi della propria carriera. Cfr. F. Molnár, Companion, op. cit., pp. 154-155.
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Reporters in America and elsewhere go out and get the news, whereas we, more often than not stay in the office or in our garrets and make the “news”. By that I mean that we report the news of the mind and soul of our characters as much as we do the action and happenings of daily life, which are, after all, the material accidents of existence rather than the significant realities of life. There is a disposition in some quarters to call all that fiction. But some of it, I insist, is literature. True literature is life translated into letters.174
Il pubblico di lettori di giornali e riviste, cittadini appartenenti alla media e alta borghesia nella metropoli in crescita, avevano poco tempo per i romanzi e comunque snobbavano generalmente la letteratura ungherese considerando più sofisticato e cosmopolita dedicarsi alla letteratura straniera. Gli scrittori dovevano trovare dunque una soluzione, una loro strada, come ammette lo stesso Molnár:
qui la novella non fu il breve divertimento artistico dei romanzieri e degli autori di teatro, e nemmeno l’unico modo possibile per affermarsi di poeti di corto respiro. Qui per lunghi anni la novella breve fu l’unica forma di prosa nella quale si poteva pubblicare. Per i romanzi non si potevano trovare editori, perché la gente non voleva leggere romanzi ungheresi – con l’unica eccezione di Jokai. Per decenni l’idea di romanzo corrispose all’idea del romanzo straniero, sotto il titolo del romanzo l’editore non stampava nemmeno il nome dell’autore, ma semplicemente «romanzo inglese» o «romanzo francese»… Dunque tutti furono costretti a scrivere novelle175.
Le idee migliori, così riteneva Molnár, venivano contratte nella lunghezza di una novella o di un articolo di feuilleton. Ma gli autori ungheresi seppero fare di necessità virtù: «Since we had been confined to this genre, it miraculously ascended to the highest level in the world»176. Anche Kaniczay riconosce il profondo legame tra
l’attività di cronista/feuilletonista di Molnár e la sua appartenenza totale alla vita cittadina: egli fu il primo scrittore a stare con entrambi i piedi sul suolo della nuova metropoli moderna, desiderando esserne il suo scrittore:
Con la meticolosità del cronista, il giornalista conosce la vita cittadina e le figure altrettanto caratteristiche di questa metropoli affamata: i giornalisti sicofanti, i piccoli impiegati burocrati, i politici imbroglioni, i banditori e gli inservienti delle giostre del boschetto, i ladri di carbone, così come i frequentatori dei ricevimenti nella Lipotváros, gli intellettuali dei caffè e i bellimbusti perdigiorno. I suoi schizzi, i suoi scritti pubblicistici giovanili sono eccellenti istantanee della “babele” ungherese d’inizio secolo e sia la critica che il pubblico lo accolgono con grande apprezzamento, come fregio letterario177.
174 F. Molnár, All the Plays of Molnár, New York 1919, p. XV, cit. in K. Györgyey, op. cit., p. 44. 175 Molnár, Decameron, in Id., Ismerősök, Bp. 1917, pp. 207-209. La traduzione italiana è tratta da B.
Ventavoli, op. cit., p. 99.
176 Ivi, cit. in Györgyey, p. 45.
177 T. Kaniczay, op. cit. [Az újságíró krónikás pontosságával ismeri a város életét, az éhes nagyváros
megannyi jellemző alakját: a zsaroló újságírókat, a bürokrata kishivatalnokokat, a panamázó politikusokat, a ligeti kikiáltókat és hintáslegényeket, a széntolvajokat éppen úgy, mint a lipótvárosi zsúrok közönségét, a kávéházi széplelkeket és a semmirekellő szépfiúkat. Fiatalkori publicisztikai írásai, tollrajzai kitűnő pillanatfelvételek a század eleji magyar "bábelről", s nagy elismeréssel, irodalmi értékként fogadja a kritika és az olvasóközönség egyaránt.]
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Attraverso alcune prime riflessioni sull’opera teatrale di Molnár nonché attraverso queste poche annotazioni sull’importanza che per lui assume la scrittura giornalistica, risulta evidente il modo particolare in cui si declina il rapporto tra lo scrittore e la sua città. Un rapporto che assume nuovamente delle connotazioni più “asburgiche” che specificamente ungheresi, come rileva ad esempio Várkony, in un’annotazione sul patriottismo molnariano che tornerà a breve al centro delle riflessioni di questo lavoro:
In spite of his ambivalence, Molnár’s feelings toward his country can be best described as “hazaszeretet” (love of the homeland). Like Vienna, which inspired Schnitzler’s sense of “Heimat”, Molnár’s sphere was Budapest. By not allowing his works to be consumed by nationalistic dogmas, Molnár resembles more his Viennese contemporaries than his Budapest colleagues. In contrast to their apolitical Viennese contemporaries, literary figures and young intellectuals of turn-of-the-century Budapest (Ady, Lukács, Balázs, Mannheim, Ignotus, Jászi, etc.) were considerably more political, as is evident from their philosophical and sociological writings178.
La vicinanza di Molnár ai suoi colleghi viennesi merita di essere presa in esame con mggiore attenzione. Si è visto nel primo capitolo come essa potrebbe passare attraverso una “questione di nomi”: sono i movimenti curiosi di una mitteleuropa babelica, in cui il cognome Neumann viene magiarizzato in Molnár, per tornare ad essere nuovamente germanizzato – questa volta nel nome, Franz – in virtù del successo sui palcoscenici austriaci. Ora però la germanizzazione, come sottolineava Sebestyén, non è il risultato di un’assimilazione ma, piuttosto, il riconoscimento di una comune cittadinanza letteraria179.
Una comunanza che permette forse una ricollocazione del problema della leggerezza molnariana, in sintonia con quanto rileva Bruno Ventavoli, e che si concretizza in una data, quella del grande successo della commedia Liliom sul palcoscenico viennese. Presentata per la prima volta nel 1909 al Vígszínház, il teatro comico di Budapest, la commedia fu accolta con freddezza, costituendo il primo fiasco nella carriera di Molnár dopo il successo dei Ragazzi della via Pál, il grande trionfo internazionale della commedia Il diavolo e il forte consenso tra i lettori anche per quanto riguarda la prosa giornalistica. Il teatro era frequentato dalla borghesia cittadina, era luogo mondano di sfoggio del proprio benessere da parte degli spettatori, che tutto si aspettavano fuorché di vedere rappresentata in scena la realtà del sobborgo cittadino, il parco di
178 I. Várkony, op. cit., p. 38.
179 Questo molto prima di quanto non accada nella sua biografia reale: sarà negli anni Trenta infatti
che lo scrittore si trasferirà a Vienna, per poi emigrare in America nel 1940 e non tornare mai più a Budapest.
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divertimenti alla periferia di Budapest frequentato da personaggi di basso rango sociale: donne della servitù, ubriaconi, giostrai, soldati semplici e poi, primo fra tutti,