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4. La letteratura per ragazzi in Italia nel Ventennio fascista

4.1. La ricezione della letteratura ungherese in Italia

Uno dei punti chiave che guiderà il presente lavoro per la parte italiana è proprio l’intersezione tra questo discorso e la storia della ricezione della letteratura ungherese in Italia. Un’intersezione nella quale si collocherà appieno il romanzo di Molnár. Per questo motivo è opportuno soffermarci ora sulla descrizione di tali modi di ricezione, che si sono caratterizzati innanzitutto per la loro intermittenza. La letteratura ungherese ha conosciuto in Italia – in particolare nel periodo cui ci riferiamo – vette di popolarità e abissi di indifferenza. Questi sono stati determinati, si può ben dire, da una ricezione di tipo funzionale e non prettamente estetico. Tale funzionalità, molto più che sul piano prettamente letterario, ha operato sul piano politico-sociale e culturale.

Dalla fine degli anni Venti e poi soprattutto negli anni Trenta si registra un picco d’interesse nei confronti della letteratura ungherese, che si inserisce all’interno di un più ampio interesse del mondo culturale italiano verso le letterature straniere. Il cosiddetto “decennio d’oro delle traduzioni”, ampiamente studiato soprattutto per quanto riguarda l’apertura verso la letteratura inglese e americana e verso la letteratura tedesca, corrisponde a quello che per la letteratura ungherese è stato definito da Sárközy «la “grande stagione” della letteratura ungherese in Italia»128 nel

periodo tra le due guerre. Tale grande stagione non è un momento isolato nella storia dei rapporti culturali tra i due paesi, ma è stata sicuramente preparata da un intenso scambio che arriva indietro nel tempo fino alla figura di San Gherardo, vantando dunque «dieci secoli di rapporti letterari»129. Rapporti che rimangono però a lungo

127 P. Boero/ C. De Luca, La letteratura per l’infanzia, Laterza, Roma 2009, p. 196. La traduzione di Bambi: la vita di un capriolo, era uscita da Treves nel 1930 nella traduzione di Giacomo Prampolini. 128P. Sárközy, Le traduzioni italiane delle opere letterarie ungheresi, in RSU - Rivista di Studi Ungheresi, III,

2004, pp. 7-16, qui p. 12.

129 M. Horányi/T. Klaniczay (a cura di), Italia ed Ungheria. Dieci secoli di rapporti letterari, Akadémiai

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univoci, fatte salve alcune eccezioni: fino all’Ottocento è infatti l’Ungheria a rivolgere continuamente lo sguardo verso l’Italia, che accoglie nelle sue città numerosi studiosi, mentre in Italia soltanto in pochi, «i migliori però: Dante, Petrarca, Machiavelli manifestarono interesse per le sorti della “beata Ungheria”»130.

L’inversione di tendenza si ha nell’Ottocento, nell’epoca del «comune Risorgimento» dei due popoli, quando italiani e ungheresi combattevano per l’indipendenza contro lo stesso nemico, gli austriaci. A entrambi i popoli era chiaro che i rispettivi successi in battaglia avrebbero indebolito l’esercito asburgico, ragione per cui fu costante l’attenzione reciproca per le sorti degli eserciti “fratelli”. Sono questi gli anni in cui per parte italiana cominciano le prime vere traduzioni dall’ungherese, in particolare con la ricezione del poeta Sándor Petőfi. Il poeta, ispiratore della rivoluzione di Pest- Buda del 15 marzo 1848 e lui stesso in prima linea nelle battaglie131, scrisse perfino

un’ode all’Italia, ai «sacri gloriosi soldati» siciliani che come gli ungheresi combattevano per la libertà. Legioni di soldati italiani combatterono insieme ai rivoluzionari ungheresi fino alla loro resa di fronte all’esercito russo, arrivato a Budapest in aiuto degli austriaci. Allo stesso modo legioni ungheresi combatterono al fianco degli italiani non soltanto durante le battaglie del 1848, ma anche nei decenni successivi, fino a ingrossare le file dei garibaldini e a ottenere da Garibaldi stesso incarichi al comando dei vari battaglioni italiani. L’ammirazione per Garibaldi fu tanta che lo stesso Lajos Kossuth – che era stato al capo del governo rivoluzionario del 1848 ed era poi rimasto in esilio volontario a Torino fino alla morte nel 1894 – sperava nel suo aiuto per replicare i successi della spedizione dei Mille anche in Ungheria. Anche se i fervori rivoluzionari ungheresi sarebbero poi stati frenati dall’Ausgleich del 1867, le reminescenze del passato rivoluzionario comune continuarono a protrarsi ben oltre questo anno e trovarono una forte eco anche nella letteratura. Così Sándor Petőfi risultava già negli anni Ottanta dell’Ottocento uno dei poeti più tradotti in Italia «e proprio sulla scia della fama di Petőfi si formò in Italia a cavallo dei secoli XIX-XX un interesse specifico per la cultura e letteratura»132.

Il filo conduttore che guida questo interesse rimane spesso quello patriottico e si creano interessanti scambi letterari: romanzieri molto popolari in Ungheria come

130 P. Sárközy, Risorgimento italiano – Risorgimento ungherese. Parallelismi e incroci. L’eco della lotta comune nelle letterature dei due Paesi, n.p.

131Petőfi morì sul campo di battaglia di Segesvár (oggi in Romania) nel luglio 1849. Per i riferimenti

alla storia della letteratura ungherese si segnala in particolare il recente volume curato da B. Ventavoli,

Storia della letteratura ungherese, Lindau, Torino 2004.

132 P. Sárközy, Le traduzioni italiane, op. cit., p. 8. Nel quarto capitolo illustrerò come il discorso sui

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Mór Jokai ispirano le trame dei propri romanzi alle vicende patriottiche italiane; gli italiani, da parte loro, traducono questi testi che raccontano delle proprie vicende risorgimentali. Jókai era considerato il romanziere del romanticismo risorgimentale ungherese ed era lo scrittore più apprezzato in patria. Lo fu quasi di conseguenza anche in Italia, con 17 romanzi tradotti tra il 1863 e la fine della Prima guerra mondiale133. Il filone del romanzo risorgimentale non è affatto trascurabile ai fini

dell’analisi delle traduzioni dal momento che sono le stesse traduzioni a contribuire alla costruzione dell’immagine che si ha di una certa letteratura e cultura. Non è un caso che Sárközy arrivi a definire I ragazzi della via Pál

una vera e propria riscrittura delle comuni lotte del Risorgimento italiano e ungherese. I ragazzi di via Pál, che vogliono difendere la loro terra fino alla morte, sono senz’altro gli eredi dei soldati di Lajos Kossuth, mentre i ragazzi del Giardino Botanico (Füvészkert), guidati da Áts Feri, si vestono alla maniera dei garibaldini, in camicia rossa, e vogliono occupare la loro “Sicilia”, il grund di via Pál134.

La centralità della questione politica è ravvisabile anche nell’importanza che un gruppo ben preciso di traduttori ha avuto come intermediario e mediatore culturale tra i due paesi: i traduttori fiumani. Il loro ruolo per quantità e qualità delle traduzioni è stato messo a fuoco in più occasioni da Péter Sárközy, che non manca di far riferimento a tal proposito alle questioni politico-culturali dell’Impero Asburgico. Sárközy fa risalire i primi concreti lavori di traduzione a un momento ben preciso della politica fiumana:

Gli inizi della traduzione delle opere letterarie ungheresi risalgono alla prima metà dell’Ottocento, quando nella città di Fiume – annessa dal 1778 alla Corona Ungarica su richiesta dei suoi cittadini italiani e per volontà dell’imperatrice Maria Teresa – ebbe inizio, dopo le guerre napoleoniche negli anni Venti, l’insegnamento della lingua e letteratura ungherese per gli studenti delle scuole elementari e medie135.

La scelta dell’annessione rappresentava un ottimo compromesso per entrambe le parti: i fiumani da un lato non volevano infatti essere sotto diretta dipendenza della Croazia, lo stato ungherese dall’altro si poteva fregiare di porto marittimo proprio. La città di Fiume era tanto rifiorita nel periodo successivo all’annessione che, dopo gli anni di dominazione francese (1809-1813) e poi austriaca e croata, i cittadini festeggiarono nuovamente il ritorno degli ungheresi nel 1822. Gli ungheresi a loro

133 Ibid.

134 P. Sárkozy, Risorgimento italiano, op. cit.

135 P. Sárközy, I traduttori fiumani della letteratura ungherese, in A. Papo/G. Nemeth (a cura di), Hungarica Varietas. Mediatori culturali tra Italia e Ungheria, Edizioni della Laguna, Meriano del Friuli 2002, pp. 141-

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volta concessero l’autonomia del governo municipale ai cittadini italiani. Anche dopo la nascita della Duplice Monarchia, dal 1870 al 1918, Fiume appartenne direttamente all’Ungheria, e non alla vicina Croazia. Tutto ciò costituì comprensibilmente un elemento importante per la diffusione e l’intensificazione degli scambi linguistici, letterari e culturali tra Italia e Ungheria. Sárközy parla di una vera e propria «simbiosi italo-ungherese della vita culturale della città di Fiume, a cavallo dei secoli XIX- XX»136, che avrebbe avuto un ruolo importante non solo nella diffusione della

letteratura, ma prima di tutto nella formazione dei suoi traduttori. E ancora:

I professori – italiani, tedeschi o ungheresi – del Ginnasio-Liceo di Fiume furono tutti bilingue e formarono una vera e propria comunità intellettuale italo-ungherese adatta alla realizzazione di uno interscambio tra le due letterature e tra le due culture. Il loro lavoro dapprima fu legato all’attività didattica presso il Liceo, poi assunse maggiori dimensioni creando nuovi giornali e riviste italiani ed ungheresi, promuovendo collane di traduzioni di opere ungheresi per gli italiani e degli scrittori classici e contemporanei italiani per l’Ungheria. Per loro questa missione culturale per l’avvicinamento delle due culture e dei due popoli, divenne una vera vocazione. Questo spiega anche perché dopo la prima (e poi la seconda) guerra mondiale, nonostante le inimicizie politiche dopo l’intervento italiano, quando vennero costretti a lasciare la loro città natale, vivendo in Ungheria o in Italia continuarono la loro missione, la doppia divulgazione delle due culture che avevano iniziato nella loro comune città: a Fiume137.

Secondo Sárközy la presenza di tanti traduttori fiumani in un terreno reso già fertile dai rapporti risorgimentali con l’Ungheria determinò una coincidenza proficua per la diffusione della letteratura ungherese in Italia.

All’interesse per la letteratura romantico-risorgimentale s’incrocia un secondo filone, specifico del periodo tra le due guerre, che caratterizza la presenza della letteratura ungherese in Italia: la moda del romanzo d’intrattenimento, «di cui gli scrittori cosiddetti “borghesi” ungheresi furono i migliori produttori ed importatori in tutta l’Europa»138. In questo periodo si può parlare di una vera e propria moda della

letteratura ungherese in Italia e la ricezione della sua variante “alta” passa proprio attraverso tale letteratura di consumo: gli stessi traduttori che diffondono i romanzi leggeri dal vago139 sapore esotico riescono infatti a far interessare le case editrici per

quegli autori che vengono considerati in patria gli esponenti della vera letteratura

136 P. Sárközy, Fiume – Punto d’incontro della cultura italiana ed ungherese dell’Ottocento, in Id., Letteratura ungherese, letteratura italiana, Sovera, Roma 1997, pp.180-195, qui p. 189.

137 Ivi, p. 192.

138 P. Sárközy, Le traduzioni italiane, op. cit., p. 10.

139 Questo aggettivo è da un punto di vista traduttologico di centrale importanza nella valutazione dei

modi di traduzione, perché può essere visto come il segnale di una sorta di compromesso tra il processo di totale appropriazione dell’opera nella cultura d’arrivo e la pretesa di un totale straniamento da parte del lettore della traduzione.

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moderna del Novecento: Babits, Kosztolányi, Karinthy, Móricz, Tamási, per stare all’elenco proposto da Sárközy.

La discussione attorno alla lingua in epoca fascista assumeva come noto dei caratteri ben delineati, che poco spazio lasciavano alle sperimentazioni linguistiche:

In der Ideologie des Faschismus galten die Dialekte als politisch zweifelhaft und sogar gefährlich, entzogen sie sich doch durch ihre Varietät gleichmacherischen Bestrebungen und möglichen Kontrollmechanismen. Generell richtete sich das Misstrauen der Faschisten nicht nur gegen die dialektale Sprachvarianten, sondern auch gegen jeglichen Formen von anderssprachlichen Einflüssen140.

L’effetto sulla pratica delle traduzioni si esplicitava in forme di censura di vario tipo, che assumeva spesso tratti molto sottili, e passava non tanto attraverso il divieto di intere opere o la cancellazione di interi passaggi, quanto attraverso una più delicata operazione di pulitura, attraverso quelli che Antonella Ottai definisce «taglietti»:

Molto più delle eliminazioni integrali, i “taglietti” rappresentano l’esercizio di un metodo: proprio nella misura in cui controllano i piccoli particolari – una parola in più o una in meno – tacciano in filigrana nel testo un modello di riferimento ideale, quel testo unico, quella narrazione dovuta e convenuta, che realizza la norma e normativizza l’opera in cui intervengono141.

Queste riflessioni preliminari non esauriscono il raggio di analisi del corpus di traduzioni italiane, ma ne costituiscono un’indicazione di metodo molto importante, dal momento che le traduzioni che avremo di fronte non presentano veri e propri stravolgimenti, modifiche di personaggi, tagli o inserimenti di happy ending, come è avvenuto in altri casi nella storia della traduzione di letteratura per l’infanzia (e di cui ne sono la prova alcuni esempi riportati nei capitoli precedenti), ma sono traduzioni che a una prima lettura appaiono grossomodo fedeli all’originale.

Tra i numerosi studi sugli argomenti esposti in questo paragrafo, manca un’analisi sui testi, un esame ravvicinato, una critica delle traduzioni, che provi a motivare anche sul piano linguistico-testuale una certa immagine della letteratura ungherese in Italia. Un’immagine che, come spiega Ottai, corrisponde a una ben precisa funzione all’interno del campo culturale italiano. L’analisi di Ottai, riferita in particolare agli sviluppi del teatro e del cinema, resta per me una guida fondamentale per

140 M. Lieber, Pluralität sprachlicher Ausdrucksformen: Übersetzung, Binnenübersetzung und Questione della

lingua, in H. Kittel et al. (a cura di), Übersetzung: ein internationales Handbuch zur Übersetzungsforschung, vol. 3, De Gruyter, Berlin 2004, pp. 1930-1940, qui p. 1935.

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comprendere i meccanismi di creazione di fenomeni di costume che andranno a interessare direttamente anche il campo della letteratura per ragazzi:

Durante il regime fascista nel costume italiano si verifica un fenomeno peculiare di cui è responsabile soprattutto il mondo dello spettacolo e, in qualche misura, la letteratura di grande consumo: l’Ungheria – ma sarebbe meglio dire Budapest, che è uno “stato nello stato” – popola l’immaginario nazionale di narrazioni che investono soprattutto la vita metropolitana e i suoi caratteri di modernità. Le trame che in qualche modo provengono dalla capitale magiara o “trafficano” con questa, garantiscono al pubblico la leggerezza degli intrecci e le ambientazioni ungheresi diventano, prima in teatro e in seguito al cinema, una pratica diffusa che perdura fino alla fine della seconda guerra mondiale […]142

Se nel 1937 la programmazione di commedie magiare in Italia rappresenta circa il 12% del repertorio straniero, è evidente che anche il campo più propriamente letterario deve fare i conti con una presenza massiccia di letteratura ungherese in Italia. Tanto più che i mediatori linguistici attivi nella diffusione della commedia ungherese e nella creazione poi di una commedia all’ungherese, sono spesso gli stessi che si dedicano anche alla diffusione di romanzi. Nuovamente tornano utili le riflessioni di Ottai:

Esaminarne le condizioni di vigenza non è di poco conto: significa cercare di comprendere l’economia di scambio che si instaura fra culture internazionali e pratiche dell’immaginario, fra politiche di regime e sistemi di evasione, interrogando le strategie con cui lo spettacolo italiano, fra gli anni Venti e Quaranta, assolve in una capitale straniera – e nei suoi prodotti peculiari – alcuni dei propri modi comici, senza rispettare altri protocolli di verosimiglianza che non siano quelli negoziati all’interno del genere stesso, dai quali proprio per questo non è possibile derogare. Ogni elemento che disturbi il luogo figurale di questa commedia è destinato a rimozioni accurate, secondo procedimenti che rivelano l’amministrazione italiana dello standard produttivo: quando la commedia proveniente dall’Ungheria diventa una tipologia “all’ungherese” della commedia italiana – il che si verifica grosso modo nella seconda metà degli anni Trenta, dopo che è maturato il passaggio di testimone dal teatro al cinema – è palese che, in termini di probabilità, se nulla si deve alla realtà nazionale, nulla tanto meno si deve alla cultura magiara e che punto di partenza e punto di approdo sono poli intercambiabili di un immaginario di viaggio organizzato e convogliato nelle gite aziendali dei treni popolari; o meglio, l’arte della commedia è l’arte di trasferirsi armi e bagagli in un paese che, a livello di cultura mass-mediatica, è conosciuto grazie a una produzione che, a sua volta, è riuscita a intraprendere la via dello standard commerciale143.

Sull’incrocio tra la diffusione della commedia ungherese e il grande successo de I Ragazzi della via Pál si sofferma la stessa Ottai, che anzi attribuisce al romanzo la funzione di «racconto di fondazione» per il proprio discorso. Questo non soltanto per la sua ambientazione budapestina, che come si è visto risponde alle esigenze di

142 Ivi, p. 15. 143 Ivi, pp. 16-17.

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un «affetto internazionale», ma anche – e mi sembra questo un punto particolarmente significativo, perché rispondente al modo in cui abbiamo finora presentato la letteratura per ragazzi – perché «riesce anche a proporsi negli svariati percorsi intermediali che derivano dal suo inaspettato successo – racconto d’appendice, libro, edizioni teatrali e cinematografiche – tutti destinati a moltiplicarsi nelle lingue e nel mondo»144.

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Capitolo II