Gli obiettori di coscienza in Italia (1945-1972)
3.2 Gli anni Sessanta: l’arrivo dei cattolic
3.2.2 Entra nel dibattito anche l’arte: il cinema prima di tutto
Nel periodo finora preso in considerazione è il cinema che senza dubbio ha giocato un ruolo di primo piano nel dibattito sull’esercito prima e sull’obiezione di coscienza poi. Uno dei primi film del dopoguerra a toccare, anche se molto di sfuggita l’argomento, è
Riso amaro (1949): in una delle prime scene della pellicola uno certo sergente Marco
Galli viene ripreso mentre scrive su un muro “Vivo morendo in caserma non in tempo di guerra ma in tempo di vita”.
Pochi anni dopo, nel 1953, l’esercito e il cinema entrarono dentro il dibattito pubblico. Nel febbraio del 1953 il critico cinematografico Renzo Renzi pubblicò con l’aiuto del collega Guido Aristarco su Cinema Nuovo la sceneggiatura per un nuovo film intitolato L’armata s’agapò137 e dedicato alla campagna fascista contro la Grecia in cui soldati italiani costrinsero diverse donne greche a prostituirsi. I due, che all’epoca erano “soldati in congedo”, vennero deferiti alla giustizia militare e arrestati. Dopo 40 giorni di carcere a Peschiera, nel settembre del 1953 vennero processati con l’accusa di “oltraggio alle forze armate combattenti” e condannati in prima e unica istanza a sei e sette mesi di carcere (a norma dell’articolo 103 della Costituzione)138.
Solo negli anni Sessanta però la questione dell’esercito, dell’obbedienza e del rifiuto del servizio militare sarebbero entrati completamente nel cinema. Il nuovo decennio, infatti, era iniziato con un grosso dibattito attorno alla questione dell’obiezione di coscienza scaturito proprio dalla produzione e proiezione di una pellicola cinematografica, a dimostrazione di come il tema iniziasse a diffondersi su più livelli del dibattito culturale. Si trattava del film Tu ne tueras point (nella versione italiana: Non
uccidere) di Claude Autant-Lara, che, ispirato a un caso di cronaca del 1948, raccontava
la storia parallela di un giovane obiettore cattolico francese e di un seminarista tedesco che, nel 1944, per “obbedire agli ordini” aveva fucilato un partigiano francese. I due detenuti vennero processati dallo stesso tribunale lo stesso giorno: l’obiettore, che si
137 “Cinema Nuovo”, n. 4.
138 Cfr. Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni Novanta, Marsilio,
rifiutava di indossare la divisa per non tradire il quinto comandamento (“Non uccidere”), ricevette una dura condanna che scontò tra manicomi e carceri, mentre il seminarista (ormai diventato sacerdote) fu assolto poiché nel fucilare il partigiano aveva “solo” eseguito un ordine. Il film, che già aveva avuto problemi con la produzione (Autant-Lara, dopo il divieto della Francia e dell’Italia di girare la pellicola in questi paesi, fu costretto a produrlo con capitali e mezzi stranieri – fu infatti girato in Jugoslavia con fondi provenienti da finanziatori del Lichtenstein) fu vietato dalla censura francese e poté essere distribuito in Francia solo a partire dal 1963, anno cioè in cui fu approvata una legge che riconosceva il diritto all’obiezione di coscienza.
Non uccidere, vietato dalla censura francese prima e da quella italiana poi per
“istigamento a delinquere”, fu presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 1961, dove suscitò diverse polemiche. Finita la mostra, nonostante il divieto della censura ne impedisse la proiezione nelle sale italiane, furono organizzate delle proiezioni “private” a Roma e a Milano. Entrambe furono prontamente bloccate dalla questura che impedì fisicamente agli spettatori l’ingresso al cinema per “motivi di ordine pubblico”. A Roma, dove la proiezione era prevista al cinema Quattro Fontane, la sera del 20 ottobre 1961, ne nacque una grande protesta che vide la partecipazione del mondo della cultura italiano rappresentato da un gran numero di scrittori, registi, attori, giornalisti (per citare solo alcuni dei nomi più famosi: Carlo Levi, Pier Paolo Pasolini, Raffaele La Capria, Francesco Rosi, Anna Magnani, Alberto Sordi, Ranuccio Bianchi Bandinelli e molti altri). Bisogna qui sottolineare, però, che la protesta si concentrava piuttosto contro la censura che non per il diritto all’obiezione di coscienza139.
Meno di un mese più tardi, il 18 novembre 1961, il film venne proiettato a Firenze con l’appoggio del sindaco cattolico Giorgio La Pira. Anche in questo caso la proiezione risultava essere “privata” (il film venne infatti proiettato nel Salone dell’Artigianato al Parterre di Firenze e non in un cinema): vi si poteva accedere unicamente su invito che venne rivolto a un gran numero di giornalisti, intellettuali e politici della scena culturale fiorentina e italiana (non mancarono i rifiuti140, ma alla fine si raggiunse il numero di
139 Per la ricostruzione di queste vicende ci si è basati su Guido Crainz, Storia del miracolo italiano.
Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta (1996), Donzelli, Roma 2005, pp. 159-160; Alberto Papuzzi, Obiezione di coscienza tutto cominciò con un film, “La Stampa”, 21 ottobre 2011 (consultabile online: http://www.lastampa.it/2011/10/21/cultura/obiezione-di-coscienzatutto-comincio-con- un-film-Bi96KGbnyvOEBdPynDHWFP/pagina.html. Data ultima consultazione: 10.10.2014).
140 È noto il testo del telegramma indirizzato a La Pira con cui Giulio Andreotti, allora ministro della
Difesa nel governo Fanfani, declinò l’invito: “Suo invito mi produce amarezza e stupore. Personalmente non conosco film in questione et neppure desidero vederlo essendo stato vietato da competenti organismi
circa 700 spettatori). Il Prefetto e la Questura erano stati avvertiti e non avevano posto ostacoli. Nonostante ciò, la proiezione costò a La Pira una denuncia per “apologia di reato”, dalla quale fu assolto due anni dopo.
Tale vicenda era riuscita a muovere le acque in due direzioni: nel 1962 una nuova legge sulla censura cinematografica avrebbe consentito una maggiore libertà espressiva a sceneggiatori e registi limitando, almeno in parte, le ingerenze esterne; avrebbe preparato il campo alla ondata di obiettori degli anni Sessanta141.
Nel 1962 uscì il primo film italiano che toccava il tema dell’obiezione di coscienza:
La cuccagna, diretto da Luciano Salce, con Donatella Turri e Luigi Tenco, entrambi alla
prima esperienza cinematografica. Il film narra la storia di due giovani: Rossella, dattilografa in cerca del primo lavoro per sfuggire alla famiglia ottusa e conservatrice, e Giuliano, un contestatore pre-’68 che critica aspramente le ipocrisie dell’Italia del boom economico. L’obiezione di coscienza al servizio militare e l’antimilitarismo hanno nel film un ruolo centrale e ricorrente: Giuliano si rifiuta di partire per il servizio di leva minacciando il suicidio; in una delle scene finali un grottesco colonnello, interpretato dallo stesso Salce, ordinerà un attacco durante una esercitazione vantandosi della potenza del fuoco delle armi a disposizione delle sue truppe (“nemmeno una mosca sopravvivrebbe”), ma non si accorgerà della coppia di innamorati nascosta sotto un obiettivo del fuoco e che fuggirà illesa dopo l’esplosione di diverse bombe; tra le musiche del film (di Ennio Morricone) viene inserita anche la canzone di un esordiente Fabrizio De André, cantata da Tenco, La ballata dell’eroe.
Era partito per fare la guerra, per dare il suo sangue alla sua terra. Gli aveva dato le mostrine e le stelle e il consiglio di vendere cara la pelle.
cattolici. non so dove andremo a finire mettendoci al di sopra della legge e della morale comune”. Il testo fu pubblicato da vari quotidiani il 19 novembre 1961; cfr. Crainz, Storia del miracolo italiano cit., p. 160.
141 Proprio nel 1962 uscì in Italia il film La cuccagna, diretto da Luciano Salce, che racconta la storia di
Rossella (Donatella Turri) e Giuliano (il cantautore Luigi Tenco, nel suo primo e unico ruolo d’attore). Giuliano è il primo obiettore di coscienza del cinema italiano: riceve la cartolina precetto ma non vuole presentarsi perché il servizio militare è contrario alle sue idee. La censura autorizzò il film, vietandolo però ai minori di 14 anni. Non ho trovato studi specifici sul film, oggi “di culto” soprattutto per gli appassionati di Tenco; mi limito a rinviare alle note e alla bibliografia presentata da Alessandro Casellato, Suicidio di un cantautore (Sanremo, 27 gennaio 1967), in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, III, Dal Romanticismo a oggi, a cura di Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2012, pp. 902-905.
Ma quando gli dissero di andare avanti troppo lontano si spinse a cercare la verità. Ora che è morto la patria si gloria
d’un altro eroe alla mermoria.
Ma lei che lo amava aspettava il ritorno d’un soltato vivo; d’un eroe morto che ne farà, se accanto nel letto l’è rimasta la gloria d’una medaglia alla memoria.
Luigi Tenco e Donatella Turri in una scena del film La cuccagna Fonte: http://luigi-tenco.tripod.com/cinema.htm
È la prima volta che nella filmografia italiana viene toccato apertamente il tema dell’obiezione di coscienza al servizio militare.
Il film, a metà tra il neo-realismo e la commedia all’italiana, con scene grottesche e altre tragiche, venne vietato ai minori di 14 anni, nonostante non contenesse scene di violenza o di sesso. Dopo la programmazione nelle sale cinematografiche, fu poi quasi dimenticato, fino alla riscoperta recente: La cuccagna fu proiettato in una retrospettiva alla Mostra del Cinema di Venezia del 2008 ed è oggi disponibile in DVD.