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Introduzione all’obiezione di coscienza: storia, definizione, forme e rapporto con lo Stato nei paesi europei e nel mondo

1.1 Il rifiuto dell’uso delle armi in Occidente e il cristianesimo: tradizioni, influenza, legittimità

1.1.2 L’esempio moderno dei testimoni di Geova

Nel continente europeo (e più particolarmente in Italia e in Germania), la Chiesa cristiana che contò il maggior numero di obiettori di coscienza al servizio militare, almeno fino all’approvazione delle relative leggi sul servizio alternativo, fu quella dei testimoni di Geova, il cui numero di obiettori prima del 1945 era secondo solo ai tolstojani, mentre negli anni Cinquanta, quando il numero dei loro aderenti incrementò molto, raggiunse di gran lunga il primo posto per numero di obiettori53. Si tratta però di

un fenomeno che ha suscitato ben poco interesse tra gli studiosi dei gruppi pacifisti del Novecento, che dedicano loro al massimo qualche riga54. La loro situazione di obiettori, in effetti, è atipica: non si ritengono né si definiscono mai “pacifisti” (almeno non nel senso del termine utilizzato dai soggetti al centro di questo lavoro); essi si rifiutano di servire nell’esercito perché non riconoscono l’esercito e lo Stato e perché sono già “soldati dell’esercito di Dio” e come tali non possono giurare fedeltà ad altre istituzioni. Al pari dei refrattari delle “chiese storiche della pace”, il loro rifiuto di impugnare le armi assume una dimensione completamente individuale: non cercano di “creare dei casi” e di portare l’opinione pubblica a ragionare sul problema, né si impongono pubblicamente come obiettori; si tratta piuttosto di un “rifiuto silenzioso” e anche nei processi a loro carico la difesa non cerca di spiegare i motivi della disobbedienza (se non con l’unica motivazione di un “dovere religioso”) né, tanto meno, tenta di convincere il giudice della fondatezza di un diritto all’obiezione. Il risultato di questo tipo di difesa fu che, almeno

52 Cfr. Bori, Lo sviluppo dell’idea di nonviolenza cit., p. 16.

53 Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell’Italia del Novecento,

Donzelli, Roma 2006, p. 31.

in Italia, la maggior parte degli obiettori testimoni di Geova furono internati in ospedali psichiatrici con la diagnosi di “vittime di delirio religioso”. Per questa stessa ragione, i testimoni di Geova sono solitamente esclusi anche dal numero degli obiettori di coscienza conteggiati nelle statistiche militari, rendendo così ancora più complicato reperire dati precisi su di loro e su questa particolare forma di obiezione. Gli studiosi, quindi, dedicano loro poco spazio anche in ragione della mancanza di fonti: non possono sopperire nemmeno gli archivi interni della comunità, poiché i testimoni di Geova non conservano solitamente documentazione e pubblicano esclusivamente opere di natura religiosa; nemmeno gli storici o i sociologi della religione hanno prodotto lavori consistenti e ben documentati su questa chiesa, mancano perciò studi scientificamente attendibili55.

Resta comunque il dato che riporta come percentualmente molto alto il numero delle obiezioni di coscienza dei testimoni di Geova nell’ultimo secolo, e, in particolare, nel periodo al centro di questo lavoro di ricerca, ovvero nella seconda parte del Novecento. Secondo le stime di Bruno Segre, uno degli avvocato più famosi in Italia per le sue difese di obiettori di coscienza, i testimoni di Geova condannati tra il 1945 e il 1969 in Italia sarebbero stati tra i 600 e i 1000, con almeno due condanne a testa, la maggior parte dei quali hanno scontato almeno un periodo di alcuni mesi in ospedale psichiatrico56. In Germania i testimoni di Geova obiettori ebbero problemi con la giustizia paragonabili a quelli riscontrati in Italia: essi infatti non rientravano nelle disposizioni sull’obiezione di coscienza previste dalla Grundgesetz, non era cioè concesso loro il permesso di accedere al servizio alternativo per motivo della loro fede religiosa, e, se si rifiutavano, dovevano scontare i mesi del servizio militare in carcere. Anche per il caso tedesco esistono le stesse difficoltà di stimare il fenomeno; forse fu numericamente inferiore perché la comunità dei testimoni di Geova era più ristretta che in Italia (dei circa 20.000 testimoni all’inizio del periodo nazista, quasi 2.000 morirono nelle prigioni e nei campi di concentramento e un numero almeno equivalente emigrò all’estero). I differenti meccanismi giudiziari rendevano lievemente più semplice la

55 Nel famoso lavoro di Filoramo e Menozzi sulla storia del cristianesimo, per esempio, non c’è traccia dei

Testimoni di Geova. Cfr. Giovanni Filoramo, Daniele Menozzi (a cura di), Storia del Cristianesimo: L’età contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2009 [ed. orig. 1997].

56 Per i dati presentati da Segre cfr. Rochat, L’antimilitarismo oggi cit., p. 99. Per una stima complessiva, il

CESNUR (Centro Studi Sulle Nuove Religioni) calcola che: “Nel 1946 l’attività [di proselitismo dei Testimoni di Geova] riprende con circa 130 proclamatori. Da allora la crescita è spettacolare, fino a fare dell’Italia il Paese europeo con in maggior numero di Testimoni di Geova, e della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova la seconda religione formalmente organizzata del Paese”, testo tratto da http://www.cesnur.org/religioni_italia/t/testimoni_geova_02.htm (ultima consultazione: 22.04.2014).

situazione dei testimoni di Geova tedeschi rispetto ai loro correligionari italiani: in BRD dopo la prima condanna e dopo aver scontato la pena in carcere (solitamente pari ai mesi di servizio militare), i testimoni di Geova venivano automaticamente esonerati dall’obbligo militare e non dovevano, come invece accadeva in Italia, riprendere il servizio da dov’era stato interrotto (ovvero ricominciare tutto l’iter giuridico se si rifiutavano nuovamente). Nella Repubblica Democratica Tedesca la situazione era invece completamente diversa. A partire dal 1950 i testimoni di Geova furono perseguitati e puniti per la loro fede e chi si rifiutava di servire nell’esercito (a partire dal 1956) affermando di essere testimone di Geova poteva subire una pena che andava da 8 anni di carcere all’ergastolo. La situazione durò immutata fino al 1967, anno in cui si ebbe l’ultimo processo a carico di un testimone di Geova accusato per la propria fede.

Fatto salvo i testimoni di Geova, sia in Italia che in Germania esistono pochissimi casi di giovani cristiani – in Italia quasi nella totalità pentecostali57 – che, prima del 1945, si siano rifiutati di prestare il servizio militare avanzando come motivazione unicamente la propria fede (come vedremo, prima della seconda guerra mondiale, gli obiettori erano principalmente anarchici e socialisti).

La letteratura recente nel campo dell’obiezione di coscienza e della nonviolenza nel Novecento tende a individuare una radice cristiana: sarebbe la religione cristiana l’unica e prima origine dell’antimilitarismo nonviolento occidentale contemporaneo. Come abbiamo già indicato, all’interno del cristianesimo si possono individuare tradizioni agli antipodi in questo campo. Senza ripercorrere una storia complessa, che ci porterebbe anche ad affrontare il concetto di “guerra giusta”, possiamo dire che anche in tempi recenti l’atteggiamento delle diverse Chiese cristiane verso il problema della nonviolenza è una conseguenza diretta del loro rapporto con lo Stato. Le Chiese di Stato (come quella cattolica o quella luterana) hanno solitamente accolto l’uso della violenza come strumento in certi casi indispensabile per raggiungere una “giustizia terrena”. Si assisteva così a un accordo di reciproco appoggio tra Chiesa e potere statale: la Chiesa otteneva uno status giuridico di privilegio e il diritto di intervenire in alcune

57 Un esempio è il caso di Giovanni Gagliardi (cfr. infra, cap. 2), che però venne registrato dalla polizia

come anarchico e non come pentecostale (in effetti Gagliardi si convertì alla Chiesa pentecostale solo alcuni anni dopo il suo rifiuto di servire nell’esercito). Si ricordi che l’appartenenza alla Chiesa pentecostale fu ritenuta un reato a partire da una legge fascista del 1935 rimasta a lungo in vigore anche dopo la fine della guerra (fu abrogata nel 1955).

scelte dello Stato in cambio del pieno sostegno al sistema statale58. Al contrario, le Chiese minoritarie e indipendenti, se non dissidenti dal potere civile e dalle Chiese ufficiali, hanno generalmente occupato posizioni nonviolente e antimilitariste, assumendo talvolta, come si è visto nelle pagine precedenti, la non-violenza come uno dei punti principali della loro dottrina. Questo il motivo che spesso le ha portate a essere considerate con una certa ostilità e perseguitate sia dallo Stato che dalle Chiese di Stato.

Questa dicotomia, però, non esaurisce la questione, perché la duplice tradizione che abbiamo messo in luce all’inizio di questo paragrafo ha sempre continuato ad agire anche all’interno delle Chiese “ortodosse”, all’interno delle quali si sono levate voci dissenzienti – eccezioni più o meno numerose a seconda dei periodi considerati. Pertanto, è possibile rinvenire una gamma di posizioni tutt’altro che univoca sul dibattito dell’obiezione di coscienza tanto nell’ambito delle Chiese protestanti tedesche che all’interno del cattolicesimo. Per restare al caso italiano, non si può dire che ci fosse un fronte unito sul problema tra i cattolici italiani: si pensi, per esempio, a personaggi come don Primo Mazzolari, pur con tutte le sue ambiguità, alle lettere di don Lorenzo Milani ai cappellani militari di Toscana (febbraio 1965) o a padre Ernesto Balducci che fu processato nel 1963 per apologia di reato e condannato (in appello) a 8 mesi di carcere per aver difeso l’obiezione di coscienza al servizio militare.

È a causa di questo complicato intreccio di posizioni e all’immagine di sacrificio di chi si è battuto per l’obiezione di coscienza (singoli ma anche piccoli gruppi, come quelle chiese minori che hanno pagato con la loro sopravvivenza le posizioni nonviolente), che una buona parte dei movimenti nonviolenti contemporanei tendono, se non a dichiararsi apertamente cristiani, a ritenere il cristianesimo un riferimento culturale ed etico imprescindibile alla nonviolenza, talvolta dimenticando altri esempi del passato non meno significativi.

58 Per il caso della Chiesa cattolica nel XX secolo, cfr. Daniele Menozzi, Chiesa, pace e guerra nel

1.1.3 Le ragioni politiche per rifiutare l’uso delle armi in Occidente: socialisti e