Gli obiettori di coscienza in Italia (1945-1972)
3.1 L’obiezione di coscienza negli anni Cinquanta
3.1.1 I teorici del pacifismo italiano: Aldo Capitini ed Edmondo Marcucc
Aldo Capitini (Perugia 1899-1968) era un intellettuale autodidatta, formatosi sulle letture di Tolstoj e di Gandhi, affascinato dalle figure di un cristianesimo delle origini come quella di Cristo e di Francesco d’Assisi. Capitini era conosciuto nell’ambiente antifascista fin dal 1937, anno in cui aveva pubblicato un libro sulla nonviolenza intitolato Elementi di un’esperienza religiosa1. Grazie a questo titolo, non attirò l’attenzione della censura fascista, che lo classificò come “libro di carattere religioso”. Effettivamente, le convinzioni non-violente di Capitini si inserivano nel contesto di un
progetto di rinnovamento religioso a causa del quale, peraltro, non riuscì a fare molto presa negli ambienti dell’antifascismo: il testo uscì in piena guerra di Spagna, quando cioè il fronte antifascista ebbe la sua prima esperienza pratica di lotta aperta (una prima palestra per la Resistenza). In questo contesto di lotta i giovani antifascisti, che sarebbero potuti essere i potenziali lettori di Capitini, erano piuttosto attirati da altri nomi e da altri esempi più attivi e militanti: come quello di Gobetti, ucciso dalla violenza fascista dieci anni prima, oppure quello di Gramsci, che dopo dieci anni di carcere morì proprio nel 1937, da quello dei fratelli Rosselli, trucidati dai fascisti sempre nello stesso anno, o al massimo da quello di Croce, “nume tutelare”2 della libertà; tutti personaggi caratterizzati
dalla spinta verso l’azione e dall’opposizione aperta e violenta/armata al fascismo. Capitini, invece, si faceva portatore di una dottrina non-violenta (l’idea della non- collaborazione) che insisteva su un lessico extrapolitico e che vedeva l’aggiunta di un accento religioso, una dottrina che forse avrebbe potuto dare i suoi frutti sul lungo periodo, ma che mal rispondeva all’impazienza dei giovani antifascisti e alla necessità sentita di dover fare subito qualcosa. Nonostante il libro di Capitini non rappresentasse quel che i giovani antifascisti si aspettavano, fu ugualmente letto, grazie al fatto che gli
Elementi di un’esperienza religiosa, come poi anche il libro seguente di Capitini, Vita religiosa3, non erano stato censurati e quindi circolavano liberamente ed erano facilmente reperibili. Fu in questo periodo che Capitini iniziò a farsi conoscere e a preparare il terreno per quel che sarebbe venuto dopo. Non solo attraverso i suoi scritti, ma grazie anche all’organizzazione di incontri e riunioni educative in tutta Italia e al tentativo di sviluppare un libero dibattito all’interno di centri appositamente fondati in diverse parti dell’Italia liberata a partire dal 1944 (i Centri di Orientamento Sociale, COS)4.
2 L’espressione ha avuto molta fortuna tra gli antifascisti, Si veda, a titolo d’esempio, Alessandro Galante
Garrone, Il mite giacobino. Conversazione su libertà e democrazia, raccolta da Paolo Borgna, Donzelli, Roma 1994, p. 65.
3 Aldo Capitini, Vita religiosa, Cappelli, Bologna 1942.
4 I COS sono una delle più famose creazioni di Capitini che ebbero, talvolta, esiti insperati. L’esperienza
più significativa fu probabilmente quella del COS di Firenze, dove emergerà la figura di Ferdinando Tartaglia (Parma 1916-Firenze 1987), uno dei più singolari teologi italiani del Novecento. Ex-prete scomunicato, fondò assieme a Capitini nel 1947 il Movimento di religione con il quale tentavano di promuovere una riforma religiosa che si muovesse nella direzione dei principi e dell’apertura e del dialogo ecumenico, oltre che nell’educazione dei cittadini alla consapevolezza della propria centralità nelle questioni sociali, economiche e politiche. La questione dell’obiezione di coscienza fu uno dei temi trattati dal Movimento. In una lettera a Edmondo Marcucci, Capitini spiega che al convegno su “Il problema religioso in Italia” (Perugia 8-10 ottobre 1946, organizzato dal Movimento di religione) «Prenderemo anche decisioni: p. es. chiederemo il riconoscimento degli “obiettori di coscienza”. L’Internazionale dei “War Resisters” mi ha scritto su tuo suggerimento». La lettera è edita in Aldo Capitini, Edmondo Marcucci, Lettere 1941-1963, a cura di Amoreno Martellini, Carocci, Roma 2011, p. 30.
Nel dopoguerra Capitini assunse un ruolo di maggior importanza nel panorama intellettuale italiano grazie alla campagna che intraprese in favore dell’obiezione di coscienza al servizio militare. A partire dal 1946, infatti, Capitini e il suo circolo di amici e interlocutori iniziarono a impegnarsi con sempre maggior entusiasmo nella pubblicazione di articoli e volantini antimilitaristi, nello studio della possibilità di istituire un servizio civile di lavoro alternativo al servizio militare, nella sollecitazione di una legge per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, in un comitato di assistenza ai perseguitati italiani e stranieri, in una campagna contro il giocattolo militare, nella diffusione delle idee del Gandhi pacifista, nel tentativo di interessare il popolo – e in particolare le madri – all’opposizione alla guerra mediante un’azione di libera discussione (tale pratica prevedeva che due persone in un qualsiasi luogo, piazza di città o di villaggio, treno, scuola, o sala apposita, cominciassero una discussione su tali temi ad alta voce e ammettendo il libero intervento di tutti).
Tutti gli obiettori di coscienza degli anni Quaranta, Cinquanta (e buona parte di quelli degli anni Sessanta) presero Capitini come punto di riferimento. Pietro Pinna, uno dei primi obiettori italiani del dopoguerra (1949), nel 1950 scriverà di Capitini:
In quel vuoto, unica presenza consonante, luminosa, mi fu all’inizio Aldo Capitini. […] Dalla sua conoscenza me ne veniva la rivelazione che la coscienza dell’umana religiosità, che attorno a me in quei tempi travagliati vedevo sorda e corrotta, era viva e fervente, e parlava con voce limpida e salda5.
Capitini, considerato ancora oggi il principale teorico del pensiero non-violento italiano, andava ben oltre l’analisi dell’obiezione di coscienza come scelta individuale: essa era piuttosto l’affermazione del diritto alla pace. L’obiezione di coscienza era una dichiarazione contro la stupidità della guerra e il punto di partenza per superare le tensioni e gli scontri latenti tra le superpotenze mondiali:
L’obbiezione di coscienza richiama l’Italia ad una missione profetica, armata di altri mezzi che non corazzate e cannoni, tra blocchi in contrasto, tra civiltà da risolvere in sé e superare in una sintesi operata con tensione sociale e religiosa. Questo è il valore
attualissimo dell’obbiezione di coscienza in Italia, ben al di là da una affermazione che, secondo i critici, sarebbe semplicemente individuale6.
Questa base filosofico-politica dell’obiezione di coscienza, come vedremo, fu sostenuta e condivisa da tutti gli obiettori di coscienza del primo periodo (anni Cinquanta) che, diversamente dai loro antenati di inizio Novecento, facevano molto raramente riferimento a ragioni puramente religiose per la loro scelta.
La consacrazione di Capitini a simbolo della nonviolenza italiana si ebbe però solo a partire dagli anni Sessanta, quando si impegnò nell’organizzazione della prima marcia per la pace Perugia-Assisi. Queste marce, col venir meno delle forti tensioni della guerra fredda, divennero sempre più frequentate e riscossero grande attenzione presso l’opinione pubblica italiana (con interessanti eredi anche nel mondo anglosassone)7.
In questi anni emerge anche la figura di Edmondo Marcucci8 (Sigillo 1900-Jesi 1963), il cui percorso presenta sin dall’inizio alcune affinità con quello di Capitini. Anch’egli umbro, nato in un piccolo paese della provincia di Perugia, e praticamente coetaneo, Marcucci non fu un autodidatta, ma si laureò all’Università di Roma nel 1923, in filosofia, avendo coltivato un forte interesse per la storia delle religioni. Terminati gli studi prese servizio come insegnante di scuola media a Jesi, nelle Marche; avrebbe vissuto qui per tutto il resto della sua vita. La sua formazione pacifista, come già era successo per Capitini, è anche e soprattutto una formazione religiosa: stanco di un cattolicesimo che riteneva “inaccettabile” per le sue concessioni storiche alla violenza e per il suo opporsi alla ragione, frequentò tolstoiani, modernisti e pastori valdesi, studiò i saggi orientali (indiani ma anche cinesi), lesse Romain Rolland, Johann Heinrich Pestalozzi, Giuseppe Mazzini, Kant, Voltaire, Erich Maria Remarque. La sua biblioteca –
6 Aldo Capitini, L’obbiezione di coscienza, “Il Ponte”, V, 12, dicembre 1949, pp. 1484-88 (cit. p. 1488).
Oltre a Capitini è anche Crescenzo Guarino, un antifascista napoletano, a intervenire su questo argomento nelle pagine del “Ponte”, cfr. in particolare: Crescenzo Guarino, L’obiezione di coscienza nel mondo, “Il Ponte”, VII, 2, febbraio 1951, pp. 115-127. Qualche notizia su Guarino si può trovare in: Antonio Alosco, Il Partito d’Azione nel “Regno del Sud”, Guida, Napoli 2002, pp. 52-53.
7 Nei Cinquant’anni che seguirono la prima marcia ci furono altre 18 edizioni. Per una storia della Marcia
per la pace si veda: Alarico Mariani Marini, Eligio Resta, Marciare per la pace: il mondo non violento di Aldo Capitini: La Marcia della pace per la fratellanza dei popoli, Perugia-Assisi del 24 settembre 1961, PLUS-Pisa University Press, Pisa 2007.
8 Le notizie su Edmondo Marcucci sono tratte principalmente da: Gianni Sofri, Ritratto di un pacifista:
Edmondo Marcucci, in La cultura della Pace dalla Resistenza al Patto Atlantico, Il lavoro editoriale, Bologna 1988, pp. 459- 466.
che alla morte lasciò in dono alla Biblioteca comunale di Jesi – era vasta e ben fornita9. Ma non si limitò a leggere, si dedicò anche alla scrittura di saggi su argomenti che spaziavano dalla critica letteraria alla storia del cristianesimo e delle religioni orientali, dal pacifismo al vegetarismo: diede una lettura politica in chiave progressista delle opere di Jules Verne, pubblicò alcuni studi su Tolstoj, si dedicò al rapporto tra Oriente e Occidente e spese molte energie nell’apologia della non-violenza. Nel dopoguerra scrisse anche in diverse riviste (in maggioranza pacifiste). L’avvicinamento al mondo del pacifismo avvenne gradualmente a partire almeno dagli anni Trenta, prima attraverso l’amicizia con la vedova di Paolo Birjukov (che era stato un collaboratore di Tolstoj), poi attraverso la frequentazione, a partire dal 1936, di Tatiana Sukhotin Tolstoj (la figlia dello scrittore russo che risiedeva a Roma e sotto la cui influenza Marcucci divenne vegetariano). Infine, la sua amicizia e il connubio intellettuale con Aldo Capitini risalgono al 1941 (la corrispondenza tra i due pacifisti sono una fonte molto importante per lo studio della non-violenza in Italia nel Novecento)10. Marcucci, che probabilmente in quanto insegnante aveva prestato il Giuramento di fedeltà al Fascismo, non sembra però aver mai preso la tessera e per questo motivo con il trasferimento dalla scuola media di Jesi al Ginnasio (1942) e il cambio di preside iniziò ad aver problemi col fascismo: riuscì a sfuggire all’arresto nascondendosi in aperta campagna, dove riuscì a vivere fino alla fine della guerra con l’aiuto della famiglia.
Dopo la fine della guerra Marcucci iniziò la militanza pacifista sotto la guida di Capitini: collaborava alle iniziative religiose, culturali e sociali ideate e fondate dal pacifista perugino, come, per esempio i COS, che Marcucci cercò di attivare anche a Jesi; partecipò a numerosi convegni internazionali sulla pace, divenne molto attivo nella Società vegetariana e spese molte energie nella battaglia per l’obiezione di coscienza. Nelle sue memorie scriverà:
L’obbiezione di coscienza è l’atto spirituale di protesta contro la guerra, di affermazione incondizionata di pace. L’obbiettore ha valicato ogni barriera separante l’uomo dall’uomo, ha realizzato la sintesi suprema della socialità umana. La sua decisione di sacrificio lo
9 Diverse notizie relative alla biblioteca di Marcucci si possono reperire in Martellini, Fiori nei cannoni cit.
Martellini è partito proprio dalla biblioteca di Marcucci per compilare il suo lavoro sul pacifismo italiano del Novecento, a dimostrazione di quanto vasta e ben fornita fosse tale raccolta.
10 Le lettere di Marcucci a Capitini, conservate presso l’Archivio di Stato di Perugia nel fondo Capitini,
corrispondenze, Edmondo Marcucci, sono state da poco edite in Aldo Capitini, Edmondo Marcucci, Lettere 1941-1963, a cura di Amoreno Martellini, Carocci, Roma 2011.
mette al di sopra di ogni possibilità di sconfitta, e la sua voce non è riducibile al silenzio, ma parla ancora più forte oltre le sbarre di una prigione e oltre la morte stessa. L’obbiezione di coscienza matura in un clima di alta tensione religiosa e morale, in séguito ad un lavoro interiore di riflessione. Solo ad una categoria di elezione è dato cimentarsi con essa. Agli altri non viene in testa nemmeno l’idea: al più, la può considerare una stramberia, una specie di pazzia o deformarla sotto l’aspetto della viltà. La storia ci mostra solo un’esigua minoranza di obbiettori di coscienza in confronto delle masse innumeri che fecero volenti o nolenti la guerra, che subirono senza fiatare, come la cosa più naturale, gli ordini dei capi guerrieri. L’umanità è ancora quella che è, e il lavoro di esplorazione, di coltivazione ha ancora innanzi a sé zone incommensurabili11.
Quello di Marcucci era un pacifismo integrale di predominante ispirazione etico- religiosa che si caratterizzava per un profondo rispetto per l’individuo e per i suoi diritti, per l’avversione verso ogni tipo di sfruttamento, per il riscatto della donna (anche se talvolta piuttosto ambiguo e non sempre leggibile in chiave di emancipazione), per la riscoperta del mondo della natura, per il vegetarismo e per il rispetto dei diritti degli animali, secondo precise idee e modi di vita praticati concretamente in ogni ambito. La sua costanza, però, lasciava talvolta lo spazio a una rigidità morale che sfociava in alcune incoerenze e debolezze; come ha scritto Gianni Sofri in un ritratto biografico pubblicato diversi anni dopo la morte del pacifista umbro:
i suoi scritti sono a volte ingenui (come spesso sono gli scritti che parlano di verità semplici ed essenziali). Conoscono moralismi (una contraddizione che appare evidente nei suoi articoli sulla liberazione della donna) e qualche caduta retorica (ma chi non ne ha?). In compenso sono sempre animati da grande passione12.
La figura di Marcucci è rimasta per lungo tempo oscurata dall’ombra di Capitini. Le sue memorie sono state pubblicate per la prima volta solo nel 198313, mentre i suoi
11 Marcucci, Sotto il segno della pace: Memorie, p. 126.
12 Gianni Sofri, Ritratto di un pacifista: Edmondo Marcucci, in Edmondo Marcucci, Sotto il segno della
pace: Memorie, Biblioteca Comunale Planettiana, Jesi 2004, p.7. L’articolo, qua lievemente modificato, era stato già pubblicato in Gianni Sofri, Ritratto di un pacifista: Edmondo Marcucci, in La cultura della Pace dalla Resistenza al Patto Atlantico, Il lavoro editoriale, Bologna 1988, pp. 459- 466.
13 Oggi si possono leggere in Edmondo Marcucci, Sotto il segno della pace: Memorie, Biblioteca
archivi e le sue carte sono state studiate solo a partire dalla fine degli anni Novanta, per mano soprattutto di Amoreno Martellini che ha anche curato l’edizione del carteggio intercorso tra Marcucci e Capitini14. Nonostante il suo ruolo sia stato di non secondaria importanza nel dibattito pacifista italiano e sull’obiezione di coscienza, Marcucci resta ancora oggi un personaggio in buona parte dimenticato.