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Introduzione all’obiezione di coscienza: storia, definizione, forme e rapporto con lo Stato nei paesi europei e nel mondo

1.1 Il rifiuto dell’uso delle armi in Occidente e il cristianesimo: tradizioni, influenza, legittimità

1.1.3 Le ragioni politiche per rifiutare l’uso delle armi in Occidente: socialisti e anarchic

Se i primi esempi di rifiuto di impugnare le armi all’interno di un esercito sono legati ad ambienti religiosi, a partire dalla Rivoluzione francese si assiste alla nascita di forme di rifiuto slegate dalla religione: cominciano ora ad affermarsi delle ragioni politiche e ideologiche, avviando una nuova tradizione che trova definitivo sviluppo all’inizio del Novecento, in particolare in seguito alla prima guerra mondiale, anche sotto la spinta di quel “pacifismo diffuso” studiato, per il caso francese (e, in parte, tedesco e britannico), da Antoine Prost59.

Questa seconda tradizione politica e culturale, che funzionò come esempio nel secondo Novecento entrando – per usare una metafora un po’ paradossale – nello zaino dell’obiettore di coscienza, si sviluppò in particolare all’interno del movimento operaio – socialisti e anarchici –, ma fu alimentato, in particolare alla fine dell’Ottocento, anche da alcune correnti di “pensiero umanitario”. Di nuovo ci troviamo di fronte a tradizioni contraddittorie, tanto in campo socialista quanto in quello anarchico. All’interno del movimento operaio, infatti, il condiviso antimilitarismo non si associava automaticamente al pacifismo e alla nonviolenza: si trattava piuttosto dell’opposizione a uno strumento di costrizione statale, a una guerra fatta per interessi borghesi a spese del proletariato che forniva i soldati; allo stesso tempo, restava ben presente l’orizzonte della violenza rivoluzionaria, a maggior ragione dopo il 1917. Ha scritto tra gli altri lo storico del movimento anarchico italiano Giampietro Berti:

Nessun anarchico può affermare la diretta e necessaria consequenzialità tra la sua ideologia e l’avversione alla guerra in quanto luogo “istituzionale” della violenza, perché, se così fosse, ogni anarchico dovrebbe rinunciare all’idea stessa di rivoluzione. Il pacifismo anarchico non è quindi, tranne rarissime eccezioni, eticamente assoluto, essendo piegato da motivazioni di carattere strategico e politico60.

Per restare in ambito anarchico, si pensi all’Inno dell’internazionale (Inno alla pace) che si diffuse verso la metà degli anni 1870, il cui famoso ritornello, cantato sull’aria della

59 Antoine Prost, Pacifisme de l’entre-deux-guerres, in Stéphane Auduoin-Rouzeau e Jean-Jacques Becker

(a cura), Encyclopédie de la Grande Guerre 1914-1918, Bayard, Paris 2004, pp. 1215-1229.

60 Giampietro Berti, Gli anarchici e la guerra tra ’800 e ’900 in Gian Biagio Furiozzi, Le sinistre italiane

Marsigliese, recitava: “Pace pace al tugurio del povero / guerra guerra ai palagi e alle

chiese / non diam scampo all’odiato borghese…”61. Analoghe considerazioni si potrebbero fare per il socialismo ottocentesco.

Si possono comunque individuare alcuni teorici dell’obiezione di coscienza nell’ambito del movimento operaio di inizio Novecento che, malgrado queste contraddizioni e ambiguità, sono rimasti nell’orizzonte degli obiettori di coscienza della seconda metà del XX secolo. L’esempio più famoso è forse quello di Rosa Luxemburg che nel febbraio 1914 lanciò un invito alla diserzione destinato a diventare profetico – la prima guerra mondiale scoppiò pochi mesi dopo62. In questo discorso, di nuovo, più che

a un pacifismo nonviolento si fa appello a un diritto del singolo di scegliere di combattere solo le proprie battaglie e di non lasciarsi strumentalizzare nelle guerre decise dalle élite borghesi.

Il fallimento del pacifismo di stampo internazionalista e la carneficina della prima guerra mondiale cambiarono almeno in parte le coordinate del discorso. Nel 1921, sempre all’interno dell’ambiente del socialismo, trovò spazio un’impostazione più dichiaratamente pacifista, incarnata dalla War Resisters’ International che nacque in Olanda, a Bilthoven (la sede, in seguito, si sarebbe spostata a Enfield, in Inghilterra) e si articolò in sezioni locali (in Germania i Kriegsdienstgegner furono attivi dal 1947; il gruppo italiano dei War Resisters fu diretto da Giovanni Pioli nel 1961, all’indomani della Marcia Perugia-Assisi)63. Già dal nome, i War Resisters si richiamavano all’Internazionale socialista, rifacendosi a quella corrente di socialismo umanitario che portava avanti la battaglia per l’inserimento di alcuni diritti fondamentali nelle costituzioni dei singoli Stati nazionali, tra cui quello all’obiezione di coscienza. I WRI collaboravano con diverse altre realtà pacifiste, in particolare fu piuttosto fruttuoso il connubio con un’altra organizzazione internazionale, caratterizzata però da motivazioni religiose protestanti ed ecumeniche nella ricerca della pace, si trattava dell’International Fellowship of Reconciliation (IFOR), fondata nel 1919 sempre a Bilthoven (Olanda) e che nel corso del tempo avrebbe contato soci di spicco come Jane Addams o Martin

61 Cfr. Cesare Bermani, Guerra guerra ai palazzi e alle chiese...: saggi sul canto sociale, Odradek, Roma

2003.

62 Una traduzione italiana del discorso tenuto da Rosa Luxemburg nel febbraio 1914 si può trovare in: Rosa

Luxemburg, Il programma di Spartaco. Noi siamo i milioni del cui lavoro vive l’intera società, Manifestolibri, Roma 1995.

63 Su tale associazione cfr. Devi Prasad, War is a crime against humanity: The Story of War Resisters’

International, WRI, London 2005. Si veda anche le notizie storiche presentate nella scheda d’inventario dell’archivio dell’associazione, conservato presso l’International Institute of Social History di Amsterdam (disponibile online: http://www.iisg.nl/archives/en/files/w/ARCH01537full.php).

Luther King64. I WRI giocarono un ruolo centrale in Germania sia nel dibattito sulla questione del riarmo negli anni 1945-55, che nel dibattito sul riconoscimento dell’obiezione di coscienza al servizio militare e nel supporto e aiuto dei giovani che volevano far richiesta di obiezione65; non furono, invece, mai abbastanza diffusi in Italia per diventare davvero rilevanti e restarono sempre solo un contatto esterno.

In campo anarchico, se la grande maggioranza dei casi di rifiuto dell’uso delle armi e di indossare la divisa non era dettato da posizione di pacifismo assoluto né di non- violenza, è certo che le loro azioni antimilitariste hanno fornito un punto di riferimento anche per gli obiettori del secondo dopoguerra, se non nelle motivazioni per lo meno nelle pratiche66. Alla singolare figura di Andrea Costa, anarchico, poi primo

rappresentante del movimento operaio a sedere nel parlamento italiano e quindi uno fondatori del Partito socialista, è legato uno dei più longevi slogan antimilitaristi – “Né un uomo né un soldo” – ripreso poi anche dal pacifismo novecentesco67.

Inoltre, nel movimento anarchico ci furono alcune correnti che, a differenza di quanto accadeva presso la maggioranza dei militanti, facevano esplicitamente ricorso a tesi pacifiste per rifiutare la guerra, il servizio militare e ogni uso della violenza. Il gruppo anarchico più attivo nel campo del pacifismo è quello nato sulla scia dalle idee tolstojane (su cui ci soffermeremo tra breve); benché minoritario, ha prodotto una tradizione, il cosiddetto anarco-pacifismo, che è ancora oggi attivo, soprattutto in Francia.

1.1.4 L’obiezione di coscienza tra i pensatori contemporanei e i modelli citati dagli