Gli obiettori di coscienza in Italia (1945-1972)
3.2 Gli anni Sessanta: l’arrivo dei cattolic
3.2.3 Gli obiettori cattolici degli anni Sessanta
Il primo obiettore non testimone di Geova degli anni Sessanta fu Gianfranco Ciabatti (Ponsacco, Pisa 1936-Firenze, 1994), un giovane laureato in giurisprudenza. Obiettò nel maggio del 1962, anche se non presentò motivazioni religiose per il suo gesto può forse essere individuato come il primo obiettore cattolico (la sua appartenenza religiosa e politica non è chiara: sappiamo che prima dell’obiezione fu tra i collaboratori di Danilo Dolci142 e che negli anni Sessanta e Settanta fu tra i fondatori di due riviste
marxiste143). Dopo aver scontato sei mesi di carcere per la prima obiezione, Ciabatti
concluse il servizio militare.
Pochi mesi dopo si compì il rifiuto del servizio militare di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore dichiaratamente cattolico a compiere tale scelta in Italia. Fu così che il tema dell’obiezione di coscienza entrò con forza nel mondo cattolico. Era l’11 novembre 1962, Gozzini si era presentato al C.A.R. di Pistoia, secondo chiamata, e là si era rifiutato di indossare la divisa poiché motivi di natura religiosa e morale gli impedivano di obbedire agli ordini.
Giuseppe Gozzini (Cinisello Balsamo 1936-2010), figlio di un operaio della Breda, era un giovane brillante che aveva studiato in un collegio diocesano fino ai 14 anni (era infatti destinato alla carriera di prete), per poi frequentare per un breve periodo il liceo Parini di Milano e, infine, conseguire la maturità da privatista. In questo modo poté accedere all’università per laurearsi in giurisprudenza nel 1961. Fu durante gli anni universitari che iniziò a partecipare alle iniziative della Corsia dei Servi, fondata dai sacerdoti cattolici David Maria Turoldo e Camillo De Piaz. Alla Corsia Gozzini ebbe l’opportunità anche di conoscere e di discutere con don Primo Mazzolari e di entrare in contatto con il già menzionato Movimento Internazionale per la Riconciliazione (cfr.
supra par. 1). Gozzini entrò in contatto anche con i War Resisters International, partecipò
ai campi del Servizio Civile Internazionale (dove conobbe, tra gli altri, Danilo Dolci) e fece un viaggio a Bruxelles per incontrare Jean van Lierde, un obiettore cattolico belga (il suo gesto si compì nel 1949 e le punizioni e i processi durarono fino al 1956, con molti mesi di carcere e alcuni mesi di “servizio alternativo” in miniera). Giunto il momento di prestare il servizio militare Gozzini riuscì a farsi inviare nel Corpo dei Vigili del Fuoco, nel quale restò però solo alcune settimane: a causa di alcuni problemi fisici
142 http://lists.peacelink.it/news/msg06074.html (data ultima consultazione: 10.10.2014). 143 Le due riviste erano: Nuovo impegno e La contraddizione.
rilevati durante le visite mediche il giovane venne valutato non idoneo a quel corpo scelto e venne quindi mandato al C.A.R. di Pistoia, dove cominciò la sua vicenda di obiettore.
Giuseppe Gozzini in tribunale
(Fonte: http://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article633) Come già era successo a Pietro Pinna, anche Gozzini trovò l’appoggio di un vasto gruppo di intellettuali e uomini politici. La novità è che questi appoggi provenivano da una sfera culturale diversa da quella dei gruppi di sostegno degli obiettori degli anni Cinquanta. Il primo a prendere le difese del giovane fu il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, seguito da due preti cattolici: il padre scolopio Ernesto Balducci che venne a sua volta denunciato per un articolo comparso su La Nazione e condannato a 8 mesi di reclusione (15 ottobre 1963), sentenza confermata in Cassazione (giugno 1964); il parroco cattolico don Lorenzo Milani, che in difesa del giovane Gozzini scrisse l’opuscolo L’obbedienza non è una virtù. Come già era successo per il caso Pinna, anche per il caso Gozzini la diffusione del dibattito sull’obiezione fu possibile grazie alla presenza di un movimento di sostegno e solidarietà agli obiettori che costrinse alcuni gruppi cattolici più progressisti a portare un minimo di attenzione al problema militare sotto l’aspetto della critica più integrale e riuscirono a prolungare fino almeno al 1966 le discussioni sull’obiezione di coscienza nel mondo cattolico.
L’11 gennaio 1963 Gozzini fu condannato a sei mesi di reclusione. Al processo avevano testimoniato a suo favore La Pira, Balducci e don Milani.
Pochi mesi dopo un secondo obiettore cattolico era entrato sulla scena. Si trattava di Fabrizio Fabbrini che, dieci giorni prima della fine del servizio militare (6 dicembre
1965), rifiutò la divisa. La sua scelta di obiettare solo dopo aver compiuto quasi per intero la leva militare voleva dimostrare all’opinione pubblica come il gesto degli obiettori non fosse dettato da vigliaccheria né il loro fosse un tentativo di evitare di servire lo Stato, bensì fosse un gesto di alto valore morale dettato dal senso di responsabilità verso la propria specie. Fin dall’inizio della leva, comunque, Fabbrini era in contatto con Capitini, Pinna e altri sostenitori dell’obiezione di coscienza. Fabbrini, infatti, si riteneva un “obiettore in divisa”. Discutendo con Capitini sull’organizzazione di un dibattito pubblico sull’obiezione di coscienza, Fabbrini – prima di obiettare – scrive:
io sarei del parere (l’ho detto anche a Pinna) di far parlare anche un fascista, contrario all’ob. di cosc. (ottimo se generale o cappellano militare). Anch’io avrei grande desiderio di intervenire (in divisa militare!): ma sono ai vostri ordini. Non sarebbe interessante far parlare contro l’esercito un soldato come me? Che se l’esercito è diviso in se stesso, come si reggerà?
Non temere per le conseguenze che ne avrei. Esistono molti modi di fare l’obiezione di coscienza, non ti pare? Che la portata non solo morale ma anche sociale di una simile battaglia non mi sfugge144.
Capitini non gli avrebbe permesso di intervenire come “obiettore in divisa”. Compiuto il rifiuto nel dicembre del 1965, Fabbrini avrebbe avuto una punizione esemplare per il suo gesto: nel febbraio 1966 venne condannato a un anno e otto mesi di carcere (che scontò solo in parte grazie a un indulto), compromettendo in questo modo la sua carriera universitaria (all’epoca del rifiuto era infatti assistente presso la cattedra di diritto romano all’Università di Roma).
La Chiesa cattolica, che per tutti gli anni Cinquanta aveva marcato posizioni di netta opposizione all’obiezione di coscienza al servizio militare nel timore che esso avrebbe potuto minare il concetto di autorità sul quale buona parte della sua dottrina si fonda, assunse, a metà degli anni Sessanta, un nuovo atteggiamento riguardo al problema. A spingere verso questo cambiamento c’erano state, da un lato, le posizioni pubbliche prese da diversi intellettuali e sacerdoti cattolici (oltre alle obiezioni di Gozzini
144 La lettera non è datata, però è sicuramente stata scritta prima del dicembre 1965. Cfr. Archivio di Stato
e Fabbrini), dall’altro lato l’apertura della Chiesa verso il mondo contemporaneo che si era svolta nel contesto del Concilio Vaticano II. Fu proprio in quest’ultima sede che la Chiesa si espresse esplicitamente sul problema dell’obiezione di coscienza al servizio militare, distaccandosi in buona parte dalla posizione presa dieci anni prima da Pio XII. In uno dei documenti del Concilio, dedicato al tema della guerra si può leggere:
Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. Tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molti impegni del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana145.
Si trattava di un cambiamento radicale che portava nuova linfa alla battaglia per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Bisogna ricordare che ormai iniziavano a venir approvate leggi su tale diritto, anche in paesi cattolici vicini come, per esempio, la Francia (1963).
In totale, negli anni Sessanta in Italia si ebbero circa 250 obiezioni di coscienza, più della metà portati avanti da testimoni di Geova, ma iniziava ad aumentare anche il numero dei nonviolenti, dei cattolici e degli anarchici.
3.3 L’ultima ondata di obiezioni. Il ’68 e le obiezioni collettive: la teoria è