E PROSPETTIVE DI RIFORMA
2.5. Prima di entrare nello specifico delle linee riformatrici ipotizzate, appare oltre modo fondamentale sottolineare che le stesse, pur diverse nei risultati di approdo e
negli ambiti di intervento, sono riconducibili ad una matrice comune, rappresentata innanzitutto da una ricostruzione dell’oggettività giuridica (intesa evidentemente in chiave strettamente penalistica) che si ritiene debba essere sussunta nel sistema penale degli intermediari finanziari.
Si è poc’anzi affermato che il bene giuridico che le norme penali sono (o dovrebbero) essere chiamate a proteggere nel campo finanziario, è costituito dalla tutela delle funzioni di vigilanza e di controllo, limitatamente alle ipotesi in cui questa tutela è
strettamente funzionale alla difesa di due interessi contermini: quello (privatistico) del risparmiatore ad una corretta allocazione del risparmio e quello (pubblicistico) alla stabilità e protezione del mercato finanziario da fattori esterni di cui è comprovata la capacità di alterarazione dei relativi meccanismi di funzionamento. Di qui la necessità e l’utilità di ricorrere alla sanzione penale per punire quelle condotte che, violando alcune regole tra le tante facenti parte dell’ordinamento finanziario, configurano una situazione di danno o di pericolo per uno od entrambi gli interessi succitati. Vi è dunque una relazione strettissima tra le disfunzioni della vigilanza e l’instabilità del mercato, a conferma che la tutela del risparmio filtra e passa attraverso la tutela della vigilanza. Il risparmio, dunque, anche quando non viene direttamente ed immediatamente raggiunto dall’offesa racchiusa nel fatto incriminato, costituisce pur sempre la “fonte di legittimazione sostanziale” dell’avanzamento dell’intervento penale verso le “strutture” e le “funzioni” della vigilanza. La tutela del valore costituzionale del risparmio permette, dunque, al modello di anticipazione della tutela sul piano delle funzioni di vigilanza di superare indenne il giudizio di bilanciamento: posto a confronto con il risparmio, il principio di offensività deve cedere le posizioni necessarie per realizzare una tutela del primo che sia razionale ed efficace. Si ritiene pertanto non azzardato affermare che la tutela delle funzioni di vigilanza rappresenta o, meglio, dovrebbe rappresentare, l’oggetto giuridico dell’intero micro-sistema del diritto penale finanziario. Salvo poi far assumere alla stessa un sostrato materiale più concreto ed una più evidente afferrabilità sociale laddove essa è destinata ad operare, vuoi nella tutela dell’interesse privatistico alla corretta e conforme allocazione del risparmio, vuoi nella tutela dell’interesse pubblicistico alla difesa del mercato da fenomeni di criminalità organizzata o, comunque, da pratiche manipolatorie che ne distorcono i meccanismi di funzionamento.
2.6. Le considerazioni che precedono ci conducono ad un primo risultato: per le regole del gioco ascrivibili al gruppo di quelle poste a tutela della c.d. neutralità del mercato, la sanzione penale è sproporzionata e priva di una reale efficacia deterrente. Si tratta, giova ricordarlo, di illeciti penali di stampo meramente organizzatorio, che si sostanziano in una tutela eccessivamente anticipata rispetto alla possibile lesione dell’interesse privatistico alla corretta allocazione del risparmio. E’ indubbio, come sottolinea Padovani, che l’accertamento della violazione di queste regole dipende dal
corretto e tempestivo esercizio dei poteri attribuiti agli organi di controllo e vigilanza, di tal guisa che, con la sanzione criminale, si vuole che anche la possibilità di accertamento risulti anticipata rispetto ad ogni eventuale futuro evento lesivo. Ma così ragionando, si arriva a piegare lo strumento penale ad una funzione, per così dire, sostitutiva della tempestività dell’esercizio delle funzioni di vigilanza: altrimenti detta, si rafforza la (supposta) funzione specialpreventiva della pena per compensare le lacune ed i ritardi di un sistema di vigilanza sull’operato degli intermediari. Siffatto
modus operandi si rivela, prima di tutto, inutile perché non perviene ad alcun risultato
sul terreno della prevenzione, che richiede per contro di rivedere il modello di vigilanza prefigurando meccanismi di costante dialogo tra gli organismi di vigilanza e i soggetti vigilati, così da favorire una sorta di accompagnamento dei secondi ad opera dei primi, condizione indefettibile per garantire la neutralità del mercato finanziario rispetto agli interessi in gioco, Dall’altro, si dimostra in contrasto con i principi di offensività, proporzionalità e sussidiarietà, atteso che si tratta di fattispecie formali od organizzatorie rispetto alle quali non è dato rintracciare un oggetto giuridico consolidato ed afferrabile e che, in più, esprimono un grado di lesività tale da giustificare il ricorso alla meno severa e più duttile sanzione amministrativa. Concludendo, per siffatta categoria di regole, non ravvisando per esse la funzione di filtro protettivo che la funzione di vigilanza è chiamata a svolgere rispetto alla protezione del bene finale del risparmio, non si ritiene legittima una flessione dell’offensività entro la cornice di una tutela anticipata su fattispecie di pericolo astratto, né proporzionato il ricorso alla sanzione penale.
2.7. La scelta di espungere dall’ambito penalmente rilevante le condotte di inosservanza alle regole poste a presidio della c.d. neutralità del mercato, che si ritiene necessaria conseguenza della ricostruzione dell’oggettività giuridica da proteggere e del rispetto dei canoni di proporzione e sussidiarietà, deve essere tuttavia accompagnata da una riforma capace di colmare due vuoti di tutela.
Il primo è solo parziale. Si allude all’esigenza che, a fronte della depenalizzazione di quella variegata serie di reati c.d. formali o di organizzazione, vi sia la ristrutturazione del reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza, oggi previsto dall’art. 2638 c.c., al fine di renderlo maggiormente determinato e di delimitarne la portata applicativa, per evitare che la vaghezza e genericità della sua formulazione
attuale faccia sì che possa essere utilizzato per reprimere quei comportamenti che, invece, ci si è sopra proposti di depenalizzare. Il senso è chiaro: la fattispecie va specificata allo scopo di precisare che l’“ostacolo alle funzioni di vigilanza” si configura, non certo in presenza di singole ed episodiche condotte di inosservanza a determinati canoni organizzativi, bensì quando il soggetto vigilato, ripetutamente, assume comportamenti e compie atti che esprimono il chiaro intendimento di sottrarsi al controllo degli organismi di vigilanza, ovvero di ostacolare od impedire l’esercizio delle loro funzioni.
L’altra mancanza, riflesso di uno stato di evidente contraddizione, incoerenza e lacunosità dell’attuale assetto del sistema penale finanziario, concerne il fatto che oggi si sanzionano, con pene anche gravi, comportamenti che violano mere regole di organizzazione spesso prive di un’effettiva carica offensiva, oppure si promuovono crociate verso fenomeni la cui lesività è tutta da dimostrare (il riferimento è all’insider trading), nel mentre manca una fattispecie ad hoc idonea ad incriminare quella variegata e complessa serie di comportamenti con cui, sempre più diffusamente, gli emittenti o gli intermediari/gestori realizzano vere e proprie forme di abuso a danno dei risparmiatori. Si è detto che il nucleo centrale della tutela penale del mercato finanziario è rappresentato, oltre che dall’interesse pubblicistico di difendere il mercato da fenomeni criminali provenienti da fattori esterni, dall’interesse del singolo risparmiatore/investitore ad un’allocazione e gestione del proprio risparmio fedele al mandato fiduciario conferito, alle disposizioni di legge e ai principi di prudenza, stabilità ed integrità patrimoniale e buona fede. Non potendo applicare lo statuto penale della pubblica amministrazione alle banche, e tanto meno ad altri intermediari, non resterebbe che ricondurre quei comportamenti ai paradigmi della truffa ex art. 640 c.p. e dell’appropriazione indebita ex art. 646 c.p., con tutti i limiti che ne derivano, trattandosi di figure generaliste e spesso inadatte a dare copertura a fatti molto specifici e dal complesso tecnicismo. S’impone, a questo punto, la necessità, già espressa dal Pedrazzi, di introdurre nell’ordinamento la figura autonoma del reato di infedeltà patrimoniale, capace di reprimere, non solo quei comportamenti nei quali è evidente l’appropriazione di un vantaggio patrimoniale a danno di un terzo, ma anche quelle condotte caratterizzate da una connotazione in
termini di rischio eccessivo od anomalo dell’operazione perfezionata, oltre i limiti del mandato fiduciario ovvero per gestione infedele o in conflitto di interessi340.
2.8. Fatta eccezione per il delitto di insider trading di cui riprenderemo a discorrere