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Un secondo approccio identifica il bene giuridico protetto dalla norma anti-

L’INSIDER TRADING

4) l’adozione di misure di vigilanza sul rispetto delle norme

4.3. Un secondo approccio identifica il bene giuridico protetto dalla norma anti-

anti-insider nel dovere di riservatezza facente capo agli esponenti aziendali: sfruttando

per profitto personale la notizia riservata, l’esponente aziendale violerebbe l’interesse sociale (della società e dei suoi soci) a che le informazioni concernenti la società vengano utilizzate nell’interesse esclusivo di questa146. Più correttamente, ciò che la norma intende tutelare sarebbe l’interesse della società: vuoi nel senso di sanzionare ipotesi di infedeltà da parte degli organi sociali - che deviano lo sfruttamento delle notizie di cui sono a conoscenza dall’interesse sociale (nel cui senso dovrebbero essere esclusivamente impiegate) all’interesse proprio - ; vuoi nel senso di proteggere l’interesse sociale alla segretezza delle notizie sociali riservate che, se rivelate, potrebbero cagionare un danno patrimoniale e non alla società147.

La conclusione non sembra invero cogliere il reale fondamento giuridico della repressione penale dell’insider trading. Prima di tutto, non può sfuggire una nota differenziale tra l’i.t. e le condotte penalmente sanzionate che si è soliti ricondurre alla sfera della riservatezza: l’insider non rivela la notizia, bensì la sfrutta. Da ciò la società non patisce necessariamente un pregiudizio materiale, anzi potrebbe anche beneficiarne nell’ipotesi in cui contribuisca a sostenere il corso azionario dei suoi

(146) BRICOLA F., Profili penali della disciplina del mercato finanziario, in Banca, Borsa e tit. cred., 1990, I, p. 51 ss.: l’Autore è dell’avviso che l’interesse, alla luce del quale reprimere il fenomeno dell’i.t., non può essere rappresentato né dalla posizione patrimoniale del contraente dell’insider, non necessariamente danneggiato dall’operazione, né dall’efficienza del mercato perché si giungerebbe a scambiare il bene da tutelare con lo scopo della norma, né infine dalla parità di posizione fra i vari operatori. Ritiene, per converso, che il connotato abusivo della pratica di i.t. debba ritrovarsi nel comportamento dell’insider che viola il dovere di riservatezza che lo vincola alla società emittente, tanto da assumere a corollario la correttezza della soluzione che circoscrive la punibilità ai soli insiders societari ovvero a quelli che vengono a conoscenza della notizia privilegiata per ragioni di ufficio e di lavoro.

(147) Identica ratio è rinvenibile nella norma dell’art. 622 c.p. che reprime la rivelazione del segreto professionale, come anche in diverse norme del diritto penale societario (artt. 2622 e ss. c.c.).

titoli evitando sbalzi improvvisi. L’insider, dunque, non viola la sfera di riservatezza della società, bensì usa a proprio vantaggio notizie non ancora disponibili al mercato e che lo stesso ha acquisito in virtù della propria funzione: il che sta a significare che, con la repressione penale, non si vuole tutelare il contenuto intrinseco della notizia, ma solo vietare che se ne faccia un uso anticipato148.

Secondariamente, sostenere che la ratio della repressione penale dell’i.t. è l’interesse della società a sanzionare le condotte di infedeltà patrimoniale dei propri organi sociali, vorrebbe dire restringere a priori l’ambito applicativo della norma penale al solo contesto societario, nel senso sia di limitare la punibilità ai soli insiders societari (escludendo chiunque non appartiene ad un organo sociale ancorché possa accedere comunque alle informazioni riservate149), sia di circoscrivere la configurabilità del reato ai soli casi in cui la pratica insider abbia ad oggetto i titoli della società e non quelli di società collegate, controllate o nei casi di fusioni, OPA ecc … Limitazioni, queste, prive di senso e tali da svuotare di significato la stessa fattispecie penale. Di qui la necessità di non circoscrivere il raggio d’azione della norma penale sull’i.t. al solo contesto societario, muovendo dalla indefettibile considerazione per cui la repressione dell’i.t. si colloca, e va dunque affrontata e regolata, su un piano diverso da quello del diritto societario e della tutela dell’interesse sociale, vale a dire quello della protezione del risparmio e della difesa dell’azionista inteso come risparmiatore/investitore. Vale a dire che il divieto de quo non fa parte del diritto societario, ma del diritto del mercato mobiliare, non protegge l’interesse sociale ma quello del risparmiatore. Prova ne sia che, per l’integrazione della fattispecie, la norma non richiede la cagione di un danno alla società od al terzo controparte dell’operazione insider.

4.4. Una terza corrente di pensiero è quella che si richiama al concetto di trasparenza quale oggetto della tutela penale nella fattispecie dell’i.t.. Si è affermato che la divulgazione di informazioni è elemento essenziale per il funzionamento di un sistema economico libero ed equo150 e che la trasparenza di questo sistema,

(148) MUCCIARELLI F., Speculazione mobiliare e diritto penale, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, n. 160, Milano, 1995, p. 65.

(149) Semplici dipendenti della società, consulenti esterni, gli amministratori di società collegate ecc... (150) PEDRAZZI C., Problemi di tecnica legislativa, in AA.VV., Comportamenti economici e legislazione penale, Milano, 1979, p. 36; ABBADESSA P., Doveri di riservatezza ed insider trading: un rapporto discutibile, in Il dovere di riservatezza nel mercato finanziario, L’insider trading, a cura di Rabitti Bedogni C., Milano, 1992, p. 213 e ss..: l’Autore sostiene che il termine di riferimento della

funzionale all’interesse del risparmiatore ad essere informato sui fatti rilevanti concernenti gli emittenti di valori mobiliari, si realizza imponendo la regola della c.d.

full disclosure, per il cui tramite verrebbero assicurate a tutti gli investitori pari chances di profitto, con ciò consentendo di raggiungere il livello ottimale di

efficienza e regolarità del mercato151. Per i fautori di questa teoria, dunque, il fondamento penalistico della punizione dell’i.t. è la violazione dell’interesse pubblico (i.e. del risparmiatore/investitore) a conoscere, ad accedere all’informazione societaria.

In senso contrario a quest’impostazione è stato sostenuto, in primis, che la trasparenza è un concetto non sufficientemente afferrabile e tassativo per poter assurgere al rango di bene giuridico penalmente rilevante152; in secundis, che il rapporto tra la trasparenza informativa e l’insider trading non si esaurisce su un piano di totale contrapposizione, stante il fatto che l’interesse sociale può esigere che le informazioni rilevanti (ad es. se concernenti progetti in corso di definizione) vengano

disciplina dell’insider trading non può e non deve essere il dovere di riservatezza dell’iniziato, ma il suo dovere di informare - espressione del più ampio dovere di buona fede e di solidarietà nelle trattative contrattuali - o, se si preferisce, di non speculare sull’altrui ignoranza invincibile. Posto che regole di comportamento, di informativa e di buona fede non sono immediatamente trasferibili nelle contrattazioni non face to face, proprie del mercato borsitico dematerializzato, devono necessariamente essere imposte come doveri generali. FLICK G.M., Insider trading: problemi sostanziali, in AA.VV., Mercato finanziario e disciplina penale, Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, Convegni di studio “Enrico De Nicola”. Problemi attuali di diritto e procedura penale, Milano, 1993, p. 81 e ss..: l’Autore esprime l’opinione che la scelta di reprimere l’i.t. è compatibile con il principio di sussidiarietà, afferendo ad un settore – quello del diritto penale dell’economia - dove la prospettiva penalistica rappresenta l’unica strada percorribile, di fronte alle carneze ed agli ostacoli di un ricorso alle vie alternative della tutela civile ed amministrativa. Soggiunge, inoltre, che la scelta di penalizzare l’i.t. rappresenta, al contempo, un momento ineliminabile di un sistema penale che in ambito economico si propone di garantire e selezionare l’accesso all’attività economica, di rafforzare i poteri di intervento e di controllo delle autorità statali, di assicurare la completezza ed attendibilità dei flussi informativi. In ultima istanza, l’Autore afferma che “la repressione del fenomeno dell’insider trading si risolve in un’operazione culturale che consiste nel passaggio da un sistema fondato sulla riservatezza (e perciò sul privilegio di chi riesca ad avere una parte in essa), ad un sistema fondato sulla trasparenza (e perciò sull’eguaglianza, effettiva o quanto meno potenziale, di tutti i protagonisti del sistema medesimo, per quanto attiene all’accessibilità delle notizie su cui fondare le proprie decisioni)”.

(151) La tesi in parte si rifà alla matrice teorica del market egualitarism.

(152) BRICOLA F., Tecniche di tutela penale e tecniche alternative di tutela, in AA.VV., Funzioni e limiti del diritto penale, Alternative di tutela, a cura di De Acutis e Palombarini, 1984, p. 29 e ss..: l’Autore indica l’afferrabilità come uno dei tratti essenziali del bene giuridico: esprime l’esigenza che le aggressioni siano descritte in maniera evidente o siano ricavabili con elevato grado di certezza. La ratio è di impedire che beni evanescenti possano divenire oggetto di tutela poiché il carattere sfuggente dell’oggetto favorisce processi di soggettivizzazione della fattispecie che agevolano forme di repressione della mera fedeltà.

divulgate in un momento successivo a quello in cui si prestano ad essere utilizzate o “sfruttate” dall’insider153. Né va dimenticato che nessuna norma impone all’insider di rivelare le informazioni privilegiate in suo possesso.

4.5. L’opinione largamente prevalente in dottrina154, recepita anche da alcune

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