• Non ci sono risultati.

Da uno sguardo d’insieme sulle origini e sull’evoluzione della normativa italiana in materia di insider trading si evince un dato per certi versi sorprendente, ancorché

L’INSIDER TRADING

2.2. Da uno sguardo d’insieme sulle origini e sull’evoluzione della normativa italiana in materia di insider trading si evince un dato per certi versi sorprendente, ancorché

comune a molti altri paesi europei: fino al 1991, la pratica di insider trading non costituiva reato e non era neppure presa in considerazione dall’ordinamento64, salvo poi divenire oggetto, in un lasso di tempo relativamente breve, di uno sviluppo normativo complesso e caratterizzato da ripetuti e significativi mutamenti della struttura normativa e da un progressivo inasprimento della risposta sanzionatoria65. Risulta chiaro, dunque, che negli ultimi vent’anni si è assistito ad un radicale cambiamento di rotta da parte del legislatore che, rispetto ad un fenomeno da sempre esistito nel mondo finanziario, è passato da una situazione di totale indifferenza ad una scelta inequivocabile di incriminazione accompagnata da una graduale intensificazione dell’opzione punitiva66.

Ma andiamo con ordine.

(64) TAMBURINI F., Codici etici, valore in più, in Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2005, p. 10, citando Franco Bernabé: “… soltanto negli anni ’60 chi faceva insider trading era considerato il più furbo e il più bravo, senza neppure essere sanzionato dalla legge”.

(65)Sfociato, da ultimo, nella convivenza di una sanzione penale e di una sanzione amministrativa (art. 184 e ss. TUF).

(66)Questa recente e progressiva penalizzazione dell’i.t. non ha interessato solo il nostro Paese, ma ha rappresentato una scelta politico-criminale adottata in molti altri Paesi Europei. In questo senso cfr. SEMINARA S., L’evoluzione europea del diritto penale del mercato finanziario nella prospettiva italiana, in AA.VV., Il diritto penale nella prospettiva europea. Quali politiche criminali per quale Europa?, a cura di Canestrari e Foffani, 2005, p. 223, dove si cita l’indagine statistica condotta da due economisti statunitensi (Bhattacharya e Daouk, 1999) da cui è risultato che, nel 1990, il fenomeno dell’i.t. era regolato solo in trentaquattro Stati, mentre, solo otto anni dopo, su 103 Paesi con un mercato borsistico regolamentato ben 87 si erano dotati di una disciplina anti-insider.

Fatta eccezione per alcune parziali apparizioni normative risalenti agli anni ‘70 e ‘8067 e lasciando a margine la discussione sull’ascrivibilità al paradigma normativo dell’insider trading della disposizione contenuta nell’art. 326, comma III, c.p.68, il primo tentativo di assegnare alla materia una disciplina organica deve attribuirsi al legislatore europeo, al quale va peraltro riconosciuto di avere esercitato un ruolo fondamentale di impulso legiferativo e di influenza anche nel successivo sviluppo normativo della medesima.

L’origine della disciplina italiana sull’insider trading può dunque essere fatta coincidere con l’emanazione della direttiva 89/592/CEE adottata dal Consiglio il 19 novembre 1989, chiaramente finalizzata a creare un coordinamento tra le diverse

(67) Ci si riferisce, in particolare: all’art. 15 del D.P.R. n. 136/1975, che stabiliva il divieto per gli amministratori e dipendenti delle società di revisione di servirsi di notizie acquisite in virtù della loro attività; all’art. 17 della legge n. 216/1974 che sanciva a carico di amministratori, sindaci e direttori generali l’obbligo di dichiarare alla società di appartenenza ed alla Consob le partecipazioni da essi detenute nella società stessa o in altre società del medesimo gruppo; all’art. 4 della legge n. 77/1983 (legge istitutrice dei fondi comuni di investimento) che vietava alla società di gestione di investire in quote di fondi istituiti e/o gestiti da società od enti dei cui organi facessero parte dei suoi amministratori (nel chiaro intento di vietare operazioni a soggetti che potrebbero, per la carica rivestita, essere in possesso di informazioni riservate. Cfr. CASELLA P., La legge sulla repressione dell’Insider Trading, op. cit., p. 860: si tratta, comunque, in generale di previsioni che, o sono nate per disciplinare fenomeni diversi e la loro applicazione alla fattispecie insider trading è, nella migliore delle ipotesi, limitata, oppure hanno una portata assai specifica, ovvero ancora svolgono un ruolo in qualche misura preventivo, facilitando il flusso delle informazioni.

(68) Prima dell’emanazione della legge n. 157/1991, in dottrina si discuteva se, nell’ambito del diritto positivo vigente, vi fossero norme adattabili al commercio degli iniziati, ossia idonee a conferire una copertura penale al fenomeno dell’insider trading. L’esito del dibattito portò a sottolineare l’esistenza di un vuoto normativo tanto che si decise di confezionare una normativa penale ad hoc (cfr. SEMINARA

S., Insider trading e diritto penale, op. cit., p. 2 e ss.). Tra le disposizioni incriminatici che furono principale oggetto di analisi al fine di verificare la sussumibilità in esse dell’i.t., vi è quella dell’art. 326, comma III, c.p.: “Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbono rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni”. In senso favorevole all’applicabilità dell’art. 326 c.p. al fenomeno economico dell’i.t. CASELLA P., La legge sulla repressione dell’Insider Trading, op. cit., p. 860: la fattispecie delineata dall’art. 326, comma III, c.p. presenta in sé tutte le caratteristiche proprie che qualificano l’attività di insider trading (l’uso illegittimo di notizie destinate a rimanere segrete; lo scopo di procurarsi o di procurare a terzi un indebito profitto patrimoniale o meno; la qualificazione del soggetto attivo del reato). Siamo, dunque -afferma l’Autore - davanti ad una prima parziale forma di repressione dell’insider trading, almeno quando esso consista in condotte ulteriormente caratterizzate dall’avere ad oggetto una notizia d’ufficio destinata a rimanere segreta, sotto l’ovvia condizione che l’agente possieda la qualità soggettiva richiesta per la punibilità. FONTANA E., Insider trading e appropriazione indebita, in La giustizia penale, II, 1999, p. 610 ss..; MUCCIARELLI F., L’art. 326, 3° c. c.p. e l’insider trading, in Giur. comm., 1991, I, p. 310 ss..

discipline vigenti negli Stati membri e a fungere da stimolo all’adozione di apposite legislazioni in materia per quei Paesi - in vero la maggior parte - che ne erano ancora privi69.

Come risulta chiaramente leggendo il preambolo della direttiva, il suo obiettivo era quello di assicurare il buon funzionamento del mercato e garantire agli investitori la parità di condizioni, nonché la protezione dall’utilizzo illecito delle informazioni privilegiate70, ciò ad evidenziare un primo approccio del legislatore comunitario al tema dell’individuazione dell’interesse giuridico tutelato. La fonte comunitaria si preoccupò sia di fornire una definizione del concetto di “informazione privilegiata”, sia di stabilire i soggetti attivi e le condotte punibili, lasciando ai legislatori degli Stati Membri il compito di determinare la struttura sanzionatoria71 e di approntare un sistema di autorità amministrative di vigilanza.

Il legislatore italiano, a distanza di circa un anno e mezzo dalla promulgazione della Direttiva Europea, decise di adempiere agli obblighi comunitari e di introdurre per la prima volta nell’ordinamento penale il reato di insider trading, emanando la legge n. 157 del 17 maggio 1991.

Prima di passare in rassegna le principali disposizioni in essa contenute, risulta interessante ripercorrere in sintesi i termini del dibattito politico e giuridico che ne precedettero la pubblicazione e ne influenzarono il contenuto e gli obiettivi.

Sul fronte della discussione accademica, il dibattito vedeva contrapposte, da una parte, la posizione di chi invocava una soluzione penalistica a tutela del bene

(69) V.N.LINCIANO - A.MACCHIATI, Insider Trading, una regolazione difficile, op. cit., p. 14. Gli Autori mettono in risalto il fatto che solo la Francia e la Svezia decisero di dotarsi di una legislazione anti-insider trading già sulla scia della disciplina statunitense degli anni trenta, mentre la maggior parte degli altri paesi europei legiferò in materia solo dopo ed in attuazione della direttiva comunitaria del 1989.

(70) Si riportano alcuni “Considerando” contenuti nel Preambolo della Direttiva 89/592/CEE, da cui si evince il fine ultimo della stessa: considerando che il mercato secondario dei valori mobiliari svolge un ruolo importante nel finanziamento degli operatori economici; considerando che, per permettere a questo mercato di svolgere il proprio ruolo efficientemente, devono essere prese tutte le misure per garantire il suo buon funzionamento; considerando che il buon funzionamento di tale mercato dipende in larga misura dalla fiducia che esso ispira agli investitori; considerando che tale fiducia si basa, fra l'altro, sul fatto che agli investitori si garantisce la parità delle condizioni e la protezione dall'uso illecito dell'informazione privilegiata; considerando che le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate, per il fatto di offrire vantaggi a taluni investitori rispetto agli altri, possono compromettere tale fiducia e pregiudicare quindi il buon funzionamento del mercato; considerando che è quindi opportuno prendere le misure necessarie per impedire dette operazioni. (71) Prescrivendo, all’art. 13, che doveva risultare “sufficientemente dissuasiva”.

rappresentato dalla parità informativa tra gli investitori72 e, dall’altra, l’opinione di quei giuristi, di matrice per lo più gius-commercialistica, contrari ad una penalizzazione dell’insider trading e favorevoli ad una regolamentazione del divieto ricondotta nello schema del rapporto fiduciario che lega gli amministratori e gli altri esponenti aziendali alla società, individuando nell’azione di responsabilità per inadempimento contrattuale, da quest’ultima esercitatile, lo strumento repressivo/sanzionatorio73.

Anche il dibattito politico, preceduto da proposte di legge non andate a buon fine74 e che veniva a riemergere sulle ceneri della nota vicenda SME salita alla ribalta della cronaca giudiziaria tra il 1985 e il 198675, registrava divisioni e contrasti sulla stessa opportunità di una scelta di incriminazione76 ovvero su alcuni temi specifici ancor oggi di attualità77. Fatto sta che nel maggio del 1991, all’esito dell’unificazione di diversi progetti di legge anche lontani tra loro per contenuti e finalità, la prima legge sull’i.t. veniva approvata con il consenso di tutte le forze parlamentari.

Outline

Documenti correlati