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Le posizioni che sostengono la necessità di reprimere l’insider trading sono sostanzialmente riconducibili a tre teorie

L’INSIDER TRADING

4) l’adozione di misure di vigilanza sul rispetto delle norme

3.3. Le posizioni che sostengono la necessità di reprimere l’insider trading sono sostanzialmente riconducibili a tre teorie

(117) Fatta eccezione per i titoli a ristretta capitalizzazione le cui quotazioni possono essere influenzate anche da movimenti legati a volumi molto ridotti.

(118)SEMINARA S., Insider trading e diritto penale, op. cit., p. 64, in cui si cita l’esempio di colui che, avendo saputo poco prima del lancio imminente di un’OPA, acquista i titoli della società destinataria dell’offerta pubblica di acquisto. Si pensi, ancora, al caso dell’insider che rastrella una certa quantità di azioni di una società provocando un rialzo della quotazione che, tuttavia, potrebbe essere letto dal mercato come il raggiungimento del giusto valore, inducendo gli investitori a vendere e a puntare su titoli che ancora si caratterizzano per uno scarto tra la quotazione ed il giusto valore.

La prima è quella che individua il fondamento logico ed economico del divieto di i.t. nella teoria del c.d. market egualitarism, secondo cui l’obiettivo primario che si vuole perseguire con la repressione dell’i.t. è quello di assicurare l’eguaglianza conoscitiva degli investitori, intesa nel senso di assicurare che gli stessi possano operare nel mercato in condizioni di parità. Il fine ultimo si conseguirebbe attraverso quelli che vengono identificati come i presupposti del market egualitarism: da una parte, garantire l’eguaglianza dei risparmiatori nell’accesso alle informazioni e nella conoscibilità delle stesse (equal access), dall’altra, prescrivere la divulgazione totale delle informazioni societarie quale elemento essenziale per un sistema finanziario trasparente, libero ed equo (full disclosure)119.

La tesi è apparsa da subito come intrisa di un significato utopico e lontano dalla realtà, per l’evidente irrealizzabilità nei fatti e per l’inutilità della stessa parità conoscitiva tra gli investitori. Il Seminara ha messo correttamente in evidenza che il principio dell’equal access riflette una visione statica ed anacronistica del concetto di informazione, che si presume possa venire egualmente distribuita tra gli investitori senza con ciò alterare la fisionomia del mercato e, anzi, garantendone l’efficienza120. Questo poteva forse accadere nei mercati finanziari degli inizi del ‘900 caratterizzati da una sostanziale omogeneità della categoria degli investitori e dall’impiego di tecniche e logiche finanziarie ancora rudimentali. Ma non si attaglia di certo alla realtà dei mercati finanziari contemporanei, contraddistinti da processi valutativi e decisionali sempre più complessi e da una massa alquanto eterogenea di investitori, che va dal piccolo risparmiatore che destina una parte della liquidità disponibile al mercato azionario alla grande banca d’affari121. Si dirà di più. Auspicare, oggi, una

(119) Per i fautori di questa linea di pensiero, solamente la regola della full disclosure assicura a tutti gli investitori quelle pari chances di profitto che consentono di raggiungere il livello ottimale di efficienza e regolarità del mercato.

(120) SEMINARA S., Insider trading e diritto penale, op. cit., p. 83: l’illustre Autore afferma che l’opinione per cui lo sfruttamento in borsa di informazioni riservate debba essere punito al fine di assicurare la parità di chances degli investitori, trascura che proprio la struttura del mercato - nonché le ineliminabili differenze che separano i piccoli risparmiatori dai vari operatori professionali - porta con sé un’inevitabile disparità di accesso alle conoscenze rilevanti per le decisioni di investimento. Prosegue sostenendo che l’assunto che l’i.t. va punito al fine di convincere gli investitori della parità di chances garantita dal mercato non può dunque essere condiviso perché, con una palese inversione logica, scambia la causa dell’incriminazione con un suo teorico effetto.

(121) Risulta infatti pressocché impossibile perseguire lo scopo di un livellamento delle conoscenze, atteso che un’ineguaglianza è inevitabilmente connaturata alle diversità che corrono tra le persone, per disponibilità economiche, grado di cultura e preparazione, esperienza, propensione al rischio ecc ... Riportiamo, al riguardo, il pensiero di un referee anonimo espresso in occasione dell’introduzione da

parità conoscitiva tra gli investitori, oltre che anacronistico, risulta anche dannoso e lesivo dell’efficienza del mercato, atteso che questa è in gran parte legata alle attività di analisi, studio e diffusione di informazioni, effettuate dagli analisti che in tanto perdurano in quanto finalizzate alla ricerca di un profitto “sfruttando” proprio l’iniziale non livellamento delle conoscenze122.

Si aggiunga, infine, che il tema dell’eguaglianza conoscitiva tra gli investitori interseca solo parzialmente quello della trasparenza societaria e la regola correlativa della full disclosure: è chiaro, infatti, che i flussi informativi provenienti dalle società emittenti trasmettono senza dubbio delle indicazioni utili agli investitori per la pianificazione delle proprie scelte di investimento, ma con riferimento a fatti del passato, quando invece l’insider trading riguarda principalmente informazioni relative a fatti del futuro o in via di formazione (es. trattative in corso, nuovi programmi di investimento ecc..), di per sé escluse dalla c.d. informazione societaria obbligatoria. Senza contare che le società possono avere interesse a non divulgare certe informazioni, oltre al fatto che sarebbe illogico ed antieconomico, nonché giuridicamente alquanto discutibile, imporre loro obblighi informativi contrari ai loro intreressi.

Riassumendo, la parità di chances tra gli investitori e la piena trasparenza societaria sono obiettivi e valori ideali giusti e condivisibili, che pur tuttavia, non potendo trovare piena attuazione nella realtà scontrandosi con altri valori altrettanto meritevoli di protezione (il diritto delle società emittenti alla riservatezza delle proprie informazioni, l’incentivazione all’attività di ricerca e di analisi dei dati di borsa), non possono assurgere a fondamento della scelta punitiva dell’insider trading.

Una seconda corrente di pensiero, nata dall’elaborazione giurisprudenziale statunitense, è quella che riformula il divieto di i.t. conformandolo alla regola della

parte della SEC della rule 10b-5: “La circostanza per cui gli ignoranti possono rimetterci entrando in rapporto con gli scaltri è dovuto in larga parte al fatto che Dio non creato tutti gli uomini uguali”. (122) GROSSMAN S.J.-STIGLIZ J.E., On the Impossibility of Informationally Efficient Markets, 1980, p. 393 ss..: si tratta del c.d. “paradosso di Grossman” per cui, imporre ad ogni costo la diffusione di tutte le informazioni in possesso dell’insider, determinandone la non remunerazione, produrrebbe l’effetto perverso di scoraggiare l’attività di ricerca, elaborazione, produzione, in una parola dell’informazione stessa.

c.d. disclose or abstain rule123124, per cui chiunque è in possesso di notizie

(123) SEC c. Texas Gulf Sulphur 1968. La vicenda si è conclusa con la condanna di alcuni funzionari della Texas Gulf Sulphur che, venuti a conoscenza dell’effettuazione di esplorazioni minerarie particolarmente fruttuose per la società (notizia non ancora resa nota per evitare un’impennata dei prezzi dei terreni sui quali la società si sarebbe apprestata a richiedere il rilascio di concessioni per lo sfruttamento della miniera), ponevano in essere delle compravendite sui titoli della società per speculare al rialzo che sarebbe prevedibilmente seguito alla diffusione della notizia. La Corte così si pronunziò: “chiunque sia in possesso di una informazione essenziale, di carattere riservato, deve divulgarla al pubblico degli investitori o, qualora non gli sia consentito al fne di proteggere i segreti della società o comunque scelga di non divulgarla, deve astenersi dal negoziare o dal raccomandare la negoziazione di quei valori mobiliati relativamente ai quali tale informazione deve rimanere segreta”. La Corte sentenziò, dunque, che la Rule 10b-5 si fonda sulla ragionevole aspettativa del mercato che tutti gli investitori che operano in borsa a livello impersonale abbiano relativamente lo stesso accesso alle informazioni rilevanti (material). La decisione fu chiaramente ispirata alla regola della disclose or abstain rule, superando così quell’indirizzo giurisprudenziale, già disatteso dalla pronunzia SEC v. Cady, Roberts & Co. 1961, in base al quale l’uso di informazioni private si esauriva nella sfera dei rapporti fiduciari tra dipendente e società ed in quanto tale costituiva materia del diritto privato.

(124) Mentre nelle decisioni Texas Gulf Sulphur 1968 e SEC v. Cady, Roberts & Co. 1961 la regola della disclose or abstain rule grava su chiunque possieda una notizia riservata, nelle successive decisioni la giurisprudenza successiva arriva ad affermare che la regola non è riferita indiscriminatamente a tutti coloro che possiedono un’informazione privilegiata, bensì soltanto a chi è tenuto ad adempiere anche ad un dovere di disclosure in forza di un rapporto fiduciario che lo lega alla società emittente. Si è soliti citare, quali significative espressioni di questo filone giurisprudenziale, le vicende Chiarella e Dirks. Nel caso SEC v. Chiarella 1980 il signor V. Chiarella, tipografo, impiegato in una ditta specializzata nella stampa di documenti per operazioni finanziarie, era riuscito a decifrare i nomi delle società destinatarie di un’OPA contenuti nelle bozze criptate dei documenti consegnatigli ed aveva conseguentemente deciso di acquistare le azioni di quelle società nell’intento di speculare al rialzo. Nel caso SEC v. Dirks 1983, l’analista finanziario R. Dirks, incaricato di compiere degli accertamenti su pratiche fraudolente avvenute nella gestione della società Equity Funding Corporation of America, una volta verificata l’esistenza di falsi contabili che celavano sopravalutazioni patrimoniali, informò alcuni clienti che a stretto giro procedettero a vendere i titoli della società evitando così il forte ribasso conseguito alla diffusione della notizia relativa alle frodi poste in essere. In ambedue le vicende la Supreme Court ha assolto i due imputati affermando che la responsabilità per i.t. si configura quando l’informazione privilegiata viene “sfruttata” da chi riveste una determinata carica all’interno della società emittente e, sfruttando la notizia, viola il rapporto fiduciario con quest’ultima. I signori Chiarella e Dirks erano dei market insider o più propriamente degli outsider, ossia dei soggetti estranei alla società emittenti e che dunque, usando l’informazione di cui erano venuti a conoscenza, non avevano rotto alcun fiduciary duty con la società emittente. Nei casi Chiarella e Dirks, dunque, la Corte Suprema ha essenzialmente rigettato la teoria della parità dell’informazione, cioè la teoria per cui qualsiasi attività determinatasi sulla base di informazioni rilevanti non ancora rese note al mercato, senza avere riguardo a come queste informazioni siano state prodotte, rappresenti una violazione della Rule 10b-5. La Corte sembrava quindi avere adottato un approccio all’i.t. in termini di diritti di proprietà: perché si configuri l’illecito occorre che l’attore abbia violato un dovere fiduciario, vale a dire il diritto di proprietà dell’informazione sfruttata che appartiene alla società emittente.

La portata fortemente restrittiva dell’ambito penale conseguente al nuovo indirizzo giurisprudenziale scatenò la reazione della SEC, che giunse a promulgare la rule 14 e-3 secondo cui il divieto di compravendita di valori mobiliari valeva per tutti coloro che erano in possesso di informazioni privilegiate, non pubbliche, provenienti dalla società emittente o comunque da soggetti che di questa

privilegiate è posto di fronte ad un’alternativa secca: o divulga le notizie prima di operare in borsa, oppure si astiene dal compiere l’operazione. Tale alternativa si risolve nel dovere di astenersi da ogni utilizzazione in borsa di informazioni riservate. La ratio sottostante la regola della “rivelazione od astensione” è quella per cui, se gli

outsiders avessero le stesse informazioni degli insiders di una società, allora i primi

potrebbero rivedere le loro decisioni di investimento.

Fatto sta che la regola della disclose or abstain rule - a prescindere che venga fatta gravare su chiunque è in possesso di un informazione privilegiata ovvero solo su chi la possiede e la sfrutta violando un dovere fiduciario - in sé non spiega il fondamento del divieto di i.t. e, anzi, si risolve in una sua riformulazione tautologica125.

Una terza linea interpretativa, sempre di ispirazione d’oltre oceano e che rappresenta l’evoluzione della “disclose or absatin rule”126, è quella che viene sintetizzata con

siano officer, director, partner, employee o agiscano per conto di esse, arrivando così a ricomprendere anche coloro che entrano in rapporto di fiducia con l’emittente in modo temporaneo e parziale in virtù dell’esecuzione di speciali incarichi (c.d. temporary insiders). La giurisprudenza successiva non esitò a recepire i dettami della rule 14 e-3, ampliando il novero dei temporary insiders: nel caso SEC v. Lund 1983, la Corte ha condannato il signor Lund - qualificandolo come temporary insider - perché aveva acquistato azioni della società P & F Industries, sfruttanto il rialzo dei corsi azionari, dopo avere rifiutato l’offerta di creare una joint venture fattagli dall’amico Horowitz (direttore della P & F), circostanza che gli aveva fatto assumere contezza del fatto che di lì a poco quella società avrebbe posto in essere delle operazioni, le stesse per le quali gli era stato offerto di entrare in partnership.

(125) SEMINARA S., Insider trading e diritto penale, op. cit., p. 85.

(126)La teoria della misappropriation theory è stata elaborata dalla giurisprudenza statunitense a partire dal 1984 con il caso SEC v. Materia. Nonostante avesse operato in circostanze molto analoghe a quelle del caso Chiarella, Anthony Materia fu condannato per i.t. perché ritenuto responsabile di essersi appropriato di un’informazione appartenente al proprio datore di lavoro, argomentandosi per il fatto che l’obbligo fiduciario - la cui violazione è presupposto dell’i.t. - va riferito non solo al datore di lavoro, ma anche alla stessa fonte dell’informazione (ad es. i clienti del datore di lavoro): così Materia, come prima Chiarella, vanno ritenuti responsabili perché hanno violato il dovere fiduciario che li legava ai clienti della società cui appartenevano. Nel caso USA v. Carpenter 1986 R. Foster Winans, giornalista del Wall Street Journal, era autore di una rubrica che si occupava di investimenti in borsa e sulla quale venivano riportati i risultati di analisi e valutazione di alcune azioni ottenuti sulla base di informazioni provenienti da fonti pubbliche o direttamente dalle società emittenti. I titoli delle società che ottenevano una menzione di apprezzamento nella rubrica era soliti registrare un aumento dei corsi di borsa. Winans trasmise il contenuto di un articolo non ancora pubblicato ad alcuni brokers (tra cui Carpenter) che, sulla base di quell’informazione, eseguirono alcune operazioni speculative sui titoli indicati in quell’articolo. Winans venne giudicato colpevole di i.t. in quanto si ritenne ch’egli avesse violato un diritto di proprietà del giornale (che aveva violato la pubblicazione degli articoli considerandoli di sua proprietà anteriormente alla pubbicazione) essendosi appropriato indebitamente - non della notizia di mercato - bensì dell’informazione concernente la tempistica, il contenuto ed il tenore dell’articolo. Nella vicenda USA v. O’ hagan 1997 viene definitivamente sancito il principio secondo il quale è meritevole di tutela il diritto di proprietà della fonte della notizia privata, alla quale gli outsider sono legati da un duty of loyalty and confidentiality derivante da un rapporto professionale.

l’espressione “misappropriation theory”. Secondo tale impostazione, con il divieto di i.t., si vuole reprimere l’uso indebito dell’informazione nell’ipotesi in cui l’insider si appropri di informazioni essenziali e riservate affidate al proprio datore di lavoro e le utilizzi negoziando con controparti nei cui confronti non è vincolato da alcun rapporto fiduciario. Dunque, per la c.d. teoria dell’appropriazione indebita, l’illecito si configura quando un individuo, consapevolmente, compra o vende valori mobiliari sulla base di notizie di cui si è indebitamente appropriato o che ha rubato sottraendole alla fonte proprietaria dell’informazione.

Negli anni ’80 si è dunque verificato negli Stati Uniti un importante cambiamento di rotta nell’approccio degli studiosi e della stessa giurisprudenza al dibattito sull’insider trading: si è passati dalla “teoria del diritto alla parità dell’informazione” alla “teoria dei diritti di proprietà dell’insider trading”. Citando uno studioso americano127: prima, la domanda su cui verteva la discussione in materia era quella se chi possedeva un’informazione privilegiata sconosciuta al pubblico avesse il dovere di rivelarla anticipatamente al suo sfruttamento, al fine di neutralizzare qualsiasi improprio vantaggio informativo che potesse avere sugli altri; poi, ci si è chiesti se l’insider abbia abusato o meglio si sia indebitamente appropriato di un’informazione riservata sottraendola alla sua fonte, senza tener conto e quindi a prescindere dal rapporto fiduciario che possa eventualmente esistere tra lui e gli altri investitori o tra lui e la società emittente.

Secondo i fautori della teoria dell’appropriazione indebita, dunque, la frode realizzata dal soggetto insider non è commessa nei confronti degli altri investitori, quanto a danno della fonte dell’informazione stessa, di chi l’ha creata e scoperta. Regolamentare l’insider diventa allora una questione di disciplinare l’uso dei diritti di proprietà sull’informazione: il bene tutelato è dunque quello della proprietà dell’informazione, sicché è legittimo attribuire la responsabilità per i.t. a tutte quelle persone che abbiano agito violando il diritto di proprietà sull’informazione sfruttata. Un approccio che senza alcun dubbio può condurre ad un forte ampliamento del

O’ Hagan era socio di uno studio legale che, per qualche tempo, aveva assistito una società nella stesura di un progetto di acquisizione conclusosi in un momento successivo alla sopravvenuta interruzione del rapporto di consulenza. O’ Hagan aveva acquistato azioni della società target prima dell’interruzione del rapporto professionale con la società bidder e le aveva rivendute dopo l’annuncio dell’operazione, realizzando un profitto di circa 4 milioni di dollari.

(127) LANGEVOORT D.C., L’appropriazione indebita di informazioni riservate, un’analisi di due recenti casi americani, in Il dovere di riservatezza nel mercato finanziario. L’Insider trading, a cura di Rabitti Bedogni C., op. cit., p. 27 e ss..

campo applicativo dell’insider trading, ravvisando il fenomeno anche al di fuori del tradizionale contesto societario128.

Non vi è dubbio che l’informazione, a differenza degli altri beni che vengono prodotti ed immediatamente consumati, viene scoperta e successivamente fatta circolare, comportando, da un lato, effetti positivi sul funzionamento del mercato in quanto del suo contenuto ne beneficiano tutti gli investitori e, riducendo, dall’altro, le opportunità di profitto per chi ha scoperto l’informazione. Questo trade-off deve essere evidentemente regolato da un assetto di norme dettate dall’esterno, non potendo aspettarci che il trasferimento e la circolazione delle informazioni -specialmente di quelle price sensitive - avvenga in modo cooperativo ed efficiente tra gli stessi operatori.

3.4. L’analisi delle diverse scuole di pensiero conduce ad alcune considerazioni

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