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Senza entrare nel merito di ogni singola figura di reato e ferme le ovvie differenze tra una fattispecie e l’altra, in termini generali e tendenziali si può

ragionevolmente affermare che il diritto penale degli intermediari finanziari, partizione speciale del diritto penale dell’economia, costituisce un sotto-sistema del diritto penale generale che, al pari delle altre leggi penali speciali, è anzitutto afflitto dai sintomi della disomogeneità e dell’anti-sistematicità propri - per mutuare l’espressione coniata da un illustre civilista43 - dell’età della decodificazione. L’intervento penale in subiecta materia è stato spesso disorganico, accidentale, a macchia di leopardo e sorretto da filosofie non sempre coerenti e spesso contraddittorie, generando disarmonie di sistema ed un pericoloso allontanamento dai principi cardine dell’ordinamento penale.

Si avverte senz’altro la necessità di sanare le differenze normative tuttora esistenti tra i diversi settori del risparmio, mantenendo soltanto quelle connaturate alle specificità e particolarità proprie del singolo segmento. Tra le ingiustificabili diversità normative possiamo annoverare, ad esempio, quella dell’esercizio abusivo di un’impresa assicurativa o di un fondo pensione aperto o chiuso, che non sono sanzionate penalmente a differenza dell’abusivo esercizio di un’attività bancaria o finanziaria che invece configurano autonomi reati di abusivismo. Per motivare la scelta di depenalizzare l’esercizio non autorizzato di un’impresa di assicurazione, è stato anche sostenuto che questa, a differenza delle imprese di intermediazione bancaria e finanziaria, è meno esposta ai rischi di infiltrazione dei flussi finanziari di

(42) Tra questi citiamo ad es. i delitti di false comunicazioni a Banca d’Italia e Consob di cui agli artt. 139 e ss.. TUB e 169 e ss.. TUF. Vi si comprendono anche i comportamenti di market abuse: insider trading e manipolazione del mercato ex artt. 184 e 188 d.lgs. 58/1998.

provenienza illecita, ma si tratta, all’evidenza, di una motivazione del tutto priva di fondamento, atteso che ogni attività che comporta raccolta e movimentazione di danaro è perciò stessa soggetta al pericolo di riciclaggio di danaro illecito, a prescindere dalla tipologia di prodotto commercializzato.

Un’altra differenza si riscontra nel campo dell’omissione, da parte dell’intermediario, ad obblighi informativi cui è soggetto nei confronti delle autorità di controllo: se, tendenzialmente, l’omesso adempimento di obblighi di vigilanza non è sanzionato penalmente bensì con misure extrapenali, in materia assicurativa l’art. 5 u.c. della legge n. 576 del 12 agosto 1982 punisce con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda da 1.033 a 20.658 euro gli esponenti aziendali delle imprese assicurative soggette all’Isvap che non ottemperano alle richieste e non si uniformano alle prescrizioni di questa. Un vecchio retaggio del passato, che sarebbe opportuno eliminare in omaggio sia ad un’esigenza di omogeneità normativa che ad un’istanza di necessità della pena.

Chiudiamo con un ultimo esempio, di una ricca casistica, concernente il mancato coordinamento tra le disposizioni contenute negli artt. 2638 c.c., 170 bis e 187 quinquiesdecies del TUF, tra le quali è poco efficamente ripartita la tutela dell’attività di vigilanza della Consob. Ciò suggerisce, a modesto avviso di chi scrive, una riforma orientata all’istituzione di un’unica autorità di vigilanza per il risparmio senza partizioni settoriali per tipologia di prodotto finanziario (oggi sempre meno rilevanti stante l’interdipendenza e la combinazione sempre più forti tra le diverse forme di risparmio), che trovi in una sola disposizione penale la forma di tutela avverso una serie di comportamenti (previamente tipizzati) di ostacolo allo svolgimento delle sue funzioni di controllo e vigilanza.

Un secondo motivo di censura riguarda il fatto che talune figure di reato si disvelano come scarsamente tassative e determinate44, incapaci di fissare una chiara linea di

(44) I principi di tassatività e determinatezza, spesso usati come sinonimi, in verità esprimono due concetti differenti: quello di determinatezza o precisione, vincolando la costruzione della fattispecie tipica, impone al legislatore di formulare il precetto penale in modo chiaro ed intelleggibile, in modo che dalla sua lettura risulti chiara l’identificazione di ciò che è lecito e di ciò che è illecito; il principio di tassatività opera da sbarramento esterno della fattispecie, vietando ch’essa venga applicata a casi astrattamente non ricompresi nel suo ambito normativamemte tipizzato, esprimendo in ultima istanza il divieto di analogia in materia penale. CARMONA A., Premesse ad un corso di diritto penale dell’economia. Mercato, regole e controllo penale nella postmodernità, Padova, 2002, p. 180 e ss..: l’Autore rileva che per assicurare il rispetto del principio di materialità e dunque quello di determinatezza/tassatività, oltre a costruire fattispecie che si sostanzino in una chiara indicazione

demarcazione tra tipicità ed antigiuridicità. Nel mentre concepisce e disegna la struttura normativa, il legislatore sovente tende a rinunciare al compito di assegnare all’elemento dell’antigiuridicità penale la funzione costitutiva della tipicità, piegando (id est: esaurendo) quest’ultima nella mera violazione del dovere extrapenale. In questo modo si corre il rischio che il dovere, sancito dalla legge extrapenale, costituisca l’oggetto stesso dell’offesa ed esaurisca il disvalore della fattispecie. La componente della price sensitivity, vale a dire l’idoneità a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, richiesta ai fini dell’integrazione sia del delitto di insider trading che di quello di manipolazione del mercato, rappresenta un primo esempio di elemento costitutivo di non facile afferrabilità e tale da originare, per le due citate figure di reato, i noti problemi di determinatezza. In particolare, può farsi notare come la scarsa tassatività delle fattispecie derivi principalmente dalla naturale propensione del mercato finanziario a recepire i condizionamenti esterni della più diversa indole e matrice (di talché il mutamento di prezzo può originare da un coacervo complesso e ampio di fattori economici e sociali) e dalla conseguente eccessiva latitudine di significato che viene ad assumere il parametro quantitativo della “sensibilità” della variazione di prezzo. Con la conseguenza di aprire le porte al soggettivismo ideologico e caratteriale dell’interprete (id est: del giudice) e di violare in questo modo la ratio garantista sottesa alla disposizione dell’art. 25, comma II, Cost.. Censure di indeterminatezza ma prima ancora di irragionevolezza, si possono muovere anche con riferimento al regine sanzionatorio previsto per le due citate figure di reato, caratterizzato da una illogica ed iniqua severità delle pene, oltre che da una eccessiva latitudine del limite edittale, sì da rendere il frammento sanzionatorio della norma penale estremamente ampio e dunque indeterminato45.

Un altro caso di fattispecie che sicuramente pecca di tassatività è quella, già menzionata, dell’art. 170 bis del TUF, nel mentre affida il compito di definire il contenuto del precetto al verbo “ostacolare”, quid vago e pertanto non agevolmente afferrabile potendovi ricomprendere in esso tanto comportamenti di falsità,

dell’oggetto della prescrizione o della richiesta, sarebbe bene che si evitassero le fattispecie omissive proprie, prevedendo, alla necessità, solo ipotesi commissive mediante omissione. Nel contempo, il dogma della tassatività richiederebbe di evitare il ricorso alla tecnica del rinvio, come pure della tecnica sanzionatoria che mutua il precetto da altro settore dell’ordinamento.

distruzione ed occultamento, quanto condotte meramente dilatorie od ostruzionistiche meno gravi e soprattutto non facilmente percepibili.

Un’altra criticità che si rinviene nel settore penale de quo è data dalla diffusa tendenza del legislatore a realizzare, in subiecta materia, una scelta penalistica a tappeto senza un’attenta selezione dei beni giuridici su cui fondare il giudizio di disvalore. Ciò conduce ad assegnare una copertura penalistica a comportamenti che non appaiono di per sé lesivi di beni od interessi giuridici strumentali alla difesa del risparmio e dei valori ad esso satelliti, ma che al contrario sembrano incarnare il rispetto, o di mere esigenze di ordine formale, o di difesa di valori ed ideali di matrice etico-moralistica: una sorta, cioè, di diritto penale di stampo organizzatorio, quasi esclusivamente costruito sullo schema formale dell’illecito omissivo, proprio e contravvenzionale. Si ripropone, dunque, anche con riguardo alla gestione del risparmio, l’antica questione del bene giuridico nella sua funzione politico-criminale di criterio di individuazione e delimitazione delle materie destinate a divenire oggetto di tutela penale (rectius: selezione degli interessi penalmente tutelabili), i cui riflessi applicativi si colgono appieno sul terreno della formulazione della fattispecie incriminatrice e nella loro proiezione sull’osservanza dei principi di laicità, sussidiarietà, proporzionalità e frammentarietà, riconosciuti come i tradizionali limiti alla discrezionalità del legislatore nella scelta di ricorrere alla sanzione penale.

Già si è detto del principio di laicità: esso rappresenta un limite assoluto al potere legislativo, di guisa tale che in uno Stato di diritto laico e pluralista, la scelta di criminalizzazione si può giustificare solo in confronto a comportamenti socialmente dannosi e lesivi di interessi tangibili definibili come “beni giuridici”, non certo per soddisfare istanze di promozione di valori etici e di ideali religiosi o di moralità collettiva. Vero questo, è altrettanto vero che l’essenza del problema risiede proprio nella selezione dei beni giuridici meritevoli di pena, dove il giudizio di meritevolezza deve essere condotto secondo i menzionati canoni di sussidiarietà, proporzionalità e frammentarietà.

Il principio di sussidiarietà esprime il concetto per cui, stante l’incisività del mezzo impiegato (la pena) e l’estrema importanza del bene colpito dalla sanzione penale (la libertà personale), il ricorso alla sanzione penale è giustificato solo come extrema

prefissi e mezzi impiegati, gli altri strumenti di tutela conosciuti dall’ordinamento giuridico (sanzioni civili, amministrative ec…) o sociale (mezzi di controllo e prevenzione extragiuridici) si dimostrino insufficienti ad offrire una tutela adeguata al bene giuridico.

Il principio di proporzionalità si risolve in un giudizio di tipo valutativo, richiedendo che l’intervento penalistico sia proporzionato, ossia adeguato, in rapporto a tre elementi che ne vengono a rappresentare l’oggetto del giudizio di valore: il bene della libertà personale compresso dalla pena, allo scopo che il suo sacrificio sia proporzionato alla difesa del bene da difendere; gli altri interessi tutelati penalmente, di modo che si realizzi un sistema di tutela penale graduato nell’an e nel quantum in ragione della gerarchia dei valori tutelati; gli altri interessi coinvolti dalla scelta di penalizzazione perché potenzialmente confliggenti con l’interesse tutelato, allo scopo che la protezione di questo passi per il minore sacrificio dei primi.

Il principio di frammentarietà, infine, rappresenta una caratteristica connaturata al diritto penale in contrapposizione alla completezza che tendenzialmente connota il diritto civile, significando che la fattispecie incriminatrice è costruita per tipi ed è dunque finalizzata a punire soltanto alcune modalità o tipologie di aggressione ad un determinato bene giuridico, segnatamente quelle che esprimono il massimo grado di disvalore e di dannosità sociale, previa rigorosa verifica per quanto attiene alla consistenza o al consolidamento sociale dell’interesse da tutelare, alla reale pericolosità di quei frammenti comportamentali ed alle conseguenze che ne derivano. Il criterio di meritevolezza della tutela, costruito attorno all’istituto del bene giuridico e fondato sui principi dinanzi evocati, è attraversato da una profonda crisi che riguarda indistintamente l’intero sistema penale e le cui cause sono da ricercare nell’assenza di un quadro di valori generalmente condivisi, nel forte relativismo e soggettivismo che oggi caratterizzano i giudizi valutativi funzionali alla selezione dei beni da proteggere, conseguenti al superamento di certi valori ed all’affermarsi di nuove istanze proprie della moderna società dell’informazione e della tecnologia, oltre che in una carenza di razionalità della politica criminale che spesso ha portato ad utilizzare la sanzione penale più come mezzo di governo della società che come strumento di orientamento ai valori46. Questo contesto fatto di incertezza, di mancata

(46) PALAZZO F., I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, p. 461. Si tratta di una consistente tendenza legislativa, in cui i criteri di

razionalità e di pendolarismo valutativo diviene ancora più grave in quei segmenti del diritto penale, tra i quali rientra quello relativo al mercato finanziario, sempre più contraddistinti dalla proliferazione di valori collettivi e beni superindividuali, rispetto ai quali è ancora più forte il tentativo del legislatore di ricorrere alla sanzione penale in funzione meramente simbolica ovvero pedagogica, spesso nell’intento di calmierare il senso di insicurezza diffuso tra i consociati.

I risultati cui il legislatore penale è addivenuto nel formulare il giudizio di selezione e meritevolezza degli interessi in materia di mercato finanziario e risparmio appaiono, allo stato attuale ed in linea tendenziale, in contrasto e tensione con i principi sopra accennati posti a fondamento e presidio dell’oggettività giuridica in materia penale. Ma prima di scendere nel dettaglio delle argomentazioni a supporto dell’affermazione posta, corre l’obbligo di una riflessione preliminare sul concetto stesso di bene giuridico.

In precedenza, si è affermato che esso rappresenta un interesse che preesiste alla norma positiva e non si identifica con il suo scopo, che si materializza in quelle situazioni della realtà fattuale percepibili dalla comunità civile e che esprimono una consistenza valutativa, nel senso che si prestano ad essere oggetto di un giudizio di valore. Nel settore che ci occupa, il quadro d’insieme è reso ancor più complesso in quanto caratterizzato dalla prevalenza di interessi generali e superindividuali che risultano, per così dire, distanti dai connotati tipici del bene giuridico tradizionalmente inteso: l’esaltazione dell’istanza di individualizzazione dell’offesa e la presenza di un sostrato materiale47.

criminalizzazione, più che valutazioni di “meritevolezza” di tutela, riflettono giudizi di adeguatezza dello strumento penalistico rispetto ai risultati di politica sociale perseguiti, così che l’attività legislativa è prevalentemente “orientata alle conseguenze”. In questa prospettiva, è chiaro che l’immagine tradizionale del bene giuridico, di un interesse preesistente alla norma e di consistenza quasi “naturalistica”, si sgretola a favore di una nozione non solo superindividuale ma anche caratterizzata da forti connotati di artificialità.

(47) DONINI M., Teoria del reato, Una introduzione, Padova, 1996, p. 140 e ss..; MOCCIA S., Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni: tra illusioni e riflessi illiberali, op. cit.. Vi si riportano le affermazioni di illustri autori come Ferrajoli e Hassemer, per cui oggetto dei beni giuridici sono soltanto gli interesssi umani tangibili (vita, salute, libertà, onore, proprietà, patrimonio), che presupposto necessario del bene giuridico è la previa esistenza di un interesse materiale e che, invece, non sono beni quelli che compongono l’amplissimo e frastagliato panorama delle nuove oggettività giuridiche e cioè quella giostra - egemone nel diritto penale dell’economia - di concetti di tipo post moderno tra i quali, ovviamente, le funzioni, che rappresentano solo quelle rationes di tutela oppure delle abbreviazioni di tipo concettualistico delle varie finalità per il soddisfacimento delle quali si

Com’è noto, infatti, mentre nel diritto penale classico l’oggetto giuridico si è sempre identificato in beni socialmente riconosciuti, aventi un sostrato materiale e coincidenti con interessi individuali della persona, nel diritto penale moderno, in particolar modo in quello dell’economia, si assiste da tempo ad un processo di smaterializzazione dell’oggetto giuridico, che ha portato ad assegnare copertura penalistica a quelle attività giuridicamente riconosciute, a quelle funzioni e strutture istituzionali preposte alla produzione ed alla circolazione della ricchezza, delle quali tuttavia, mancando esse di un sottostante materiale e riferendosi ad interessi diffusi tra la collettività, risulta spesso arduo provarne l’afferrabilità ed il consolidamento sociale, in una parola l’ “offendibilità”.

A tale riguardo, si è detto che il c.d. risparmio di massa o diffuso è una categoria giuridica, di rilievo costituzionale, che in sede penale si declina, ricevendo tutela, in una serie di beni giuridici specifici, per lo più rappresentati da attività giuridicamente regolate. Viene spontaneo chiedersi, a questo punto, se queste attività soddisfino o meno il requisito della offendibilità, se cioè siano dotate della capacità di essere tutelate penalmente come beni giuridici. L’interrogativo nasce dall’obiezione, mossa da una parte autorevole della dottrina, secondo cui alcuni reati economici offenderebbero non già beni giuridici, ma vaghe ed indeterminate funzioni, tanto da qualificarli come reati senza vittima o con vittima sfumata48. Si è osservato che ammettere che una funzione possa essere fatta oggetto di tutela penale solo perché costituzionalmente riconosciuta, vorrebbe dire negare il ruolo liberale svolto dal concetto di bene giuridico quale criterio di selezione delle condotte da incriminare e limite alla potestà punitiva dello Stato, con ciò allontanandosi dallo schema liberale del reato come offensivo di un bene giuridico.

L’osservazione va apprezzata perché coglie ed evoca l’attuale momento di crisi del diritto penale, sempre più attraversato da un vento di modernizzazione che mette in discussione le funzioni ed i limiti del sistema penale classico, tradizionalmente incentrato su un modello di reato inteso come fatto criminoso circostanziato che aggredisce interessi giuridici individuali e dotati di un substrato suscettibile di

costituisce, si mantiene o si incrementa il patrimonio dello Stato o comunque di soggetti superindividuali.

(48) MANTOVANI F., Diritto penale, parte generale, Padova, 2001, p. 227; PADOVANI T., Tutela dei beni e tutela delle funzioni nella scelta fra delitto, contravvenzione ed illecito amministrativo, in Cass. pen., 1987, p. 670; PALAZZO F., I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, op. cit., p. 468 e ss..; MOCCIA A., Dalla tutela dei beni alla tutela delle funzioni: tra illusioni postmoderne e riflussi illiberali, op. cit., p. 343 e ss..

percezione sensoriale. Non vi è dubbio che in molti settori è invalso l’uso di un modello di diritto penale c.d. “interventista” e “simbolico”, che viene caricato di un compito di profilassi della società e di una funzione di rassicurazione sull’efficienza del sistema normato. Non fa certo eccezione il campo dei reati economici, come si avrà modo di vedere funditus nel prosieguo.

Ritornando sull’idoneità delle attività giuridicamente regolate (di quella che concerne il mercato finanziario, ma anche ad es. dell’attività di amministrazione della giustizia o di difesa dell’ambiente) ad essere tutelate come beni giuridici, altra parte della dottrina si è espressa nel senso che i reati che attengono a beni collettivi - tra cui i reati economici - non sono reati senza vittima, essendo all’apposto caratterizzati da una vittimizzazione di massa, nel senso che direttamente o indirettamente offendono strati ampi, se non amplissimi, della collettività49. Si è rilevato che l’intervento del legislatore penale nel campo economico è spesso avvenuto al fine di prevenire fenomeni di vittimizzazione di massa - si pensi ai reati finanziari che hanno bruciato o minacciato il risparmio di migliaia di famiglie - ma nel pieno rispetto del modello del reato come offesa ad un bene giuridico: le attività giuridicamente regolate, quale ad es. quelle volte ad assicurare la regolarità delle negoziazioni nei mercati finanziari, sono entità offendibili e capaci di specifiche forme di tutela penale, alla stessa stregua dei beni che si incarnano in una realtà fisica, in quanto del pari funzionalmente orientate a contribuire al benessere della collettività e come tali essenziali per lo sviluppo della personalità individuale e sociale di ciascuno dei consociati.

Non è pertanto corretto affermare - in nome della difesa dei connotati di concretezza, personalità e materialità del bene giuridico - che la tutela delle funzioni non può assumere la qualifica di interesse giuridico degno di protezione penale. Basti d’altronde porre mente al fatto che i codici - anche quelli più liberali - conoscono l’esistenza di sanzioni penali per reprimere le offese a beni immateriali e diffusi quali la personalità dello Stato, l’amministrazione della giustizia, la stessa fiducia dei risparmiatori. Si dirà di più. Il progresso tecnologico, la nascita di nuovi fenomeni di aggressione ai beni personali, lo stesso processo di pubblicizzazione di alcuni interessi personali, impongono al legislatore di orientare il giudizio di selezione degli

(49) ALESSANDRI A., Manuale di diritto penale dell’impresa, a cura di Pedrazzi, Alessandri, Foffani, Seminara, Spagnolo, Bologna, 2000, p. 18; MARINUCCI G.DOLCINI E., Corso di diritto penale, op. cit., p. 407 e ss..

oggetti di tutela non soltanto in una prospettiva di difesa di interessi individuali e materiali, ma anche di funzioni ed attività giuridiche - ancorché immateriali e trascendenti in prima facie la persona umana - se dietro la loro lesione o messa in pericolo è possibile cogliere la dimensione sociale dell’interesse tutelato e la concretizzazione dell’offesa ad esso arrecata, in una parola l’afferrabbilità del bene giuridico da proteggere.

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