• Non ci sono risultati.

EPERIENZA PERSONALE DELL’AUTORE

2.1 L’ESODO COME MOTIVO DI POVERTÀ: TUAREGH

2.1.1 EPERIENZA PERSONALE DELL’AUTORE

Alcuni anni fa mi trovavo in Niger, per proseguire i miei studi sui tuareg, iniziati anni prima in Algeria.

Partii con una guida da Agadir, diretto verso i villaggi, ubicati nel deserto del Kelair in cui il governo aveva confinato questo popolo nomade, costringendolo ad una vita sedentaria, con l’intento di cancellare la propria identità.

Una volta Agadir, era stata considerata la capitale del regno, senza confini, dei Tuareg, rinomata per la sua bellezza ed eleganza architettonica dei palazzi.

Quando vi arrivai notai che di quelle testimonianze, della importanza del suo passato, ne erano rimaste ben poche.

Appariva una città in abbandono; le case, costruite con sabbia, prive ormai di una manutenzione erano facile preda degli elementi atmosferici, e dell’inerzia dei suoi abitanti, derivata dalla povertà di questi.

La città ebbe un momento di rinascita quando divenne tappa, per alcuni anni, (di quelle per me, assurda, evanescente fatalità occidentale) della Parigi Dakar” poi ricadde nell’oblio.

Dopo alcuni giorni nel deserto, per raggiungere i villaggi Tuareg, ci imbattemmo in alcuni ribelli di questa etnia. Ci intimarono l’Alt con i kalashnikov, puntati verso di noi.

Io guardai la mia guida come per chiedergli cosa stesse succedendo, ma i sui occhi esprimendo un improvviso terrore, mi fecero capire che la nostra situazione, in quel momento, non era confortante.

Notai che dietro una duna, un po’ nascosta, c’era un Land Rover, dentro vi scorse una figura umana un po’ riversa da un lato, come se dormisse. La portiera della parte di guida era macchiata di rosso, non seppi distinguere se si trattasse di sangue.

La scena richiamò alla mia mente le notizie dei sequestri di turisti, che ogni tanto i mass media occidentale riportano. Mi resi conto che la guida ed io eravamo in quella situazione.

Mi sequestrarono la macchina fotografica e perquisirono lo zaino. Trovarono il portafoglio e presero i soldi che conteneva. Il quantitativo di questi era poco, perché nel deserto non avrei trovato occasione di adoperarli. Avevo lasciato la maggioranza del denaro con il passaporto, nella locanda in cui avevo alloggiato per due notti ad Agadir. I ribelli, forze, convinti di trovare nel portamonete di un occidentale, una quantità sostanziosa di moneta, mi chiesero il perché di così pochi contanti.

La domanda fattami in arabo mi fu tradotta in francese dal mio accompagnatore. Il tremore della sua voce, denotava in aumentato spavento derivato forse, dalle

conseguenze che avremmo subito a causa delle delusioni dei nostri sequestratori, dal magro bottino ricavato dal mio portafoglio.

Il mio senso di fiducia per l’altro che mi fa percepire questo non un estraneo e peggio un avversario, ma un amico, portò a rispondergli « il mio denaro è l’ amicizia e la curiosità verso gli altri».

Queste brevi e semplici parole, riferite al capo dei ribelli in arabo dalla guida, ebbero un effetto stravolgente su di lui: abbassò quel fucile che ancora stava puntato verso di me, mi si avvicinò e mi strinse la mano.

Solo allora potei vederlo bene in volto: era quello di un giovane sui venticinque anni, che forse, memore dei racconti narrati dagli anziani della sua tribù, si era ribellato a quella vita imposta dia autorità governativa che non riconosceva.

Insieme agli altri accese un fuoco, mi fecero sedere accanto ad esso e a poco a poco tutti si accovacciarono uno vicino all’altro formando un cerchio. In quel momento fui uno di loro.

In attesa che bollisse l’acqua per il tè cominciarono a parlare e confidarsi. Così appresi perché preferivano quella vita di ribelle, di eterni braccati, costretti ad uccidere anziché rassegnarsi a quel sacco di miglio che il governo li elargiva .

La guida mi traduceva ma ero sicuro che noi potevamo parlare le proprie lingue, intendendoci ugualmente. L’empatia che si era venuta a creare e che cresceva istante per istante, era la migliore trasmettitrice. Bevvi tre tè (come vuole la tradizione araba) e nel frattempo la conversazione diveniva sempre più amichevole.

Notai uno di loro che aveva un’unghia incarnita , doveva procurargli eccessivo dolore, perché il dito era molto arrossato e gonfio.

Presi dallo zaino, il kit del pronto soccorso gli chiesi di farmi vedere la parte malata, appoggiò il piede sulla mia gamba, dimostrandomi fiducia e riconoscenza.

propenso a eccessive intimità.

Comincia, con delicatezza, ad agire sulla parte infetta. Il mio involontario paziente lanciò un grido di dolore e ritrasse l’arto. Io poggiai il mio sguardo sul suo volto dolorante; dall’età, poteva essere mio figlio, e gli dissi «Come vuoi fai il ribelle e hai paura di una piccola forbice? ». Il ragazzo volle che la guida gli riportasse quello che io avevo detto. Lo fece, ma con preoccupazione, forse impaurito dall’eventuale reazione dell’altro. I tuareg ascoltarono, e al termine della traduzione scoppiarono in una fragorosa risata e cominciarono a prendere in giro il destinatario delle mie cure mediche.

Passammo la notte con loro, ci prepararono un giaciglio, dove io sistemai il mio sacco a pelo.

La mattina seguente partimmo per la mia destinazione. Arrivammo al primo villaggio quando ormai il sole faceva sentire tutta la sua potenza. Ebbi, la sensazione, però, che ci stessero aspettando: il loro caloroso saluto non fu quello che si dà, in generale, a persone sconosciute e inattese. Una bacinella piena di acqua era li a nostra disposizione affinché potessimo lavarci. La teiera in ebollizione attendeva di ricevere quella polvere che si trasforma poi in una bevanda, la cui fragranza è la migliore testimonianza dell’ospitalità.

La nostra venuta era stata preannunciata. Quei ribelli, che la legge considerava fuorilegge - terroristi, avevano affidato, o al vento o alla sabbia del deserto, che si sposta continuamente, o alle ali dell’empatia, che la nostra amicizia era riuscita a creare, un messaggio che li annunciava che un Europeo, amico dei Tuareg, andava a trovarli e quindi era loro dovere accoglierlo come prescrive la sacra legge del Corano.

Fu così in tutti i villaggi, in cui mi recai. In uno di questi, un uomo che doveva essere il capo, intorno al fuoco impugnando la sua spada, come segno di potere, cominciò a narrarmi delle sue passate avventure, quando da uomo libero, cavalcava nel deserto. Era attorniato da giovani, che forse avevano sentito quelle storie centinaia di volte, ma quando lo ascoltavano facevano sorgere in loro sogni di speranza nel futuro.

Tutta quella amicizia, disponibilità nei miei confronti, derivò da una semplice risposta che mi uscì dalle labbra senza darle un eccessivo peso.

Il mio denaro è l’amicizia e la curiosità che ho verso gli altri.

La forza della parola è più potente di qualsiasi mezzo che l’uomo può costruire. Una risposta nella sua essenza bilinguistica nel significato che le da Michel De Certeau.

“Due tipi di interpretazione si scontrano: l’una teologa, è mantenuto come un punto di riferimento oggettivo necessarie alla fede: l’amicizia, l’altro scientifico ha l’efficacia operativa di uno strumento proporzionato all’azione:la curiosità31.