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LA POVERTÀ DA CORRUZIONE

Un errore diffuso è quello di considerare effetti perversi della globalizazione su paesi poveri quelli che sono eliminabili con una diversa politica interna e una diversa classe dirigente. Sono questi fallimenti alla base del dramma continentale, colpita da guerra e corruzione.

“La corruzione è un problema grave e nei PVS è notoriamente molto alta: gli incentivi sono pochi, gli aiuti stranieri rappresentano appetibili fonti di guadagno e la credibilità dei sistemi fiscali e giuridici è bassa64”.

La povertà da responsabilità ai governanti. Lo scrittore Achebe, nel suo romanzo

Anthills of the Savannah comunica tutto il suo pessimismo sulla capacità dei politici

africani di gestire il dopo colonialismo. La responsabilità della crisi africana è degli africani non degli europei. La mancata democratizzazione, assenza dalla partecipazione alla vita sociale della popolazione, l’accentuarsi del contrasto tra città e campagna, accrescimento delle distanze tra la popolazione ricca e quella povera, di cui parla Lipton non sono conducibili solo al passato coloniale.

Dopo l’indipendenza, gli stati sono caduti, in mancanza di una legittimazione popolare in forma autoritaria disattendendo le aspettative di liberazione e di riscatto sociale, sulle forze e sul sostegno più o meno diretto dalle potenze coloniali, degli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Tutto questo ha aggravato enormemente il problema della povertà, l’autoritarismo dei governi è causa anche al momento dell’indipendenza dall’eredità di una debole base istituzionale, formata da quadri dirigenti amministrativi professionisti che permettono il buon funzionamento della gestione della cosa pubblica. Ai vari stati africani con la mancanza di questa borghesia intellettuale, capace di allacciare rapporti di dialogo tra loro, al di là della nazionalità, di etnie per credenze religiose, hanno fatto venir meno le mediazioni politiche, intellettuali ed economiche, aprendo la strada a conflitti e guerre civili.

Si legge nel libro di Carbone che: l’autoritarismo, la dittatura che regge il potere politico africano, si basa soprattutto sulla corruzione dei loro capi di governo. Questi giunti al potere, con colpi di stato o con il bene placido dell’ex potenza coloniale, o ancora con elezioni che di democrazia hanno solo il nome, basati sul partito unico, sono divenuti i controllori e i diretti usufruitori dell’economia lasciata in eredità dallo stato coloniale. I capi di stato hanno così iniziato a far dipendere la popolazione e le risorse sottoposte alla loro autoritarietà incontrollata, estraendo da esse quanto più risorse possibili. Fenomeni tristemente comuni sono stati i trasferimenti monetari diretti dai conti pubblici a quelli privati all'estero, la sottrazione illecita di proprietà statali; l’assegnazione di appalti o posti di lavoro in base a favoritismi, partiti etnici, nepotistici o di altro genere. La richiesta di denaro in cambio di servizi normalmente gratuiti o dovuti, incluso il pagamento di tangenti per permessi e licenze.

La corruzione scende anche a livelli inferiori, su scale ridotte e per i funzionari pubblici, poliziotti, insegnanti, infermiere… le mazzette diventano un modo di salvaguardia e perdita di valori del loro salario, a causa dell’inflazione. In Africa la corruzione è la distorsione di un modello culturale.

“In una società in via di modernizzazione, la corruzione non è tanto il risultato di uno scostamento dei comportamenti da quelli che sono le norme convenute quanto lo

scostamento dalla norma dei modelli di comportamento consolidati65”.

La corruzione non è altro che la prassi di comportamenti informali, accettate e adattatasi alle nuove norme; codificatasi nelle proprie istituzioni moderne. Nei paesi, specialmente sub sahariani, non si ha quella netta distinzione tra ambito privato e quello pubblico, dove anzi c’è una cristallizzazione di queste divisioni che si scontrano con norme sociali, che in essa non si riconoscono o che, di fatto, la contraddistinguono. La corruzione nei paesi africani, quindi, non deve essere considerata come una cosa appartenente al passato, ma come parte attiva nell’economia, poiché incarna la razionalità per chi la pratica.

Jean Pierre Oliver di Serdan la definisce “economia morale della corruzione66” perché questa trova la legittimazione in norme sociali e imperativi comportamenti diffusi nella società africana. Inoltre è in queste norme sociali che non possono essere definire pratiche corruttive, ma fanno nascere delle relazioni interpersonali che la favoriscono. L’uso degli intermediari, che sono figure in grado di mettere in contatto realtà o gruppi diversi, sono il primo gradino di quella scala di corruttibilità che dalla semplice mediazione sono in grado di facilitare matrimoni, salgano fino a facilitare contatti utili nelle strutture burocratiche per facilitare qualche pratica amministrativa.

Il petit cadeau che nella sfera privata rappresenta un obbligo morale e simbolico, quando travalica nel settore pubblico, diviene una forma di monetizzazione.

Il terzo tipo di obbligazione sociale è la forma di assistenza e di solidarietà che un individuo ha nei confronti di tutti coloro con cui ha legami comuni. Nasce un reciproco rapporto di senso del favore tra i membri familiari e del clan dei villaggi e il soggetto di questo comportamento, che assume funzioni sociali elevate. Il facilitare nelle sue attività questo membro e nel frattempo, cui esso stesso si attribuisce, per distribuire favori ai membri a esso più vicini, diventa un obbligo morale. Più eletto a

65 M Carbone - op cit.p. 64

capacità di distribuire risorse e di possedere, tanto più è la forza di questo di questa patron, di rafforzare le reti clientelari o di allargarle. Carbone scrive:

L’idea che politici, burocrati e leader militari devono essere dei servitori dello stato, non ha semplicemente senso. I loro obblighi politici sono in primo luogo nei confronti dei loro parenti, conoscenti e loro clienti delle loro comunità, delle loro regioni; tutti questi patron cercano idealmente di divenire dei big man, controllando quanto più reti di clientelari riescono ad ottenere. Per avere successo come persone di alto livello, però, si richiedono risorse, e tanto più grandi sono le reti, tanto maggiore sarà il bisogno di mezzi per la distribuzione. La legittimità dell’élite politiche africane pertanto derivano dalle loro abilità nel foraggiare la clientela su cui ci si basa poi il potere. Per loro dunque, è indispensabile sfruttare le risorse governative a fini patrimoniali.67

Si viene a formare così delle successioni di alleanze patron cliente organizzate in modo gerarchico e informale. Questo è molto importante nelle società africane che abitano nelle zone periferiche e rurali molto distanti dai giganti del potere.

“Questi leader, dunque, fungono da intermediari tra le popolazioni lontane e centri di Potere per accaparrarsi più risorse possibili, specialmente per quelle regioni prive di ricchezze proprie; la spartizione del settore pubblico diventa vitale.

L’inclusione o l’esclusione a questo bene pubblico diviene necessità vitale perla clientela. L’eterogeneità della società africana offriva peraltro un criterio relativamente facile e immediato per la demarcazione delle linee d’inclusione o esclusione. Sarà questo confine instabile e notevolmente manipolato tra il gestire il potere o subirlo, la causa di colpi di stato e guerre civili.”68

67 M Carbone -op cit. p.66