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SFRUTTAMENTO DELL’ACQUA COME MOTIVO DI GUERRA

2.3 GUERRA PER IL POSSESSO DELLE RISORSE NATURALI PETROLIO

2.3.1 SFRUTTAMENTO DELL’ACQUA COME MOTIVO DI GUERRA

Dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua nasce l’anima. Fiume, mare, lago, stagno, ghiaccio, dolce, salata, salmastra, piacere e paura, nemica e amica, confine e infinito, principio e infinito, principio e fine.

Eraclito

A. CONSIDERAZIONI GENERALI

Nella modernità liquida le logiche e i valori che per secoli hanno presieduto la logica del possesso della “terra da parte dell’uomo, si stanno liquefando41”.

La certezza che le risorse naturali fossero inesauribili si sta rivelando fallace; l’uomo con il suo uso sconsiderato le sta portando velocemente all’esaurimento e con il suo diretto uso all’inquinamento.

L’acqua è uno di questi beni di cui la sconsideratezza di una parte del genere umano, ne fa un uso non come bene comune dell’umanità, ma come ricchezza propria. Necessita, quindi, che l’elemento liquido indispensabile per la vita, sia accessibile, in ugual maniera, a tutti gli abitanti della terra.

E' necessaria una nuova educazione, che operi per un reale empowerment di transazionalismo che curi la formazione di un cittadino glo-cale capace di tradurre i problemi che da necessità private assurgano ad un livello più ampio, sotto forma di preoccupazioni pubbliche e di responsabile azione collettiva.

Dalle origini dell’umanità l’acqua è stata una fonte di ispirazione, una fonte di vita in senso spirituale, ed intellettuale, ne deriva un rapporto armonioso tra cultura e natura, creatività e capacità di adattamento, che sono essenziali per un futuro sostenibile.

B. BASTA POCO PER ESSERE ESCLUSI

La base biologica del pianeta, su cui poggia la nostra esistenza si sta assottigliando di giorno in giorno, Oltre due milioni di persone hanno difficoltà a procurarsi l’acqua per bere, lavarsi, cucinare. Le falde acquifere si stanno abbassando ed i fiumi arrivano al mare sempre meno gonfi d’acqua.

“Distribuita in modo disuguale nel tempo e nello spazio, è sprecata dal nord del mondo, a discapito del sud, l’acqua utilizzata per bere, lavarsi e per le altre attività umane è solo l’1% di quella disponibile, perché, se è vero che il 97% è costituita da mari, oceani, ed il 3% dai ghiacciai, è davvero poca quella utilizzabile per scopi umani ed animali”.

Di quell’1%, l’8% viene consumato a livello mondiale, per usi domestici, ma se in Africa il consumo medio di una famiglia è di 20 litri al giorno, in Europa è di 165. Noi italiani siamo al primo posto con una media di 270 litri, così utilizzati: 70 litri per il wc, 80 per lavarsi, 40 per pulire la casa, 30 per il bucato e 20 per cucinare.

La domanda che dobbiamo porci è per quanto tempo le nostre fonti idriche potranno permetterci un simile spreco.

“Intanto dobbiamo tenere presente che le zone aride coprono circa il 41% della superficie terrestre e ospitano più di due miliardi di persone. Sebbene contengono un terzo della popolazione mondiale dispongono solo del 8% delle risorse rinnovabili e di acque. La disponibilità di acqua pro capite corrisponde solo a due terzi della quota richiesta per un minimo livello di un benessere umano. Approssimativamente dal 10 al 20% dei suoli delle zone aride sono degradati42”.

“L’accesso all’acqua potabile, necessaria alla sopravvivenza di ogni essere vivente, si riassume in questi numeri drammatici: 1,3 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile; 200 milioni di bambini muoiono ogni anno per aver bevuto acqua contaminata e per cattive condizioni sanitarie; 800 milioni sono le persone che non hanno ancora un rubinetto in casa; 2,3 milioni di persone vivono in paesi a rischio idrico. Senza un’inversione di tendenza, tra 20, 25 o 35 anni, quando la popolazione supererà gli 8 miliardi di esseri umani (fonte Unep: United Nations Environment Program dati OMS), le persone senza accesso all’acqua potabile saranno più di 3,4 miliardi43”.

42 G.Bologna “Il manuale della sostenibilità” ed Ambiente 2008, p. 252

Quindi il cittadino Glo-cale deve far proprio il concetto che l’acqua è fonte di vita insostituibile per l’ecosistema, l’acqua è un bene vitale comune che appartiene a tutti gli abitanti della Terra.

A nessuno, individualmente o come gruppo, è concesso il diritto di appropriarsene a titolo di proprietà privata.

C. L’ACQUA COME RICCHEZZA

Non ci può essere produzione di ricchezza senza accesso all’acqua. L’acqua non è paragonabile a nessun’altra risorsa: non può essere oggetto di scambio commerciabile di tipo lucrativo. L’acqua appartiene più all’economia dei beni comuni e della distribuzione della ricchezza che all’economia privata dell’accumulazione individuale e ad altre forme di espropriazione della ricchezza. Oggi la civilizzazione riconosce l’accesso all’acqua come un diritto fondamentale inalienabile, individuale e collettivo. Il compito della società, nel suo complesso e ai diversi livelli di organizzazione sociale, è quello di garantire il diritto di accesso, secondo il doppio principio di corresponsabilità e sussidiarietà, senza discriminazioni di razza, sesso, religioni, reddito o classe sociale. In tutti i continenti vi sono bacini comuni a più stati: che invece di rappresentare motivo di unione e di pace divengono causa di guerra. Sul nostro pianeta ci sono troppi conflitti legati all’acqua come strumento a supporto dei loro interessi, di tipo geo - economico, al fine di acquisire un potere egemonico sulla regione circostante. È necessario e possibile liberare l’acqua dall’influenza degli stati orientati egemonicamente..

Il direttore generale dell’UNESCO, Matt Sura, disse che l’acqua può essere un fattore di pace, piuttosto che di conflitto. l’UNESCO si impegna perché questo sia un secolo di pace e non di guerra dell’acqua.

L’accesso all’acqua, nella quantità e qualità necessarie alla vita, è un diritto umano inviolabile ed inalienabile.

D. L’ACQUA È “RES PUBLICA”

L’acqua è un bene vitale, patrimonio comune dell’umanità. Occorre restituire il controllo ed il governo delle acque ai veri proprietari, gli abitanti del pianeta.

L’acqua non appartiene agli stati, ai mercanti, agli impresari o agli azionisti. Essa appartiene alla comunità umana, dalla più grande alla più piccola. L’uomo deve fare di questa risorsa un uso ragionevole, durevole, efficace e solidale.

“Se la società umana, a partire dalle comunità di base, non sono animate ed ispirate da una cultura e da una pratica democratica e solidale, l’acqua diventa essa stessa sorgente di ineguaglianza e di ingiustizia sociale” (dal Manifesto dell’acqua, elaborato nel 1998 dall’UNESCO).

Bisogna creare le condizioni necessarie per assicurare l’accesso all’acqua effettiva e sostenibile. Questa esigenza è un problema che concerne tutti i membri della società. È anche un tema mondiale e intergenerazionale. È compito, infatti, delle generazioni attuali usare, valorizzare, proteggere e conservare le risorse d’acqua in modo tale che le generazioni future possono godere della stessa libertà di azione e di scelta che per noi stessi oggi auspichiamo. Il cittadino glo-cale, deve essere, al centro del processo decisionale deve tener conto che nessuno spreco di acqua è sostenibile; questo riguarda anche noi, la gestione dei nostri territori, l’uso dell’acqua nelle nostre agricolture, i nostri stessi stili di vita quotidiana, che devono diventare più consapevoli e responsabili.

L’acqua è un bene comune sociale, politico culturale è lo specchio di come una società consideri i diritti della gente e un indice della democrazia. L’accesso all’acqua è un diritto, l’acqua non deve essere un bene mercantile: L'integrità di

questa fonte di ricchezza del pianeta non è direttamente riconducibile a fattori monetari.

E. IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA DELL’ACQUA

Il problema della sicurezza assume significati importanti con una connotazione ambientale in termini di gestione delle risorse idriche e di lotta al degrado ambientale.

La carenza delle acque è la minaccia ambientale predominante per la sicurezza e la stabilità degli stati. Infatti la > 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali tras-nazionali. La sicurezza dell’approvvigionamento, iniqua distribuzione delle risorse, scarsa fornitura, così come il degrado della qualità delle acque, provocano grave instabilità sociale.

Pensiamo quale arma potente ha a disposizione la nazione che possiede la sorgente di un fiume, in confronto agli stati che questo attraversa.

Fin dal 1978 il presidente egiziano agli etiopi disse: “La vita degli egiziani dipende al 100% dal Nilo: se qualcuno cercasse di attentare alla nostra vita, non esiteremmo ad entrare in guerra per questione di vita o di morte44”

Il Tigri e l’Eufrate, che hanno alimentato l’agricoltura per migliaia di anni in Turchia, Siria, Iraq, sono alla base del perenne disaccordo fra i tre paesi. La Turchia sfrutta la sua posizione di vantaggio per esercitare pressioni sull’Iraq e Siria, che rischiano di trovarsi con letti fluviali vuoti per un vasto progetto di dighe sull’alto corso del Tigri. In questo modo la diga diventa uno strumento di contrasto politico. Guardando l’Eufrate, i progetti di sfruttamento di questo fiume da parte di Turchia e Siria sono in grado di diminuire il 35% la portata del fiume in Iraq.

Il Giordano stesso, che è condiviso da Israele, Giordania, Siria, Libano e Cis- Giordania, è prevalentemente sfruttato da Israele per la sua agricoltura.

Il controllo dell’acqua può fornire ad un certo paese l’opportunità di risolvere i problemi politici interni o territoriali. Ne è un esempio il drenaggio iniziato nella regione di Amarah-Nasli Riayh-Bassora da Saddam Hussein, che nacque con lo

scopo ufficiale per il drenaggio delle terre irrigate, lo smantellamento delle inondazioni ed il miglioramento della navigazione in direzione dello Shatt-el-Arab, ma che aveva invece un secondo fine politico, quello di provocare l’esodo delle popolazioni sciite in contrasto aperto con il regime del dittatore iraniano.

La Turchia, in quanto paese bagnato dal corso superiore dell’Eufrate, contribuisce con il 94% alla portata del fiume, e la Siria solamente con il 4%. Quanto al Tigri, esso riceve il 40% della sua portata dalla Turchia, il 50% dall’Iraq, ed il 10% dall’Iran. Fino al 95% del fabbisogno industriale ed agricolo, ed all’80% degli usi domestici dell’Iraq, dipendono da questi due fiumi.

F. L’ACQUA COME PROBLEMA IRRISOLTO FRA ISRAELE E PALESTINA

“In maniera molto lungimirante, nel 1917 il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale Chaim Weizmann nelle dichiarazioni di Belfort, indirizzò al Primo ministro inglese David Llyod George una lettera, in cui metteva in evidenza la necessità di stabilire i confini dello stato Palestinese che andassero dalle pendici del monte Hermon (situato sulle frontiere Siro - Libanesi, sino alle sorgenti del Giordano e dal fiume Litani, principale fiume libanese che scorre anch’esso nella parte sud del Libano)45”.

Questi confini tenevano in considerazione la necessità del popolo palestinese dell’approvvigionamento idrico per l’irrigazione, e la produzione di elettricità. È la prima volta nella storia che i confini di uno stato sarebbero stati delineati, non in base a conquiste militari, ma su esigenze di considerazione idrica.

G. LA STORIA NON HA VOLUTO COSI’

Israele mirava a captare le acque del Giordano a Nord per potere irrigare il deserto del Negev a Sud, mentre i paesi vicini avevano come obiettivo la deviazione mediante canali in Siria ed in Libano, prima che l’acqua potesse essere prelevata da Israele; la situazione precipitò progressivamente fino alla Guerra dei Sei Giorni.

Questo conflitto è stato l’occasione, da parte di Israele, di impadronirsi di tutta la parte del Giordano fino al Mar Morto e soprattutto della falda acquifera giudea- samaria. Questa falda posta nel sottosuolo dei territori occupati, cisgiordani ha un’importanza eccezionale, in quanto è in una zona arida ed è sfruttata grazie a pozzi artesiani molto profondi; inoltre la conquista dell’Altipiano del Golan è stata dettata, non solo per motivi strategici, ma anche dalla volontà di controllare la principale fonte idrica vitale per Israele. Infatti un terzo dell’acqua consumata da Israele proviene dal Golan.

Già da questi pochi dati si capisce che la discriminazione nell’accesso ad una risorsa primaria, non può che costituire un impedimento al raggiungimento della pace.

H. LA ROAD MAP

Tra gli errori delle Road Map che hanno fatto fallire il vertice di Camp David e slittare il possibile accordo di Taba e che tuttora impediscono il raggiungimento della pace tra le due parti, c’è anche quello dell’utilizzo dell’acqua.

Vandana Shiva afferma nel suo libro:

Più di qualsiasi altra risorsa, l’acqua deve rimanere un bene pubblico e necessita di una gestione comune. […] per legge di natura questi elementi sono comuni a tutta l’umanità: l’aria, l’acqua dolce, il mare e quindi le sponde del mare. Nelle tradizioni islamiche la Sharia, che originariamente connotava il cammino verso l’acqua, fornisce la base

fondamentale per il diritto all’acqua46.

Questo concetto di bene pubblico dell’acqua e di gestione comune, è rimasto escluso dalle negoziazioni della Road Map, e anche quando è comparsa, l’approccio al problema non è stato soddisfacente. Solo dopo Oslo II sarà previsto che i palestinesi abbiano un aumento nell’utilizzo dell’acqua a loro disposizione, a patto che questo non metta in pericolo le risorse idriche di Cisgiordania e Gaza, non comporti cioè, una diminuzione di consumi per gli israeliani.

Questa grave disuguaglianza, dall’utilizzo dell’acqua è una delle tante situazioni che fanno poco clamore, ma che giorno dopo giorno, pongono il singolo palestinese a contatto con sentimenti di grande rabbia e frustrazione, quando confronta la propria condizione di carenza di acqua con quella del colono che, invece, ne ha in abbondanza. Il consumo medio pro capite di un palestinese a Gaza è di 80 litri al giorno, un colono israeliano consuma 584 litri, 7 volte in più.

Questa disparità di disponibilità dell’acqua dipende dal fatto che Israele si è impossessato delle principali falde acquifere palestinesi, da cui estrae l’acqua che utilizza nei propri insediamenti che sono la falda di Gaza, che giace interamente nella striscia di Gaza, e la falda centrale, che si estende lungo green line, e si può considerare divisa tra versante occidentale e versante orientale. Solo una minima parte viene venduta ai palestinesi attraverso una campagnia israeliana, la Mekorot che peraltro fissa dei prezzi più alti nei territori palestinesi rispetto a quelli israeliani.

L’estrazione dell’acqua dalle falde viene fatta in modo diverso, perché là dove ci sono cisterne sotterranee, in quanto zone impermeabili, l’acqua è più facilmente estraibile, in altre parti invece l’acqua non si deposita e viene più difficilmente estratta e quindi utilizzata. Questo particolare era ben noto agli israeliani che una volta iniziato a costruire gli insediamenti,decisero di posizionarli esattamente in concomitanza delle aree di raccolta, affinché fosse più facile l’estrazione e l’utilizzo

I. Oslo II

Con gli accordi di Oslo II ai palestinesi sono stati lasciati i punti più complicati. Una più equa distribuzione dell’acqua deve tener conto di questa fondamentale realtà. Con Oslo II Israele ha ufficialmente riconosciuto i diritti palestinesi sulle risorse idriche nei territori occupati e si è dichiarato disposto ad aumentare la quantità di acqua a loro destinata, a 28 milioni di m3 l’anno.

In cambio la delegazione palestinese accettò di posticipare la discussione sull’utilizzo congiunto delle falde acquifere a dopo la firma dell’accordo definitivo. Questa ha fatto si che la sovranità palestinese risultasse dimezzata, perché sottoposta a quella israeliana, e sottolinea nuovamente che la pace non potrà mai essere realizzata finché non verrà condivisa una logica equa distribuzione delle risorse, e l’acqua è una di queste47.

Gli accordi di Oslo II, anche se migliorativi rispetto alla situazione attuale, vanno tuttavia, in senso privatistico della gestione dell’acqua, e non in una direzione mondiale.

Considerando l’acqua come una risorsa da spartirsi tra due nazioni assume il principio che l’acqua non è più un bene comune sociale, ma diventa un bene economico, come proposto dalla Banca Mondiale.

Non essendo più quindi un diritto umano ma un bene economico, mercificante e privato, può rappresentare una perenne mina vagante pronta ad esplodere in qualsiasi momento e di conseguenza una minaccia continua per la pace.