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LA POVERTÀ RURALE

L’India è senza dubbio il paese che ha più contraddizioni al mondo. Nel 2001 il paese ha superato il miliardo di abitanti nel globo, un uomo su sei è indiano, e in questo un uomo su due è povero e il 40% della popolazione è analfabeta. Tutto ciò in un paese dove sono attive 226 università e più di mille istituti affiliati, di cui molti specialmente in ingegneria e medicina; ma allo stesso tempo 400 milioni di persone e più di trenta milioni di bambini in età scolare non sanno né leggere né scrivere.

La povertà in India è un fenomeno prettamente rurale, indotta dalla natura ostile dove si deve faticosamente strappare la sopravvivenza e più dell’ingiustizia umana, è questa che condanna alla povertà è alla precarietà, sono la siccità o le alluvioni,

53 G.Carbone - op cit, p. 50

stravolgimenti dell’assetto idrogeologico d’intere regioni, imputabili a grandi opere infrastrutturali, come le dighe che sradicano dai propri villaggi, milioni di contadini. In India nel 1997 ben ventidue milioni di contadini erano vittime di queste trasformazioni; condannati alla povertà o all’inflazione. La povertà rurale è dovuta anche alle uniche distribuzioni delle terre perché predominante del latifondismo. Nei primi anni sessanta, oltre il 60% delle famiglie in ambito rurale coltivava terre marginali e deteneva complessivamente il 17,5% delle terre, mentre i grandi proprietari terrieri, rappresentavano solo il 3,1% delle famiglie, contrapposte al 30,3% della terra.

La riforma agraria degli anni sessanta fallì perché i grandi latifondisti riuscirono a utilizzare vari sistemi, legali e illegali, per evitare che le grandi tenute fossero smembrate e parti della terra andassero a estranei. Inoltre come già era capitato negli anni cinquanta, la terra ridistribuita era sostanzialmente quella di minor valore55.

La povertà rurale del degrado ambientale fu indotta dall’uomo

Afferma inoltre che la donna in India fa intimamente parte della natura, nell’immaginario e nella vita reale: la natura è simboleggiata come l’incarnazione del principio femminile nel reale è orientata da questa facoltà femminile alla riproduzione di vita e nutrimento. Nell’attuale concezione occidentale della natura, pesa invece la dicotomia del dualismo tra l’uomo e la natura e tra l'essere umano e la natura.

Nelle cosmologie indiane la persona umana è un binomio dell'unità; sono elementi complementari, inseparabili l’uno dall’altro, nella natura, nelle donne e nell’uomo.

Il lavoro delle donne nella foresta, nei campi, nei fiumi, produce mezzi di sussistenza in modo silenzioso ma indispensabili. Shiva chiarisce che è proprio quest’attività inviolabile, legata alla natura e ai bisogni veri, a presentare la natura stessa mantenendone i cicli ecologici e a perpetuare la vita umana, rispondendo ai suoi bisogni imprescindibili, di cibo, nutrimenti e acqua.

2.6.1 SOSTITUZIONE DELLA DONNA NELLA PRODUZIONE ALIMENTARE

La concezione maschilista nella produzione alimentare che c’è giunta sotto varie forme (la Rivoluzione Verde l’agricoltura scientifica) ha retto questo equilibrio tra la silvicoltura, l’allevamento degli animali e l’agricoltura, che erano alla base del modello agricolo sostenibile, è stata distrutta dall’agricoltura riduzionista che predilige gli output agli imput.

Il lavoro delle donne, fornitrici di risorse sostenibili, è sostituito dall’industrializzazione. La coltivazione non più come fine alla sussistenza ma in attività dedicata prevalentemente alla produzione di serrate agricole per il profitto. Come cambiò la natura delle attività, così cambiarono la tipologia di attori: la natura, le donne, i contadini non furono più visti come i principali produttori di cibo ma servitù a basso costo, come lavoratori nelle grandi imprese agrarie. Con la Rivoluzione Verde nacquero vari miti: le semente miracolo, dove sono state sostituite alla conoscenza, alla conservazioni, al mantenimento patrimonio delle donne, l’ingegneria genetica. Il mito degli alti rendimenti e l’autosufficienza alimentare, hanno prodotto invece, un maggior numero di contadini che una volta autosufficienti, sono stati allontanati dall’agricoltura e non hanno il potere di acquisto necessario a comprare gli elementi prodotti e distribuiti secondo criteri commerciali. Inoltre, la produzione di alimenti essenziali, come legumi e i semi oliosi che sono di cruciale importanza per un buon equilibrio nutritivo, sotto l’impulso della rivoluzione verde, questa è diminuita in termini assoluti. La crescita dei raccolti non riguarda l’intero sistema alimentare, bensì solo piccoli elementi d’interesse del mercato.[…]

L’agricoltura industriale si è trasformata in una guerra contro gli ecosistemi; poggia sugli strumenti e sulla logica che caratterizzano il contesto bellico e le conseguenze anch’esse definibili come tali. Le sostanze chimiche su cui si fonda sono state in origine pensate per la guerra chimica, e per questo che Bhopal è divenuta una zona di guerra. La mentalità bellica (dice la scrittrice) sottostando al suo modello militare - industriale, emerge chiaramente dai nomi attribuiti agli erbicidi

Ronnala up (retata), machete, lazzo, pentagon, prowl ecc.

La liberalizzazione del settore dei semi, imposta dalla Banca Mondiale, ha permesso a multinazionali come la Monsanto e la Cargil di fare il proprio ingresso nel campo agricolo nazionale e di acquisire le principali ditte di sementi del Paese. I contadini si trovano, così, obbligati a comprare semi ibridi e pesticidi a costi elevatissimi. La coltivazione di sussistenza cede il passo a quella destinata all’esportazione. Le sementi naturali sono in via di estinzione; la varietà impollinante, che si può conservare e ripiantare, è sostituiti da semi ibridi da acquistare obbligatoriamente ogni anno presso le aziende direttrici. Le aziende agricole basate sulla diversità, la decentralizzazione e il miglioramento

della produttività attraverso metodi ecologici sono incentrati sull’universo femminile e amica della natura, ha ceduto il posto, forzatamente, a una concezione egemone dello sfruttamento della terra. Sostiene Shiva che questo concetto è diretto solo al guadagno, minacciando la vita nella sua diversità e nella sua capacità di aut organizzarsi e di rinnovarsi. Lei sostiene che mentre l’agricoltura rurale è il presupposto dell'ambiente culturale, basate sulle diversità biologiche - culturali, l’altre, quelle industriali, si trasformano nella base di legittimazione dell’ecocidio e del genocidio, isolando la specie intermedia presente in natura e nella cultura56.

2.6.2 POVERTÀ DERIVATA DALLE TRADIZIONI

Come notava Ranale, quella della povertà era solo un aspetto dei problemi d’India. Ma la sua convinzione nell’importanza dell’industrializzazione non era nelle sue idee unicamente, o principalmente economica. Egli diceva

“Le manifatture sono se possibili più vitali nell’opera di portare istruzione all’intelligenza, alle capacità e all’imprenditorialità della nazione57”.

A differenza di Gandhi, che vedeva nella modernizzazione l’accentuazione della natura maligna dell’uomo, e che ha ritenuto responsabile della carestia in India, Nehru diceva invece

«A indire in una rapida industrializzazione del paese, solo in questo modo penso, lo standard di vita del popolo crescerà in misura sostanziale e la povertà verrà combattuta58»

La modernizzazione nel mondo, attraverso la industrializzazione è necessaria per assorbire la scienza, la tecnica, in modo che il suo popolo giunga ad una trasformazione della natura umana. Non è possibile avere uno strumento moderno e

56 W Shiva “Le nuove guerre della globalizzazione” - ed Utet 2005, p. 9

57 W Shiva “Le nuove guerre della globalizzazione” – op cit p. 77

una mentalità antica.

La tradizione deve significare contemporaneità in modo che non sfoci in guerre di civiltà.

Tradizione come patrimonio culturale, diventi narrazione.

“Di svolgere una fondamentale funzione ermeneutica che non consiste nel fornire modelli rigidi e rassicuranti, orientati al passato, ma nel vedere in prospettiva il senso della vita leggendo le dimensioni temporali del passato, del presente e del futuro e mettendo in relazione dialogica la pluralità degli sguardi sul presente59”.

Una tradizione che permette all’uomo di riandare indietro, e cercare nello spazio remoto valore etico morale elemento fondante di ogni società.

Tradizione non come fattore identitario ma che sappia contemporaneamente conciliare gli elementi valorizzanti dell’essere con le necessità della modernità, e che da una base territoriale ben determinata, che specialmente in Africa avviene negli anni 60 con la nascita, diStati Nazioni, sappia confrontarsi con la globalizzazione, rendendo questa più umana.

Tradizione che sappia vincere “la solitudine del cittadino Globale” dando le risposte alle domande che l’uomo globalizzato si pone: chi è l’uomo, che posto occupa nel mondo, qual è il senso della sua esistenza.

Se questo avviene è perché: “la tradizione fa sentire il cittadino a casa come appartenente alla collettività”60..

Cioè che non sia il terreno nel muro di divisione tra gli esseri umani ma che diventi il luogo di dialogo per tutte le collettività delocalizzate e quindi di pace.

59 H. Warndt – op cit p. 30