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8.1.1) Un esempio di riforma spiccatamente special preventiva della sanzione criminale del folle reo: la proposta della Fondazione Michelucci

Il primo accademico che visitai aveva il volto magro e spaurito da far compassione, la barba e i capelli incolti, la pelle color tabacco, e gli abiti e la camicia del colore stesso della pelle. Egli da otto anni si perdeva dietro un progetto consistente nell'estrarre i raggi del sole dalle zucche, affinché fosse

possibile, dopo averli chiusi in boccette ermeticamente tappate, di servirsene per riscaldare l'aria nelle stagioni fredde e umide. Mi disse che sperava, entro i prossimi otto anni, di fornire ai giardini del governatore dei raggi solari a un prezzo conveniente. Si lamentò però d'esser povero, e mi chiese qualche soldo a guisa d'incoraggiamento, tanto più che le zucche erano piuttosto care quell'anno.

(Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver)

Si credeva che Apollo, dio della medicina, fosse anche quello che mandava le malattie: in origine i due mestieri ne formavano uno solo; è ancora così.(Jonathan Swift, Pensieri su vari argomenti)

Un esempio di questa eterogenesi dei fini può essere rinvenuta nella proposta di legge predisposta dalla Fondazione Michelucci presentata dal Consiglio regionale della Regione Toscana ed Emilia

Romagna che, dichiaratamente rivolta ad un miglioramento della dimensione specialpreventiva ed univocamente finalizzata ad umanizzare il trattamento del malato mentale autore di reato,

concentrandosi esclusivamente sulle condizioni materiali di internamento e sulle modalità di cura, enfatizzava involontariamente i profili sanzionatori ed afflittivi della misura di sicurezza.

La proposta infatti si proponeva di costruire un sistema di misure eterogeneo e differenziato,

maggiormente aderente alla differente tipologia ed intensità della malattia mentale che non prevedesse

più il manicomio come struttura totalizzante, in favore di una "psichiatria della differenza". (361)

Nel far questo manteneva praticamente inalterata la categoria della pericolosità sociale (art 3) che non solo legava agli indici indicati dall'art 133 c.p. ma anche ad ulteriori criteri, quali:

‡la circostanza che il reato rappresentasse reiterazioni di condotte di particolare rilievo, con ciò

conferendo rilievo a condotte di per se non penalmente rilevanti, che, se poste in essere da soggetto imputabile sarebbero prive di qualsivoglia effetto penale (art 3 )

‡ai possibili interventi terapeutici, nel senso di collegare il giudizio di pericolosità alla dimensione

situazionale e concreta legata ai rapporti con i servizi psichiatrici e le comunità terapeutiche per cui si positivizzava, e quindi si rendeva giuridicamente ammissibile e legittimo che l'eventuale carenza dei servizi stessi incidesse, imponendo la proroga della misura dell'internamento, sullo status del soggetto, legittimando discriminazioni personali su base territoriale, già molto diffuse nella prassi, legate alle differenti pratiche operative dei DSM e delle ASL di appartenenza, scaricando totalmente le inefficienze del sistema e l'insipienza degli operatori sociali sul

sofferente psichico, che sarebbe stato così "responsabile" non solo per fatto proprio ma anche, per così dire, a causa dell'imperizia, imprudenza, negligenza altrui o addirittura per forza maggiore o caso fortuito, impedendo cosi la possibilità di far venir meno sotto il profilo della carenza o dell'illogicità della motivazione, ora astrattamente possibile a legislazione vigente, l'eventuale provvedimento di proroga della misura di sicurezza del magistrato di sorveglianza che addossasse la proroga stessa a carenze sistematiche e non a condizioni patologiche. Sotto il profilo delle sanzioni la proposta prevedeva tre tipi di misure: un istituto sanitario chiuso, l'affidamento ai servizi sociali per adulti ed il carcere.

I. Un "istituto" di ridotte dimensioni con un numero massimo di trenta letti dove si assicurava al contempo la funzione terapeutica e la funzione di custodia del malato. La gestione terapeutica era affidata al Servizio Sanitario Nazionale. L'assegnazione all'istituto era prevista per i soggetti avessero commesso un fatto per cui si prevedesse una pena superiore nel massimo a dieci anni.

II. L'affidamento ai servizi sociali per adulti di cui all'art 72 della legge 354/1975 con l'obbligo

dell'interessato a seguire un programma terapeutico proposto dal servizio pubblico. nelle ipotesi in cui si fosse commesso un fatto per cui era prevista una pena inferiore ai dieci anni e superiore ai due anni. Questa netta distinzione trovava però un'eccezione: il magistrato poteva infatti disporre anche in questo caso l'assegnazione in istituto "chiuso" sulla base di una clausola doppiamente generale: sotto un primo profilo era generale in quanto la scelta lessicale della norma risultava particolarmente infelice, affermando tale necessità sulla base di una locuzione molto generica: "se ricorrono particolari

indicazioni in senso contrario". Sotto un secondo profilo perché, nel tentativo di precisare il contenuto di queste indicazioni particolari, si faceva riferimento alla nozione di pericolosità dell'art. 3 della proposta che di fatto era stata molto allargata rispetto alla originaria definizione del codice Rocco, includendo quella che viene definita pericolosità situazionale ma che, cosi declinata non serviva in senso "de-stigmatizzante" ma finiva, come abbiamo visto, con l'amplificare il ventaglio delle possibilità di neutralizzazione del malato mentale su cui si scaricava non solo il disagio sociale ma anche gli eventuali disservizi pubblici.

III. Il carcere a tempo indeterminato.

L'aspetto a mio avviso maggiormente controproducente in un ottica di tutela delle garanzie di libertà del malato di mente autore di reato risiede nella circostanza che all'art 5 comma 6 il progetto prevedeva che a fronte di "eccezionali esigenze di sicurezza" il soggetto potesse essere assegnato con

provvedimento del magistrato di sorveglianza sentito il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria in un istituto di pena, in un carcere, sebbene dotato di un centro psichiatrico di diagnosi e cura

disciplinato dallo stesso progetto di legge all'art. 12.

Il provvedimento sarebbe stato reclamabile ex art. 14 ter l. 354/1975 ed il soggetto si sarebbe dovuto reputare a tutti gli effetti sottoposto a misura di sicurezza.

Ci troviamo per la prima volta di fronte ad una misura di sicurezza, quindi totalmente elastica poiché terapeutica, eseguita in una struttura carceraria, quindi sostanzialmente punitiva, presa con un

provvedimento giurisdizionale assunto anche su parere dell'esecutivo, quindi in violazione del principio di separazione dei poteri dello Stato. Forse la più grande, dettagliata, ed invasiva misura di sicurezza mai concepita nel nostro ordinamento. Una forma di neutralizzazione penitenziaria, elastica ed indeterminata, di competenza "quasi congiunta" giurisdizionale/amministrativa.

Nel caso si fosse commesso un fatto per cui fosse prevista una pena inferiore ai due anni le misure di sicurezza non si applicavano ma si segnalava il soggetto ai servizi sanitari.

Proprio nella sua ottica specialpreventiva e terapeutica la proposta non contemplava alcun limite massimo alle misure di sicurezza.

8.2) Prassi

L'ospedale psichiatrico giudiziario può strutturarsi sul piano pratico enfatizzando il contenimento sul

trattamento (362) perché i due aspetti rimangono fusi non solo nella prassi ma anche teoreticamente.

L'aspetto della patologia che assume rilevanza è il comportamento pericoloso, asociale, in conformità a

criteri di selezione e tecniche predittive inadeguate e terapeuticamente inutili se non dannose. (363) Il

trattamento disposto dallo psichiatra non può che ricondursi all'etichettamento delle condotte disturbanti:

questo nella più parte dei casi, risulta essere circoscritto al contenimento e alla

retribuzione farmacologica dei disturbi di personalità: categoria diagnostica che, fatti salvi disturbi gravi di personalità, non è di sua competenza, se non quando è evidente e genuina la sofferenza psichica del soggetto che ne è portatore. Quando però il suo intervento clinico e prevalentemente se non esclusivamente richiesto per neutralizzare, la

commistione diventa inevitabile. (364)

Trattamento e segregazione coincidono. Creando un malato "totalmente altro" rispetto al malato civile. Il problema che si pone quindi non si incentra tanto sulla gestione penitenziaria delle strutture piuttosto che sanitaria, quanto sugli obiettivi ed i modelli trattamentali predisposti per categorie di individui la cui soggettività giuridica viene definita non solo patologica ma soprattutto antisociale e pericolosa. Ciò che è rilevante è la modalità di intervento sul soggetto ed i rapporti di potere che si instaurano, che possono avere identiche caratteristiche e la stessa fenomenologia sia con un agente penitenziario, sia con un infermiere come attori, quando lo statuto epistemologico, culturale, sociale e normativo che circonda e costituisce il reato del folle rimane immutato e confuso. L'"orrore medievale" evocato dal Presidente della Repubblica Napolitano per descrivere luoghi "dove l'assistenza medica viene garantita da un infermiere ogni 25-30 internati e l'assistenza psichiatrica è assicurata per trenta minuti al mese; dove stanze da quattro ospitano nove internati su letti a castello, condizione che è stata definita 'tortura' da una delegazione del Consiglio d'Europa; dove se un internato ha un attacco di cuore (e il rischio c'è, soprattutto per i molti pazienti ultraottantenni presenti) è molto difficile salvargli la vita; dove in alcuni periodi dell'anno bisogna scegliere se utilizzare l'acqua per il sistema antincendio o per lo sciacquone

dei bagni", (365) non deve in realtà richiamare la desueta, ma sempre invocata categoria morale dello

scandalo, o la consueta ed inefficace - in quanto sostanzialmente "narcisistica" ed "autosufficiente"- categoria dell'indignazione. Chi sia entrato in un carcere almeno una volta sa che questo è lo stato dell'arte presente in qualsiasi prigione italiana, ed è l'effetto delle funzioni materiali e latenti del sistema detentivo, dell'essere della sanzione, che deve necessariamente sopprimere ogni autonomia, che produce rapporti di disuguaglianza anche attraverso l'applicazione selettiva della sanzione, che

enfatizza la dimensione emarginativa della reazione pubblica nei confronti della popolazione criminale, imputabile o non imputabile. Insomma l'orrore è connaturato alla valenza simbolica dell'istituzione, che lungi dall'essere assorbita dalla struttura burocratica o sanitaria degli organismi di gestione della sanzione realizza l'archetipo fondante il diritto penale contemporaneo e democratico: la realizzazione della volontà generale, della maggioranza, l'incarnazione della vox populi declinata nei principi materiali della vendetta o della neutralizzazione/terapia dell'anormale da curare, compatire e, nominalmente,

perdonare. (366)

In conformità al suo statuto terapeutico ed alle sue finalità totalmente sostanziali la sanzione genera neutralizzazioni estremamente efficaci rispetto alle esigenze di custodia.

La Commissione Parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio Sanitario Nazionale nella sua relazione sulle condizioni di vita e di cura all'interno degli ospedali psichiatrici giudiziari che

riferisce i risultati dell'attività di indagine della commissione sui sei ospedali psichiatrici giudiziari (367) attualmente operativi nel nostro paese ci testimonia tale efficacia.

Un'efficacia raggiunta anche attraverso 1) la contenzione; 2) la detenzione indeterminata. 1) La contenzione:

‡"Presso l'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto trova il signor S. C. nudo, coperto da un lenzuolo; in

regime di contenzione attuata mediante costrizione a letto con una stretta legatura con garza, sia alle mani, sia ai piedi, che gli impediva qualsiasi movimento. L'internato presentava, altresì, un vistoso ematoma alla zona cranica parietale. In merito si prendeva visione del registro dei trattamenti di contenzione dal quale emergeva che questi non era indicato".

‡"Presso l'Opg di Napoli si constatava la presenza del Sig. E.V., che presentava un vistoso livido

ad un orbita oculare che non era riportato nel diario sanitario e che in data 16 luglio c.a. era stato sottoposto ad un periodo di contenzione";

‡"La presenza del Sig. M.D.F. che presentava ustioni alle mani ma che nulla era riportato nella

documentazione sanitaria".

‡"Nell' OPG di Montelupo si accertava che gli internati S.R. ed A.H. erano stati contenuti nella

giornata del 21 luglio 2010 e ciò non risultava registrato nel diario clinico".

‡"Nell'Opg di Reggio Emilia è stata accertata la presenza di un paziente in regime di

contenzione previa adozione di letto metallico fissato al pavimento ad apposite fasce. Quella addominale e quelle atte a tenere pressoché immobili gli arti, in merito si è presa visione del registro delle contenzioni ed è stato accertato trattarsi del sig. R. G., sottoposto a tale regime da 5 giorni essendo autore di atti di violenza che avevano messo a rischio sia esso stesso che operatori della polizia penitenziaria e sanitari. (...) E' stata accertata l'assenza di un campanello per richiamare l'attenzione degli operatori sanitari che si trovavano nella stanza attigua(..)" Tuttavia secondo medici ed infermieri dell'Opg di Reggio Emilia è stato possibile l'abbandono pressoché totale della pratica della contenzione attraverso una semplice operazione: liberarsi dalle restrizioni, attraverso "l'apertura delle camere/celle, di alcuni reparti per gran parte della giornata". 2) La detenzione indeterminata:

‡A Napoli "il direttore dell'OPG Stefano Martone riferiva che il 40 per cento degli internati è

detenuto in proroga ed all'uopo riportava il caso eclatante del sig M.L., il quale a fronte di una misura detentiva di 2 anni, risulta internato da ben 25 anni".

‡Nello stesso Opg la commissione "constatava la presenza del sig. N.D.P., internato da circa tre

anni nonostante abbia ottenuto dal magistrato di sorveglianza il parere favorevole al trasferimento in comunità terapeutica (in merito veniva rappresentata l'inesistenza di una struttura idonea sul territorio)".

‡Ad Aversa dalle informazioni rese da alcuni ospiti emergevano casi di misure di sicurezza

scadute da oltre 10 anni.

‡A Barcellona Pozzo di Gotto "sono stati intervistati vari ricoverati che rappresentavano, quasi

tutti, la loro permanenza negli Opg con detenzione in proroghe".

‡La stessa cosa si registra presso l'Opg di Montelupo Fiorentino. (368)

Durante l'indagine la commissione registrerà una prassi ampiamente diffusa in base alla quale anche i soggetti non più socialmente pericolosi con pericolosità grandemente scemata, definiti "dimissibili", sono in stato di internamento.

Un dato che, secondo la Dottoressa Carlotta Giaquinto, direttore dell'Ospedale psichiatrico Giudiziario di Aversa, si estende a tutte le strutture. Dettato dal fatto che la magistratura di sorveglianza "non revoca, non dimette i soggetti comunque sottoposti a misura di sicurezza, pur in presenza di una diagnosi che attesta la loro non pericolosità sociale, laddove non sia pronta ad affidarli a qualcuno". Testimoniando la difficoltà delle ASL di appartenenza dei ricoverati a farsi carico dell'affidamento, per questo si ritiene opportuno "una norma che preveda l'internamento direttamente in strutture ASL", una alternativa a priori all'internamento in Opg per non rendere vano quanto previsto dal DPCM 1º Aprile 2008.

"Attualmente nell'Opg di Aversa una ottantina di persone sono considerate dimissibili, nel senso che nei loro riguardi c'è un giudizio di cessata pericolosità sociale"; "però al magistrato questa prognosi da sola non basta per metterli in libertà vigilata". "Fino a quando non si comincerà a dimettere i soggetti non ritenuti non più pericolosi, non vi sarà modo di evitare il sovraffollamento". "Del resto le strutture sono

tutte come Aversa, cioè sono tutte in condizione di sovraffollamento" (369) Secondo il Dott. Adolfo Ferraro, referente sanitario dell'Opg di Aversa:

il 49 per cento (degli internati) si trova all'interno di questa strutture per un reato punibile con due anni di detenzione. Ciò significa che si tratta per lo più di reati bagatellari, cioè di reati non particolarmente gravi: oltraggio a pubblico ufficiale, maltrattamenti in famiglia, come nel caso del malato di mente che chiede ogni giorno 10 euro alla mamma per acquistare le sigarette; alla lunga la situazione esplode. Tutto questo produce, dal punto di vista generale, una sorta di imbuto dal quale questi soggetti non riescono ad uscire, con la conseguenza che rimangono nella struttura per un tempo abbastanza lungo (...) Non dobbiamo tralasciare il motivo più importante: un paziente del genere, che è difficile da gestire, comporta un costo minore per l'ASL di appartenenza nel momento in cui viene ospitato all'interno dell'Ospedale psichiatrico giudiziario.