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6.1.1) Nuove evoluzioni della psichiatria: la rivalutazione della componente biologica e le neuroscienze

Il tentativo più recente di dare una forma epistemica credibile alla nozione di pericolosità si è invece mosso nella direzione di inquadrare i giudizi di pericolosità sociale nella cornice della politica della "riduzione del rischio". Questa nuova definizione dello statuto della nozione di pericolosità, che evoca la suggestione di una sua oggettiva calcolabilità, in conformità ad una espansione incontrollata della

funzione di sicurezza e preventiva del diritto penale con valenze più simboliche che reali, (123) risulta

essere ancora una volta insoddisfacente.

A partire dagli anni '80 del novecento infatti sono tornate in auge le teorie che legano a spiegazioni della patologia e della criminalità di natura biologica, la sociobiologia arriva anche ad affermare nuovamente che tutta la vita sociale, comprese le diseguaglianze sono biologicamente determinate.

(124)

Le neuroscienze hanno invece proposto un modello che identifica la condotta umana con la funzioni

biologico-celebrali, (125) negando il dualismo, in realtà già considerato da molti superato sin da

Jaspers, tra mente e cervello, fondendo res cogitans e res extensa, rifiutando (più o meno

esplicitamente) la distinzione tra scienze naturali e scienze sociali (in favore delle scienze naturali) e tra fatti e valori (di fatto tentando di incorporare i valori nei fatti), negando come già aveva fatto la Scuola

positiva il libero arbitrio, (126) (tuttavia ponendosi con questa asserzione in una posizione di tipo

inevitabilmente metafisico). (127)

Le più recenti ricerche neuroscientifiche stabiliscono una correlazione tra disfunzioni del lobo frontale o del lobo temporale del cervello e comportamenti violenti od antisociali. Ad esempio alcuni studi

neuroscientifici evidenzierebbero come chi soffra del Disturbo Antisociale di Personalità, un disturbo psicopatologico caratterizzato da un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri avrebbe una minore quantità di materia grigia e una minore attività autonoma nelle aree prefrontali del cervello (quelle deputate all'ideazione astratta ed alla pianificazione ed al controllo del

comportamento ed in grado di filtrare e di ridurre le scariche emotive generate dall'amigdala e dal sistema limbico) o che sussisterebbe una relazione tra comportamento antisociale ed un gene responsabile di un enzima, il Monoamminaossidasi-A (MAO-A) che danneggia la serotonina (un

neurotrasmettitore capace di influire sul tono dell'umore e sull'aggressività). (128)

Proprio in virtù di questa specifica "vulnerabilità genetica" individuata a seguito indagini

neuroscientifiche, il Tribunale di Trieste, il 18 settembre 2009 ha assolto per infermità mentale e poi giudicato socialmente pericoloso un imputato che aveva inferto ripetutamente ferite ad un uomo con un

coltello causandone la morte. (129)

Il Tribunale di Como nel 2011 ha concesso la semi infermità mentale ad una donna che aveva ucciso la sorella e tentato di uccidere i genitori poiché i periti hanno riscontrato, con le tecniche di neuroimaging, una riduzione del cingolo anteriore del cervello ed è risultata portatrice di una variante di tre geni relativi alla serotonina, alla Monoamminaossidasi e al metabolismo delle catecolamine, tutti connessi ad un aumento del comportamento violento, è da rilevare che la perizia non ha cercato di individuare la presenza di fattori ambientali che in correlazione ai dati genetici fossero in grado di giustificare e

corroborare la malattia affermata. (130)

Anche in questa cornice epistemologica, fermi restando i limiti intrinseci di ogni chiave epistemologica

riduzionista e tendenzialmente monistica (131) che si manifesta quantomeno nella "traduzione" del

linguaggio neuroscientifico fatta a volte dai giuristi, la pericolosità sociale viene però vissuta da alcuni in modo problematico. L'idea che una lesione del lobo prefrontale o una alterazione dell'amigdala o altre

lesioni di aree del cervello, accertate attraverso tecniche di neuroimaging (132), possano essere

inequivocabilmente individuati come specifici fattori di predisposizione al comportamento antisociale si è formata in un contesto che si muove ancora in un campo pionieristico e speculativo.

Nessuna evidenza è in grado poi di dirci quale sia lo specifico fattore di incidenza di queste lesioni, salva l'ipotesi di lesioni estesissime, vista anche la mancanza di gruppi di controllo e l'impossibilità di quantificare la percentuale di individui che potrebbero avere queste disfunzioni pur senza manifestare

comportamenti violenti. (133) Manca in altre parole la precisa indicazione di quelle che dovrebbero

essere le misure anatomiche celebrali che dovrebbero considerarsi normali valutate sulla base di un ampio campione di individui magari differenziato per caratteristiche individuali (ma anche in questo caso i meccanismi di selezione non potrebbero che risultare soggettivi).

Basandosi su un paradigma epistemologico interamente naturalistico, identificando in alcuni casi la psicologia con la causalità fisica, le neuroscienze si espongono alla contestazione di rifiuto della complessità del suo oggetto di studio, per cui una struttura complessa come la mente difficilmente potrà trovare una spiegazione oggettivamente esaustiva appigliandosi esclusivamente ad un modello

computazionale. (134)

Le neuroscienze in quanto espressione delle cosiddette "Hard Sciences" - cioè di una forma di conoscenza di un sistema fisicamente osservabile e descrivibile qual è il cervello umano - necessitano di un supplemento epistemologico che ne assicuri l'utilizzabilità come

strumento per la comprensione dei processi mentali. (135)

Uno studio che si focalizzi esclusivamente sugli scambi neuronali tra le diverse aree celebrali non può in assenza di congetture inevitabilmente dotate di un ampio margine di soggettività fornire alcuna conclusione in ordine ai comportamenti ed alle dinamiche mentali ad esse collegate, ed è per questo che ancora il dibattito più serio e più complesso delle neuroscienze si muove su temi quasi metafisici, quali il libero arbitrio, le sede biologica del Se, le interrelazioni tra aree cognitive ed aree emotive del cervello nella formazione della coscienza e dell'esperienza del mondo o la possibilità della concreta esistenza del subconscio sfuggendo, nella maggior parte dei casi, ad ogni seduzione di immediata concretizzazione o volgarizzazione delle sue conclusioni. Consapevole delle diversità di metodo e di

discorso tra scienza e diritto, e dei rischi di fraintendimento in ordine alle questioni fondamentali. (136)

Con particolare riferimento al nostro ordinamento penale quando si parla di previsioni di pericolosità sociale di determinati soggetti[...] le problematiche (delle neuroscienze) sono senz'altro simili a quelle di prevedere futuri comportamenti criminosi sulla base del patrimonio genetico di una persona. Ma proprio la possibilità di ricorrere all'indagine genetica al fine di prevedere determinati comportamenti ci insegna che:

1. in primo luogo è la stessa possibilità di prevedere comportamenti su base genetica ad essere messa in discussione. Molte associazioni fatte in passato tra le

variazioni genetiche e le malattie sono poi miseramente fallite e, non a caso, due di tali clamorosi fallimenti hanno riguardato malattie mentali come la schizofrenia e il disordine bipolare;

2. in secondo luogo, la forza della previsione può variare enormemente da caso a caso;

3. infine, l'utilizzo di previsioni basate sulla genetica ha dato luogo a pratiche controverse.

[...] Riflettere sul rapporto tra neuroscienze e diritto penale è allora riflettere sui limiti del

diritto (libero arbitrio) e sul presupposto della punibilità. (137)

Sul suo essere e non sulla sua funzione. L'idea che si possano individuare dei "geni cattivi" o di una specifica neurochimica dell'aggressività viene considerata da Balaban una illazione illogica. Ma anche gli scienziati che ritengono invece scientificamente attendibile un legame tra genetica, neurochimica e comportamento antisociale affermano che tali conclusioni non dovrebbero incidere sulla giustizia

penale. (138) Michael Gazzaniga afferma che le Neuroscienze non saranno mai in grado di trovare una

correlazione tra il cervello e la responsabilità penale in quanto il problema della responsabilità è

connesso ad una scelta sociale che non esiste nelle strutture neuronali del cervello, (139) senza in

alcun modo pretendere un adeguamento dei principi normativi alle scoperte neuroscientifiche, proposte invece da qualche giurista. Anche Stephen Morse ha evidenziato come le categorie scientifiche

sviluppate dalle neuroscienze sono e debbano rimanere distinte da quelle del diritto penale. Poiché esse non potranno mai dire chi debba essere considerato responsabile e chi no, così come il diritto non sarà mai in grado di rispondere agli interrogativi scientifici. Morse afferma ironicamente che chi tende a sopravvalutare l'influenza biologica del cervello sul comportamento antisociale e sul crimine è affetto da

BOS, Brain overclaim Syndrome. (140) Tuttavia è innegabile che le neuroscienze, ponendosi come

specifico obiettivo la possibilità di individuare ed anche prevedere i processi mentali attraverso lo studio dei correlati biologici celebrali non possono che assumere rilevanza nel diritto penale, dove infatti viene

alla ribalta la nuova branca disciplinare denominata "Neuroscienze Forensi". (141)

Il problema fondamentale legato al rapporto di necessità tra fisiologia e comportamento deviante rimane comunque connesso ai riflessi che le eventuali semplificazioni di queste teorie potrebbero avere sul principio rieducativo o naturalmente sulla impossibilità di una cura effettiva della malattia mentale. Se attraverso una semplificazione delle ricerche neuroscientifiche venisse riproposta la retorica secondo la quale è lo stesso patrimonio genetico a rendere inevitabilmente deviante o malato, la politica di gestione del rischio non potrebbe che sfociare nella neutralizzazione e nel diritto penale d'autore. Poiché come sostiene Nikolas Rose, analizzando il progressivo spostamento della politica criminale statunitense verso la difesa sociale a scapito di una attenuazione della responsabilità del malato mentale.

"in questo contesto è probabile che gli argomenti della biologia siano destinati ad aver il maggior impatto non attraverso la mano degli avvocati difensori ma attraverso la definizione della sentenza. Se infatti la condotta antisociale è indelebilmente iscritta nel corpo del delinquente, ciò che si richiede non è mitigare la pena, bensì mettere l'individuo irredimibile in condizione di non nuocere per lungo tempo, in nome della sicurezza pubblica, anche se ciò significa rinunciare a molti principi informatori della riflessione giuridica, come quelli relativi alla proporzionalità tra crimine e punizione [...] attenuanti come la predisposizione genetica sono quindi armi a doppio taglio, che se possono rendere il crimine meno riprovevole segnalano nello stesso tempo la probabilità che il criminale possa essere pericoloso in futuro [...] A ciò si può aggiungere l'aumento delle richieste di carcerazione preventiva per "psicopatici", "pedofili" e altri individui mostruosi che si ritiene siano costitutivamente incorreggibili e rappresentino

una minaccia permanente per il pubblico" (142)

A questo punto il dubbio che pone l'asserzione della certa connessione causale tra alterazioni genetiche o lesioni celebrali e comportamento violento è "se siamo in grado di tollerare l'ipotesi che ciascun essere umano, nessuno escluso, possa deliberatamente compiere atti malvagi", se siamo in

grado di sostenerne la responsabilità collettiva che questo comporta. (143) Come già sostenuto la

psichiatria forense, in realtà, non ha ad oggetto situazioni e fenomeni in condizioni di rischio. Condizioni in cui le variabili incidenti sul fenomeno da valutare siano note, e in cui la probabilità degli esiti legati alle variabili siano quantificabili attraverso un calcolo ex ante. La psichiatria forense agisce

nell'incertezza, ed ignorando l'intensità delle incidenza delle variabili sui fenomeni ignora la probabilità

Partendo da queste premesse appare del tutto naturale la presenza di modelli differenti di sapere psichiatrico coesistenti in uno stesso momento storico, senza che nessuno di questi sia in grado realmente di dare conto della natura della malattia mentale e che possono, in quanto saperi non compiutamente verificabili o, viceversa, tutti dotati di una intrinseca validità, potersi integrare in un

modello composito quale quello bio-psico-sociale. (145)

Da questa multiformità epistemologica alcuni hanno dedotto che non si potrebbe in alcun modo ritenere giuridicamente ammissibile una perizia che segua un unico paradigma scientifico, poiché deciderebbe a priori quali dati raccogliere trascurandone altri che invece potrebbero rivelarsi decisivi alla luce di un'altro paradigma. I comportamenti psicopatologici (o sarebbe meglio dire gli statuti che li codificano ed in parte li costituiscono?) sono troppo variegati per essere decodificati, diagnosticati e trattati sulla

base di un unico modello interpretativo. (146)