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4.1) La Traviata ed i Calzini dell'Upim

La giurisprudenza in alcuni casi cercò di aggirare il rigido sistema delle presunzioni di pericolosità associate all'infermità mentale attraverso alcune forzature ermeneutiche delle norme sulla

colpevolezza, in particolare utilizzando una non usuale modalità interpretativa della suitas, regolata dall'art 42 c.p. al fine non dichiarato di eludere l'art. 222. Si avvertiva che l'equazione malattia e pericolosità non poteva più reggere dopo la sua totale negazione sul piano civile, erano inoltre note la totale incapacità degli ospedali psichiatrici giudiziari di svolgere qualsiasi attività terapeutica (nel 1982 nei 6 Opg esistenti vi erano solo 26 medici nei ruoli organici a fronte di una presenza di 2000 unita, comprendendo i detenuti in osservazione. La maggior parte dei medici poi non aveva alcuna

specializzazione psichiatrica ed era utilizzata solo per la malattie "comuni"). La natura disciplinare ed afflittiva delle misure di sicurezza e l'aumento degli internamenti a seguito della 180, forzava la

giurisprudenza a trovare vie traverse per fronteggiare una situazione sentita come non più sostenibile. Era dunque la colpevolezza a fornire un valido aiuto a quei magistrati che volevano evitare lunghi internamenti di natura sostanzialmente detentiva a fronte di reati bagatellari. L'art.42 c.p. recita testualmente al primo comma: "Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato se non l'ha commessa con coscienza e volontà". Secondo la dottrina la norma afferma che la condotta deve appartenere psicologicamente al soggetto che la compie e mira ad escludere la responsabilità in tutti quei casi in cui un soggetto imputabile, pur realizzando la condotta richiesta dalla legge, ne è privo di qualsiasi consapevolezza in modo incolpevole come nei casi di "incoscienza involontaria, di forza maggiore, o di costringimento fisico" fattori diversi dalla malattia mentale e per questo non passibili di applicazione di una misura di sicurezza. La Pretura di Padova si trovò di fronte al caso di Antonella Vitocco che "il 19 novembre 1981 si impossessò di calzini del valore

di lire 4500 (quattromilacinquecento) non pagandoli alla cassa dei magazzini UPIM di Padova". (86) Le

considerazioni della corte fatte per arrivare ad una decisione "clemenziale" sono una combinazione di garantismo giuridico e di descrizione sociale.

Un piccolo racconto di provincia che dipinge una donna "di buona estrazione sociale (che) ebbe la sventura di sposarsi con un individuo successivamente imputato in processi di banda armata e

quasi del tutto sconfitto ma il trauma del ricordo era ancora vivo. Proprio a pochi chilometri da quella pretura, tra Verona e la stessa città di Padova, il terrorismo aveva dato il suo colpo di coda ed esalato il suo ultimo respiro politico con il sequestro del generale Dozier tra il dicembre del 1981 ed il gennaio dell'82.

"La donna fu plagiata dal marito e coinvolta anche ideologicamente (...) l'imputata rimase gravemente

traumatizzata dagli eventi". (88)

La prova di questo trauma viene fornita da un soggetto percepito come importante all'interno della piccola comunità Padovana. "Esiste allegato al processo un particolareggiato certificato del prof. Gozzetti noto psichiatra padovano" che la descrive come soggetto non affetto da malattia mentale ma "neurolabile ed eristico, con possibilità di transeunti incoscienze e con risposte sproporzionate agli

stimoli". (89)

Inoltre l'imputata "ha scritto nella lettera inviata a questo ufficio [...] che, allorché il fatto fu commesso, essa trovavasi in uno stato confusionale. Tale affermazione è perfettamente compatibile con la predetta certificazione medica. [...] Pertanto nel caso di specie ricorre l'ipotesi dell'art.42 c.p., per cui si opta per il proscioglimento con formula piena per l'esclusione del dolo e del furto"

Secondo la psichiatria (per lo meno per le conoscenze degli anni '80) la mancanza coscienza intesa come consapevolezza di sé e delle proprie attività in relazione all'ambiente che prende in

considerazione la norma penale coincide con fenomeni di coscienza soppressa e non di coscienza

ottusa o coscienza ristretta tipica degli stati confusionali. (90) In sostanza gli stati confusionali

dovrebbero essere ricondotta all' infermità psichica disciplinata dall'art. 88 e 89 c.p. Sulla base dei parametri di psicologia e psichiatria quindi il caso non poteva assolutamente essere ricondotto alle fattispecie applicata dalla pretura padovana. "Sul piano tecnico medico legale non sembra esservi

dubbio che nel caso di specie si doveva prosciogliere previa perizia per vizio totale di mente". (91)

5) Perché solo la 139? La trilogia di sentenze della Corte

Costituzionale del 27 Luglio 1982

Quando le mie azioni rivelassero apertamente gli autentici sentimenti e la natura del mio cuore, allora non esiterei ad indossare il mio cuore sulla manica perché i corvi lo becchino. Io non sono quello che sono.(William Shakespeare, Otello, I, 1)

5.1) La sentenza 27 Luglio 1982 N.139. Presunzione di esistenza e

presunzione di persistenza

Con la sentenza n. 139 del 1982 la Corte Costituzionale, dopo essere stata sommersa da ben 22 ordinanze di rimessione aventi ad oggetto la legittimità costituzionale della presunzione di pericolosità degli infermi di mente, a riprova di un sistema avvertito come intollerabile dalla coscienza degli

operatori del diritto, (92) cercherà di apportare una modifica di tipo "liberale" alla normativa sugli

Ospedali psichiatrici Giudiziari. Essa affermerà che l'internamento dell'imputato prosciolto per infermità mentale in Opg deve essere subordinato al previo accertamento da parte del giudice di cognizione o dell'esecuzione della persistente pericolosità sociale derivante dall' infermità medesima.

La sentenza tuttavia solleverà impressioni discordanti nella dottrina penalistica. Enzo Musco e Giuliano Vassalli sono i due più importanti esponenti di questo contrasto.

Vassalli, pur affermando che l'intervanto della Corte Costituzionale passa attraverso "la cruna dell'ago", ritiene che la sentenza abbia intaccato definitivamente la struttura della pericolosità presunta per l'infermo di mente, mentre Musco si chiederà se dopo questa sentenza abbia ancora un senso coniugare costituzionalità e razionalità.

Riportiamo sinteticamente alcune argomentazioni della corte:

La misura di sicurezza del ricovero obbligatorio in ospedale psichiatrico giudiziario costituisce la risposta alla pericolosità del soggetto; risposta modellata sulla specifica ragione (causa) di questa ritenuta pericolosità vale a dire l'infermità psichica quale si estrinseca nel delitto commesso.[..]

La struttura presuntiva della fattispecie (art 222c.p.) rivela contenere una presunzione duplice: innanzitutto quella che ricollega infermità e pericolosità e che è quella che la Corte in precedenti pronunce ha già ritenuto non in contrasto con i criteri di comune esperienza. Ma l'applicazione della misura a distanza di tempo dal fatto [...] poggia su una presunzione ulteriore, concernente il perdurare (non della sola pericolosità ma) della stessa infermità psichica senza mutamenti significativi dal momento del delitto al momento del giudizio. Una simile presunzione assoluta di durata dell'infermità psichica [...] finisce per allontanare

la disciplina normativa dalle sue basi razionali. (93)

Le disposizioni di legge denunziate sarebbero indenni da vizi di costituzionalità se l'infermità fosse inalterata nel tempo. Il principio di uguaglianza, ex art 3 primo comma Cost., postulava per la Corte una razionalità del rapporto tra la presunzione di pericolosità e la durata e la persistenza dell'infermità. Vassalli, giustamente, saluterà la scomparsa definitiva delle presunzione di pericolosità degli infermi di mente dal nostro ordinamento visto che l'attualizzazione del giudizio di pericolosità sociale toccava il

punto essenziale della disciplina: il momento dell'esecuzione. (94)

Punto già intaccato dalla concessione della revoca anticipata della misura e dalla attribuzione al giudice di sorveglianza del relativo potere in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n.110 del 1974. Musco, invece, sottoporrà la sentenza ad un attacco serrato per quello che lui giudica un atteggiamento di forte chiusura della Corte Costituzionale al problema delle presunzioni. Afferma che il problema viene affrontato con notevole ritardo rispetto alla sua maturazione scientifica. Non riesce ad accettare come la Corte possa ritenere ancora operante la prima presunzione citata : quella tra pericolosità e malattia

mentale. Che è "dal punto di vista scientifico inconsistente ed arbitraria". (95) Afferma che la pretesa

violazione dell'art. 3 della costituzione appare inconsistente a fronte della palese violazione dei principi informatori della materia penalistica che dovrebbero essere il primo parametro per valutare la legittimità costituzionale delle misure di sicurezza. Primo fra tutti l'art 27 della Costituzione, che la Corte insiste a

non applicare alle misure di sicurezza. (96) Ma quello che ci pare essenziale è che Musco sottolinea

che la Corte con la sua ambiguità sfugge al vaglio critico della natura e dell'oggetto del giudizio prognostico, la follia o la pericolosità?

"Oggi nell'ambito di questo settore di ricerca dominano piuttosto la delusione e la stagnazione l'attuale prognosi criminale non ha ancora superato il suo stadio sperimentale e continua a dimostrare grosse

lacune". (97) E soprattutto muove una critica non contestabile: la critica alla comune esperienza come

elemento base di una costruzione giuridica che porta ad una sanzione, ad una limitazione della libertà personale:

Non è certo un caso e nemmeno un astuzia della ragione il fatto che le presunzioni di pericolosità- come scrive la Corte e non solo nella sentenza oggetto di queste note - siano stabilite dal legislatore sulla base di "presupposti razionalmente idonei a fondarle" e che questi presupposti siano poi identificati "con i criteri di comune esperienza". In queste formulazioni la genericità estrema della regola di giudizio evoca nella sua massima espansione l'aberrazione di una qualifica ottenuta sempre per categorie normative: l'aberrazione di un giudizio ideologico, lecito, e, se si vuole auspicabile in un regime di

stampo autoritario, ma soltanto esecrabile in uno Stato di diritto. (98)

Con la sentenza n. 249 del 1983 si estenderà, a fortiori, l'illegittimità della presunzione di persistenza ai

seminfermi, prevista dall'art. 219 commi 1 e 2, c.p. (99)

5.2.) Le Sentenze 27 Luglio 1982, n. 140 e n. 141: la configurazione di un

sottosistema

Anche se Vassalli aveva ragione nel sostenere che l'intervento della Corte avrebbe certamente

demolito l'impianto presuntivo predisposto da Rocco per i prosciolti per infermità mentale, Musco aveva colto con precisione il fatto che la Corte voleva confermare la configurazione giuridica di un

sottosistema autonomo, che ripeteva le sue caratteristiche quasi in tutti i sistemi giuridici occidentali. La stessa Corte Suprema degli Stati uniti avrebbe basato infatti l'impianto sanzionatorio destinato ai malati mentali sulle stesse costanti, tra le quali spiccavano la non punibilità dell'infermo di mente e la comune esperienza come fonte di conoscenza del rapporto di identità tra pericolosità e malattia mentale, salvate dalla sentenza n. 139 attraverso la distinzione tra presunzione di esistenza e presunzione di persistenza della malattia mentale e l'assenza di colpevolezza come presupposto per l'applicazione di un rigido sistema neutralizzativo.

La sentenza n.139 richiamandosi alle precedenti sentenze, al criterio dell'id quod plerumque accidit, o ad un necessario intervento del legislatore aveva infatti eluso:

‡Il problema delle modalità di cura dell'internato, in particolare se esse dovessero sottostare ai

limiti dettati dal necessario rispetto della persona umana ex art. 32 Cost. In particolare: "il rispetto della persona umana, ed i limiti che esso impone, possono ricondursi all'esigenza fondamentale e primaria consistente nella necessità che il soggetto sia in ogni caso riguardato e trattato come un valore in sé, e non degradato a mezzo per perseguire finalità estranee, secondo il principio che è alla base del nostro ordinamento costituzionale (art. 2 Cost.). Trasferendo tali esigenze al trattamento sanitario obbligatorio, non è difficile scorgere che il primo limite, imposto dal rispetto della persona umana, consiste nella necessità che sia assicurato un accertamento medico tecnicamente corretto dei presupposti del trattamento, perché soltanto questa condizione assicura che la limitazione imposta alla libertà del soggetto corrisponde ad una sua effettiva necessità terapeutica, senza la quale il trattamento stesso costituirebbe un mezzo realizzato per fini diversi dalla cura, e quindi, estranei alla persona che lo subisce" (ordinanza G.I. Pisa, 18 febbraio 1978).

‡Il fatto che vi fosse una distorsione della funzione di risocializzazione nei casi in cui la malattia

fosse stata curabile ambulatorialmente attraverso l'utilizzo di una misura di sicurezza meno restrittiva come la libertà vigilata mentre la norma prevedeva esclusivamente la misura dell'Ospedale psichiatrico giudiziario, fondata sulle preminenti finalità di difesa sociale (ordinanza Trib. Sorv. Roma, 20 maggio 78).

‡La questione della preminente se non esclusiva funzione securitaria dell'Ospedale psichiatrico

giudiziario, dove il trattamento dell'internato si riduceva ad un internamento carcerario ed afflittivo, che portava ad una grave disparità di trattamento tra malati di mente "civili" e "folli rei" (ordinanza Sez. Sorv. Bologna, 7 dicembre 1978 ma un argomentazione simile anche in ordinanza Trib. Como, 16 novembre 1979 e Trib. Milano, 4 febbraio 1980).

‡Il carattere inumano e degradante del trattamento in manicomio giudiziario che comporterebbe

la violazione dell'art 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e quindi del principio di cui all'art 10, primo comma Cost. (ord. Trib. Milano, 4 febbraio 1978).

‡Il fatto che la durata minima dell'internamento fosse ricollegata al solo parametro della pena

comminata in astratto. E, in particolare, come precisato dalla giurisprudenza, ricollegata alla pena massima irrogabile (computando le aggravanti e non le attenuanti), impedendo ogni possibilità di valutazione differenziata dei singoli casi concreti (ord. Trib Milano, 4 febbraio 1978); sfuggendo in tal modo al collegamento che dovrebbe esservi tra pericolosità e fatto concreto e quindi in violazione dell'art 3 Cost (ord. Trib Pisa 23 febbraio 1980), soprattutto nel caso in cui venissero addebitati reati in astratto gravi ma in concreto di lieve entità per le particolari modalità di commissione del fatto (ord. G.I. Grosseto 20 maggio 1981). In questo caso la Corte aveva utilizzato un altro argomento costante funzionale al mantenimento di un sottosistema penale: il far riferimento al massimo della pena edittale, e non alla pena

concretamente irrogabile tenendo conto di eventuali attenuanti, discendeva in modo coerente dal presupposto che l'applicazione della misura dipende da una sentenza di proscioglimento e non di condanna e garantiva l'applicazione della misura in tutte le situazioni normativamente descritte con pieno rispetto del principio di uguaglianza. L'assenza di colpevolezza si traduceva quindi, nella maggior parte dei casi presentati, in un aggravamento della misura afflittiva, la mancanza di colpevolezza aumentava in concreto la sanzione.

Dalle ordinanze di rimessione, che pur colpivano quasi esclusivamente le presunzioni di pericolosità dettate dall'art. 222, trapela il desiderio di rimettere in discussione l'intero sistema della misure di sicurezza, i giuristi sentivano come il sistema fosse obsoleto ed essendo mutato il clima culturale e gli orientamenti relativi al rapporto tra violenza e follia credevano di poter trovare una sponda nella Corte Costituzionale, affinché si potesse trovare il modo, attraverso le norme costituzionali, di vincolare a più stringenti garanzie la basi granitiche e rigide di un sistema poi sviluppatosi in modo elastico e

sfuggente.

I diversi sentimenti della Corte Costituzionale emergono però con maggior vigore in altre due sentenze depositate nello stesso giorno della 139: il 27 luglio. Due pronunce che mostrano il chiaro intento di fissare in modo preciso i cardini cui il sistema delle misure di sicurezza debbono ispirarsi. Con la necessità di descrivere un sistema.

Nella sentenza 141 la Corte affermava la legittimità costituzionale dell'art 88 c.p.p., in riferimento agli artt. 3, primo comma e 27, secondo comma, Cost., nella parte in cui disponeva il ricovero in un

ospedale psichiatrico giudiziario nei casi di sospensione del procedimento penale per infermità psichica sopravvenuta. In quanto l'imputato, anche in stato di libertà, doveva considerarsi pericoloso per se o per altri, non sulla base della fattispecie di pericolosità sociale stabilità dall'art 203, connessa all'art 206 riguardante l'applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, bensì in quello corrispondente

"all'accezione comune del termine adottato dall'abrogata legge sui manicomi e gli alienati". La legge del 1904. Una legge scomparsa dall'ordinamento da quattro anni ma utilizzata ancora dalla Corte

Costituzionale come criterio ermeneutico, perché "accezione comune"; non norma ma massima di comune esperienza; non vincolo giuridico ma principio assiologico con cui piegare e disapplicare la legge 180, il diritto vigente; il senso comune, smentito dalla stessa scienza, trasformato in diritto naturale. La pericolosità dimostrava ancora tutta la sua forza.

Anche la persona sotto processo a piede libero, veniva sottratta dalla disciplina dettata dalla 180 per essere internata all'interno di un Opg a tempo indefinito senza essere stato condannato, né assolto per infermità mentale. Per la Corte ciò era possibile anche perché in questo caso l'internamento non aveva natura sanzionatoria ma "di prevenzione sociale". La mera sottoposizione al processo penale

legittimava questa disparità di trattamento. L'ipotesi prospettata dal giudice a quo di un trattamento farmacologico in stato di libertà era per la Corte inaccettabile. Lo statuto penale e costituzionale della follia è ancora una volta peggiorativo, degradante anche senza il bisogno di arrivare ad una decisione giurisdizionale che stabilisca innocenza o colpevolezza.

Vassalli, seguendo un criterio nominale, concorderà con la Corte nell'affermare che l'internamento ex art 88 c.p.p. non rientrava nel campo delle misure di sicurezza in quanto queste risponderebbero a fini di prevenzione speciale legate alla pericolosità criminale. L'internamento previsto dall'art. 88 c.p.p.,

invece, mirerebbe a contenere la pericolosità degli infermi di mente, (100) riproponendo una naturale

correlazione tra malattia mentale e pericolosità, superata scientificamente e giuridicamente ma evidentemente ancora presente nello statuto teorico penale costruito attorno all'infermo di mente. Manacorda, invece, censurerà la decisione ricordando che "E' accaduto in più di un'occasione che imputati per reati di varia natura ed entità siano stati ricoverati in Opg per tempi assurdamente lunghi

(perfino 50 anni) a procedimento sospeso", (101) e come l'internamento sia dal punto di vista

psichiatrico un potente fattore di regressione "sociale, relazionale, esistenziale e quindi psichica"; (102)

che molti casi giunti anche alla cronaca hanno mostrato come proprio gli internati ex art. 88 c.p.p.

mostrassero i segni di un vistoso peggioramento della loro salute psichica. (103) Sottolinea come la

decisione implichi una scelta regressiva rispetto alla disciplina della 180. L'affermazione della funzione curativa dell'Opg è, per Manacorda, in totale contrasto con le acquisizioni scientifiche in tema di salute mentale. "Non si capisce come la detenzione in Opg (perché di detenzione si tratta ) possa per

l'imputato rivelarsi più vantaggiosa della detenzione in carcere visto che essa è moto più vessatoria e

induttrice di regressione di quella carceraria". (104) Ma quello che è più contestabile, meno

condivisibile, è, per Manacorda, proprio il riferimento alla nozione di pericolosità di una norma abrogata e per giunta nata 78 anni prima della decisione, ormai superata giuridicamente e scientificamente.

Proprio la sua obsolescenza avrebbe dovuto far capire alla Corte l'inconsistenza del suo valore. (105)

Con l'ulteriore sentenza 140 del 27 luglio 1982 la Corte dimostrerà di voler comunque mantenere in vita il sistema presuntivo in materia di misure di sicurezza dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 25 comma 3 Cost., dell'art. 102 c.p. che stabiliva la presunzione di pericolosità del delinquente abituale. Affermando che il sistema delle misure di sicurezza era un sistema misto fondato in parte sulla pericolosità concretamente accertata e in parte sulle pericolosità presunta. Mentre l'art. 25, invocato dal giudice a quo, presupponeva esclusivamente che vi fosse una determinazione legale sufficientemente precisa dei presupposti delle misure di sicurezza.

Questa Corte ha più volte, ed anche recentemente (sentenza n. 139/82) riconosciuto la legittimità in via di principio, nel campo delle misure di sicurezza, del ricorso a presunzioni legali di pericolosità, cioè a tecniche normative di tipizzazione di "fattispecie di pericolosità" cui collegare l'applicazione obbligatoria ed automatica di determinate misure,

indipendentemente da ogni altra considerazione e da eventuali ulteriori accertamenti. Ha precisato inoltre, che qualora tali presunzioni siano razionalmente fondate su "comuni esperienze" (cioè sull'id quod plerumque accidit), esse, lungi dal contrastare col principio di legalità contenuto nell'art. 25, ultimo comma, Cost., ne costituiscono una diretta e naturale applicazione, essendo insita in tale principio "l'esigenza di una determinazione legale sufficientemente precisa dei presupposti delle misure di sicurezza" (sent. n. 139/82). La riserva di legge sancita nell'art. 25, ultimo comma, Cost., in altri termini, demanda alla competenza esclusiva del legislatore la determinazione degli elementi

costitutivi delle fattispecie condizionanti l'applicazione delle misure: sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stesso anche lo stabilire se e quali spazi sia opportuno riservare all'accertamento ed alla valutazione discrezionale del giudice in relazione al singolo caso concreto.

Sulla base di tali considerazioni è agevole riconoscere il fondamento razionale della qualificata presunzione di pericolosità criminale che si esprime nell'abitualità nel delitto.

Anche se la decisione toccava soggetti imputabili la dottrina ne traeva conseguenze di natura generale.