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LA FEDERAL RESERVE AL TEMPO DELLA CRISI E COSA HA FATTO PER USCIRNE

E L'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA

4.13. ESISTE ANCORA UN SOGNO EUROPEO?

L'Europa unita ha vissuto e sta vivendo un periodo tra i più drammatici, dal punto di vista politico, istituzionale, culturale, sicuramente sussiste un nesso causale tra la crisi economico – finanziaria e quella istituzionale. Un vero circolo vizioso che si autoalimenta. Di emblematica gravità è il risveglio del nemico per antonomasia della storia europea: il nazionalismo economico, e non sembra ancora molto chiaro se le forze antagoniste siano all'altezza della sfida; essere all'altezza significa prima di tutto cercare di cambiare sé stessi, attraverso il superamento di conformismi, luoghi comuni, subalternità culturali, guardando al progresso e alla coesione. Paul Krugman parla di “trappola della timidezza”, se per il Premio Nobel, il Giappone deve fuggire dalla trappola dell'inflazione, la trappola della timidezza è invece fonte di incapacità, essa è la costante tendenza degli operatori che hanno idee giuste, in linea di principio da mettere in atto, mezze misure, ma tale comportamento finisce per ritorcersi contro politicamente ed economicamente.197

La forza con cui si è abbattuta la crisi in Europa, ha reso evidenti le lacune gravi del progetto europeo, recando con sé il bisogno di riforme. Il punto dolente resta tuttavia: in quale modo? Numerosi passi avanti sono stati compiuti, altrettanti ne restano. Ma andando per ordine, come ho avuto modo di spiegare all'inizio del capitolo, purtroppo l'Unione Monetaria Europea di Maastricht sembra esser nata incompleta, critiche son state avanzate sin dall'inizio; che l'onda partita oltreoceano si sarebbe potuta abbattere sul Vecchio continente era stata un'opzione possibile. L'euro sembra essere divenuto espressione dell'Unione economica e monetaria, ne è divenuto quasi il collante. È necessario invece rendere più chiare quelle che sono le

197PAUL KRUGMAN, “The timidity trap” - The New York Times (20 Marzo 2014)

potenzialità dell'Unione Europea, essa ormai è la tappa più avanzata, il prototipo, ovunque globalmente riconosciuto di un processo di integrazione a livello continentale. L'ideale di una pace perpetua, almeno da un punto di vista istituzionale sembra, ancora lontano, ma non irrealizzabile. Si tratta di recuperare a livello europeo una sovranità, che a sul fronte nazionale sembra essere sempre più sfumata, basti pensare che l'adozione a Maastricht della Moneta unica si doveva da un lato alla necessità di garantire le condizioni per una corretta operatività del mercato unico, dall'altro alla scelta politica di correre un rischio da parte di chi avrebbe voluto sin dal 1992 coniugare la moneta unica con un corrispondente strumento di politica economica e fiscale a livello europeo. Non si può tornare indietro, sarebbe irrealistico ed utopico, ma imparando dagli errori si guarda avanti.

Non è facile dare una risposta alla crisi, non esiste una soluzione unanime, ma l'idea tutt'ora più diffusa, che la democrazia possa trovare piena realizzazione solo a livello di Stato nazionale dovrebbe essere superata. E' evidente come tale refrattarietà sia espressione, o forse ancor di più una copertura, dell'avversione verso il recepimento di un modello sovranazionale da parte del potere politico, in fondo la sovranità non viene mai ceduta con benevolenza e volontarietà. La globalizzazione non solo economica, ma anche giuridica “irreversibile” lasciano trasparire che solo un potere pubblico sovranazionale, ampio nello spazio, negli atti e strumenti potrà favorire a mantenere un equilibrio stabile e duraturo.

Ha detto Jürgen Habermas “rinunciare all'Unione europea

CONCLUSIONI

Tutte le crisi, ciascuna con le proprie peculiarità, seguono percorsi simili, ma non tutte presentano un'escalation tale da arrivare al risultato estremo di un default del debito sovrano. All'indomani del

crac, sia gli addetti ai lavori della finanza, sia i regolatori si

chiedevano quali fossero stati gli errori di previsione e a chi attribuire una tale responsabilità.

Molti osservatori di fatto avevano adombrato delle previsioni negative, costituendo una scomoda realtà, difficilmente fu ascoltata. Da Stiglitz a Roubini, dal finanziere George Soros a Stephen Roach di Morgan Stanley sino all'esperto del mercato immobiliare Rober Shiller della Yale University, tutti economisti della scuola keynesiana, concordi sul fatto che i mercati non si correggono da soli. All'opposto gli artefici della bolla rimanevano nella convinzione che i mercati sarebbero comunque stati capaci di autocorreggersi. In realtà diversi erano stati i segnali che interpretati lanciavano presagire uno scoppio della bolla.

Probabilmente questa ormai può sembrare una questione risalente nel tempo, gli effetti della crisi sono storici, e quello che ormai sempre più interessa è la ricerca di nuove soluzioni e prospettive. Eppure nel momento in cui si scrive, l'economia sembra essere nuovamente in bilico, l'instabilità del mercato cinese e di quello del petrolio, il timore di nuovi attacchi speculativi in Italia, richiedono una certa attenzione e delicatezza nell'essere affrontati. Tanto che lo stesso Nouriel Roubini, Professore alla New York University in un'intervista del 18 Gennaio 2016 ha messo in allerta contro “oscuri presagi”, nonostante non si possa ancora parlare, per

fortuna, di un nuovo 2008 non si possono non rilevare preoccupanti parallelismi.

Per queste ragioni, guardare oggi alle crisi vuol dire saper interpretare possibili criticità per l'adozione di tutte le idonee misure per evitare un rapido ripetersi del ciclo negativo. In questo modo essa rappresenta non solo un qualcosa da evitare, ma anche un'opportunità di crescita e sviluppo di nuovi saperi per il futuro.

Un approccio utile sembrerebbe quello basato sui segnali premonitori, tale modello non individua con esattezza la data in cui la bolla scoppierà, né fornisce un'indicazione sicura della gravità della crisi incombente, ma consente validamente di mettere a disposizioni informazioni preziose capaci di far intendere se un'economia presenti o meno sintomi classici di una grave patologia finanziaria. Esiste comunque un limite al successo di un tale modello, costituito dalla tendenza radicata dei policy maker e degli operatori del mercato ad intendere i segnali come residui, arcaici e irrilevanti, espressione di un contesto ormai lontano; per cui i segnali alla lunga verranno in larga misura trascurati.

Un ruolo importante invece nel ridurre i rischi, incentivando la trasparenza nello scambio dei dati e regolando l'applicazione i regolamenti relativi alla leva finanziaria potrebbe essere ricoperto dalle istituzioni internazionali, anche per una migliore qualificazione delle informazioni sul debito pubblico e delle garanzie ad esso connesse; nonché per una maggiore chiarezza nei bilanci delle banche. Spetterebbe poi ai policy makers prendere consapevolezza del fatto che le crisi bancarie sono fenomeni protratti nel tempo, ed occorre più Stato per scrivere regole idonee ad un più efficace funzionamento dei mercati.

rischio e rendendo sempre più accessibili i propri servizi ad un maggior numero di Paesi ed imprese può essere un importante strumentondi sviluppo economico, condotta necessariamente da operatori che dovranno operare in buona fede e con competenza, poichè i comportamenti di dubbia correttezza tenuti da diverse tipologie di operatori e istituzioni finanziarie hanno determinato un'erosione della fiducia e hanno palesato la incapacità da parte loro di gestione di quell'alto rischio legato ai prodotti della finanza strutturata. È emerso altresì che l'affidamento totale al principio autoregolamentazione non è in fondo una buona soluzione. Per cui si auspicano più profondi regimi idonei di supervisione e regolamentazione.

La crisi finanziaria ha lasciato degli insegnamenti: prima di tutto per raggiungere una stabilità dei prezzi è necessario ricercare e mantenere la stabilità finanziaria; secondo la complessità del sistema finanziario richiede una regolamentazione ispirata al giusto mezzo, che sia non troppo blanda, né poco incisiva. Regolamentazione e vigilanza devono mantenere il passo con l'evoluzione del settore finanziario. Basti ricordare che alle regole infatti era sfuggito lo “shadow banking”, che aveva ormai raggiunto negli Stati Uniti una fetta considerevole della complessiva intermediazione, le regole inoltre non son state sufficienti né ad evitare fenomeni spinti di concentrazione e crescita esponenziale delle dimensioni degli intermediari, ed hanno si son mostrate fortemente lacunose nella penalizzazione e perseguimento di operazioni tossiche, come quelle cresciute alle spalle dei mutui subprime. In questo senso diverse sono state le proposte per l'elaborazione di un' insieme di regole comuni, procedendo con fermezza e decisione verso la condivisione di responsabilità, cercando di superare tutte quelle che sono le

resistenze del settore. La strada da seguire sembrerebbe essere quella di rimuovere le incertezze al momento dello svolgimento di operazioni trasnfrontaliere, nonché di ridefinire i vincoli legali per la raccolta e condivisione delle informazioni sulle contrattazioni dei derivati nei mercati over the counter. Nonché al fine di corroborare e rendere più solido il sistema nel suo complesso bisognerebbe evitare che i rischi di tipo bancario possano migrare verso operatori non regolamentati, quelli appunto ombra, come è avvenuto nel mercato statunitense delle cartolarizzazioni.

La crisi, ha poi determinato, come più volte evidenziato nel corso di quest'indagine (nonché suo nucleo essenziale) un ripensamento del ruolo delle Banche centrali e degli strumenti a loro disposizione. Ad esse spetta un ruolo fondamentale, forte è infatti il legame di complementarietà tra la stabilità finanziaria e quella monetaria, talvolta ufficializzato proprio nel loro mandato, ma anche qualora non espresso a chiare lettere, ispirazione per le proprie scelte di policy, che nel continuo oscillare tra discrezionalità e regole, inoltre devono assicurare la continuità dei pagamenti pubblici, anche quando allo Stato pur solvibile viene impedito l'ingresso al mercato del denaro. Perseguendo tali obiettivi una Banca centrale si presenterebbe come una Banca nuova, in linea con le rinnovate esigenze di progresso.

Nelle operazioni di politica monetaria condotte dalla Banca Centrale persiste quindi un continuo oscillare del binomio “regole-

vs-discrezionalità”, la crisi ha insegnato, però, che un intervento ed

una valutazione meramente discrezionale può fallire o per difetto di informazione o per carenza di strumenti, ma anche che le regole sono utili nei rapporti con le esperienze passate, per cui anche in questo caso l'obiettivo è il mantenimento di un rapporto di reciprocità