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L’esperienza italiana: dalla codificazione francese al codice civile del 1942.

Nel documento Attività negoziale e interesse del terzo (pagine 65-75)

PROSPETTIVE STORICO-COMPARATISTICHE DEL PRINCIPIO DI RELATIVITA’.

5. L’esperienza italiana: dalla codificazione francese al codice civile del 1942.

Come più volte si è detto, il principio di relatività degli effetti del contratto è stato codificato, per la prima volta nell’era moderna, nell’ambito del codice napoleonico del 1804 che, successivamente, ha ispirato le codificazioni ottocentesche dell’Europa continentale.

Oltre all’articolo 1165 (che, come ricordiamo, così recita: “Les conventions n’ont

effet qu’entre le parties contractantes; elles ne nuisent point aux tiers, et elles ne lui profitent que dans le cas prévu par l’article 1121”), nell’ambito del Code civil si

rinvengono altre cinque disposizioni che precisano quali siano gli effetti che il contratto può o non può avere nei confronti dei terzi. Si tratta, nello specifico, degli articoli 1119115, 1120116, 1121117, 1122118, 1134119 del Code civil.

In Italia, le sopra citate disposizioni del codice napoleonico sono, in un primo momento, riprese dal Codice del Regno delle Due Sicilie (le norme suddette vengono, rispettivamente inserite agli articoli 1073, 1074 e 1088, comma 1). Nel codice in commento si rinviene, però, una differenza, rispetto alla normativa francese, per quanto concerne la promessa del fatto del terzo, rispetto alla quale si prevede, all’articolo 1074, che, in caso si rifiuto del terzo di eseguire la prestazione, il promissario non ha alcun diritto di regresso, ma semplicemente un diritto ad ottenere un’indennità.

La stessa impostazione è seguita, anche, dal codice parmense il quale agli articoli 1092, 1093 e 1107, pur riprendendo per intero le regole del Code del 1804, introduce, all’articolo 1094, un’importante novità: si prevede, infatti, un’enunciazione generale – che sarà poi inserita nel codice civile vigente120 – secondo cui “è valida la

stipulazione a vantaggio di un terzo, ogni qualvolta lo stipulante vi abbia interesse”.

115 Articolo 1119 Code civ.: “Nessuno, in generale, può obbligarsi o stipulare in suo proprio nome che

per sé medesimo”.

116 Articolo 1120 Code civ.: “Può alcuno obbligarsi verso un altro, promettendo il fatto di una terza

persona; salvo, contro il promittente, il regresso a quello a favore di cui si è obbligato, nel caso che la detta terza persona ricusi di prestarsi all’esecuzione dell’obbligazione”.

117 Articolo 1121 Code civ.: “Si può stipulare a favore di un terzo, ma solo se questa condizione sia

contenuta in una stipulazione che si fa per se stesso o in una donazione che si fa ad altri; la stipulazione non è revocabile se il terzo ha dichiarato di volerne profittare”.

118 Articolo 1122 Code civ.: “Si presume che ciascuno abbia stipulato per sé e per i suoi eredi ed aventi

causa, quando non sia espressamente convenuto il contrario o ciò non risulti dalla natura della convenzione”.

119 Articolo 1134 Code civ.: “Le convenzioni legalmente formate hanno forza di legge per coloro che le

hanno stipulate”.

120 Si veda, a tal proposito, l’articolo 1411 del codice civile vigente il quale così recita: “E’ valida la

Il codice civile albertino121 riproduce agli articoli 1206, 1207, 1208, 1209 e

1225, anch’esso, le disposizioni del codice francese; riprende all’articolo 1207 la disposizione, contenuta nel codice del Regno delle Due Sicilie, in materia di promessa del fatto del terzo prevedendo un’indennità (e non il diritto di regresso) a favore del promissario qualora il terzo si rifiuti di eseguire la prestazione; infine, diversamente da quanto previsto nelle codificazioni precedentemente citate, modifica la collocazione della disciplina relativa agli effetti del contratto verso i terzi dedicando alla materia un’apposita sezione (la Sezione VI) del testo legislativo in commento.

In particolare, l’articolo 1256 del codice in commento si fonda sul principio generale, elaborato dalla dottrina giusnaturalistica dell’ottocento e fondato sulla regola romanistica alteri stipulari nemo potest, secondo cui “le convenzioni non hanno

effetto che tra le parti contraenti; esse non pregiudicano ai terzi, né loro giovano, se non pel caso preveduto dall’art. 1208”. Nel successivo articolo 1257 si introduce l’azione

surrogatoria in virtù della quale i creditori possono esercitare tutti i diritti dei loro debitori; mentre all’articolo 1258 si disciplina l’azione revocatoria.

Il codice civile per il Regno d’Italia del 1865122, in materia di effetti del contratto

nei confronti dei terzi, introduce una modifica rispetto alla disciplina contenuta nel codice napoleonico (si tratta, in realtà, di una delle poche modifiche nella disciplina delle obbligazioni) sia per quanto concerne l’ordine delle disposizioni, sia per quanto concerne il contenuto delle stesse.

Nello specifico, la disciplina della materia è contenuta negli articoli 1123 (corrispondente all’articolo 1134 del codice francese rispetto al quale sostituisce il

121 Il codice civile albertino (o codice sabaudo) per il Regno di Sardegna fu promulgato da Carlo Alberto il 20 giugno 1837 ed entrò in vigore il primo gennaio del 1838. Dopo l’Unità d’Italia il codice albertino non fu automaticamente esteso a tutte le regioni italiane dove, invece, rimanevano in vigore le legislazioni precedenti. La prima legislazione civile uniforme per tutto il Regno d’Italia si avrà con il codice civile del 1865.

122 Il Codice Civile del 1865 ha rappresentato il primo codice civile del Regno d’Italia; fu emanato il 2 aprile 1865 e sostituì i codici e le leggi che vigevano, autonomamente e separatamente, negli Stati pre-unitari.

termine “conventions” con il termine “contratti”), 1127 (corrispondente all’articolo 1122 del Code civ.), 1129 (che riproduce il contenuto degli articoli 1119 e 1121 del

Code civ.) del codice in commento.

La disciplina si conclude con l’enunciazione generale contenuta nell’articolo 1130 (che riproduce il contenuto del corrispondente articolo 1165 del codice napoleonico) secondo cui “i contratti non hanno effetto che fra le parti contraenti; essi

non pregiudicano né giovano ai terzi, fuorché nei casi stabiliti dalla legge”.

L’impostazione seguita dal codice del 1865 non va, però, esente da critiche. Uno dei maggiori detrattori è Luigi Borsari123, il quale, innanzitutto, nota come la

disposizione contenuta nell’articolo 1130 del c.c. avrebbe dovuto essere inserita all’inizio della disciplina degli effetti del contratto nei confronti dei terzi o, quantomeno, avrebbe dovuto essere inserita subito dopo l’enunciazione della vincolatività del contratto nei confronti delle parti.

L’Autore, sopra citato, continua distinguendo fra contratti in danno del terzo e contratti a vantaggio del terzo argomentando la sua posizione sulla base di una serie di esempi tratti dalla tradizione romanistica124. Nel Commentario al codice civile del

1865 si osserva, anche, che il terzo non si deve intromettere in una convenzione da altri stipulata; ciò non toglie, però, che la medesima convenzione possa, più facilmente, giovare che non nuocere al terzo125.

Borsari, dopo aver discusso in merito alla posizione degli eredi e degli aventi causa (che non considera parti del contratto126), tratta di alcune questioni rilevanti tra

123 Si veda, L. BORSARI, Commentario del codice civile italiano, L. III, vol. III, pt. II, Torino 1877, sub art. 1130, pp. 266 e seguenti.

124 A tal proposito, L. BORSARI, Commentario al codice civile italiano, cit., nel quale si fa riferimento: all’accordo fra debitori per pagare i creditori, il quale non può pregiudicare quest’ultimi; alla solidarietà attiva; al pactum de non petendo che non può arrecare pregiudizio al terzo; al patto del procuratore in danno del mandante. Si tratta, nella sostanza, di una serie di ipotesi che ci permettono di comprendere quali fossero, all’epoca, i confini della materia che stiamo trattando. 125 Tra gli esempi fatti si possono citare i casi della confessione stragiudiziale fatta dal contraente e di cui beneficia il terzo creditore, e del patto a favore del venditore che giova al compratore.

le quali spiccano: la stipulazione per altri nel di lui nome; la stipulazione fatta nel nome del terzo da chi non abbia né rappresentanza legittima né mandato. Rispetto a tali problematiche l’Autore precisa, innanzitutto, che non è possibile stipulare per altri nel di lui nome; a ciò aggiunge che, in caso di stipulazione a favore del terzo, il suo diritto consiste nella semplice accettazione al fine di evitare la revoca della stipulazione medesima.

L’analisi della posizione di Borsari ci permette di comprendere quali fossero, nel corso dell’ottocento, le questioni problematiche relative agli effetti del contratto nei confronti dei terzi.

Se quella, appena, espressa può essere considerata la posizione dottrinale dell’epoca, occorre considerare, con un certo stupore, che, nonostante il rigorismo delle formule codicistiche e lo scarso interesse espresso, in materia, dalla migliore dottrina italiana, si registra un massiccio intervento giurisprudenziale.

La giurisprudenza italiana dell’epoca, infatti, a fronte delle rigorose affermazioni del legislatore ottocentesco, ci offre una ricca casistica che prende posizione su alcuni problemi, che ancora oggi, risultano rilevanti in materia di effetti del contratto nei confronti del terzo127.

In primo luogo, la giurisprudenza dell’epoca affronta alcune questioni preliminari. Innanzitutto, si definiscono i terzi e le parti128; inoltre, si individuano le

cosiddette obbligazioni strettamente personali che, come tali, vengono considerate intrasmissibili e non opponibili ai terzi129.

127 In questo senso, G. ALPA, A. FUSARO, Relazione introduttiva, in L. VACCA ( a cura di), Gli effetti

del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, cit. pp. 2 e seguenti.

128 A tal proposito, Trib. Bari, 3 giugno 1893, in Pisanelli, 1893, pagina 150, nella quale si stabilisce che i terzi sono “quelli che, non avendo interesse diretto nella convenzione, l’hanno bensì sull’oggetto

di essa, in quanto vi vantano un diritto proprio che potrebbe trovarsi pregiudicato quando si opponesse l’avvenuta convenzione”.

Per quanto attiene all’opponibilità130, viene, in primo luogo, presa in

considerazione la possibilità di opporre, agli aventi causa di uno dei contraenti, un patto a termine. In merito a tale ipotesi, la giurisprudenza (fra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento) ritiene che non si opponibile, agli aventi causa di una delle parti, il patto di cessione di privativa industriale o di brevetto di invenzione, qualora esso sia privo di data certa131. Viceversa, si ritiene opponibile il patto di riscatto contro

l’avente causa del compratore132.

Dubbi sussistono, invece, in merito all’opponibilità del pactum altius non

tollendi133; mentre si ritiene inopponibile al terzo il pactum de non petendo, qualora

non risulti il consenso del terzo134.

La giurisprudenza più copiosa dell’epoca subito successiva all’entrata in vigore del codice civile unitario del 1865, riguarda la figura del contratto a favore di terzo. Nonostante che il principio, secondo cui “nessuno può stipulare in suo proprio nome

fuorché per sé medesimo” (articolo 1228 c.c. 1865) venga inteso in modo rigoroso, si

applica, altrettanto ampiamente, la deroga dei contratti a favore di terzi. Tale figura viene considerata come eccezione rispetto alle regole tradizionali di origine romanistica che escludevano, come più volte ribadito, che il contratto potesse produrre effetti – favorevoli o sfavorevoli – nei confronti dei terzi. La giurisprudenza dell’epoca, per giustificare tale deroga, ricorreva ad artifici e integrazioni normative:

130 Secondo la Corte d’Appello di Bologna, 9 giugno 1899, in Mon. Giur., 1899, I, pagina 278, la regola generale in materia di opponibilità nei confronti dell’avente causa di una delle parti è nel senso che “le convenzioni che si trasferiscono tacitamente nell’avente causa sono quelle miste di

personalità e realità, non quelle afficienti direttamente un immobile, le quali non sono operative per l’avente causa se non in seguito alla trascrizione”.

131 In tal senso, Cass. Roma, 19 luglio 1889, in Legge, 1889, II, pagina 695. 132 Così, Trib. Termini, 29 maggio 1900, in Foro sic., 1900, pagina 522.

133 Secondo la Corte d’Appello di Catanzaro, 7 dicembre 1888, in Gravina, 1888, pagina 212, il

pactum altius non tollendi risulta opponibile se si tratta di servitù regolarmente trascritta nell’atto di

acquisto; nelle altre ipotesi, si ritiene che il pactum, in commento, sia un vincolo di natura personale invocabile dagli aventi causa del compratore, ma non da quelli del venditore che non abbia confermato il patto nell’atto di vendita; in tal senso, Cass. Torino, 9 dicembre 1905, in Giur. it., 1906, I, pagina 251.

nello specifico, si riteneva che “i patti a favore di terzi fossero stipulati nell’interesse di

uno dei contraenti”, oppure si riteneva che essi costituissero “la condizione di una convenzione”135.

Indipendentemente dalla massiccia produzione giurisprudenziale, nel periodo, in commento, non sono comunque chiari i confini della figura: una parte della giurisprudenza, infatti, riteneva che la stipulazione a favore di terzo fosse assimilabile ad una “ricognizione a favore del terzo del debito dello stipulante che è tenuto ad

eseguirla”136; altra parte della giurisprudenza sostiene che il diritto del terzo abbia

carattere di liberalità137; altri ancora ammettono che la dichiarazione unilaterale

possa produrre effetti a favore di terzi138.

Al di là dei dubbi sopra menzionati la giurisprudenza era, comunque, compatta nel ritenere, già all’epoca, che il requisito di validità della stipulazione a favore del terzo fosse rappresentato dalla necessaria sussistenza dell’interesse dello stipulante valutabile in denaro anche in modo indiretto139.

Nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore del codice civile del 1865 e la promulgazione del codice civile del 1942, al di là della massiccia opera della

135 Cfr. Corte d’Appello di Parma, 17 febbraio 1883, in Mon. trib., 1883, pagina 336. Sulla scorta degli artifici suddetti, si legittimavano, ad esempio, le pretese di una parrocchia beneficiaria di un contratto a favore di terzo (così Cass. Roma, 1 febbraio 1892, in Riv. dir. eccl., 1892, II, pagina 606); mentre si escludeva la validità di un contratto stipulato dal municipio, a favore di un cittadino in quanto quest’ultimo, essendo stato rappresentato nella stipulazione dal municipio, non poteva essere considerato terzo (così, Corte d’Appello Napoli, 6 agosto 1898, in Trib. giud., 1898, pagina 314). Per un’analisi più approfondita della giurisprudenza in materia, si rinvia a G. ALPA, A. FUSARO,

Effetti del contratto nei confronti dei terzi, cit., pp. 10 e seguenti.

136 Cfr. Cass. Napoli, 22 novembre 1904, in Riv. crit., 1904, pagina 245. 137 Così, Cass. Firenze, 16 novembre 1911, in Mon. pret., 1912, pagina 2108. 138 Così, Cass. Torino, 31 dicembre 1881, in Giur. tor., 1882, pagina 246.

139 Tale impostazione la si rinviene, tra gli altri, in C. FADDA, E. A. PORRO, A. RAIMONDI, A. VEDANI, (a cura di), Prima raccolta completa della Giurisprudenza sul Codice Civile, vol. V, Anni 1866-1915, Milano 1919, pp. 288 e seguenti; riprende lo stesso filone giurisprudenziale G. ALPA, A. FUSARO,

Effetti del contratto nei confronti dei terzi, cit. pagina 13. Per una posizione più restrittiva, Corte

d’Appello Firenze, 21 luglio 1888, in Annali, 1888, pagina 480, nella quale il contratto a favore di terzo viene riferito, esclusivamente, alle ipotesi in cui risulti che le parti avevano, come obbiettivo principale, il vantaggio del terzo al quale attribuivano un vero e proprio diritto.

giurisprudenza, non si registrano, nella materia degli effetti del contratto nei confronti dei terzi, eventi interessanti. L’unica cosa degna di nota è rappresentata dall’introduzione, nel Progetto di codice italo-francese delle obbligazioni del 1927, della formula secondo cui “i contratti non pregiudicano i terzi ma possono loro giovare

nei casi previsti dalla legge”.

Nell’evolversi del contesto, sopra descritto, si giunge, nel 1942, all’entrata in vigore del nuovo codice civile140 che, come abbiamo visto nel capitolo precedente,

all’articolo 1372 sancisce: “Il contratto ha forza di legge fra le parti. Non può essere

sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.

Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”.

La rigorosa affermazione dell’articolo 1372 c.c., come più volte ribadito, trae origine dalla regola romanistica Alteri stipulari nemo potest, e riproduce, nella sostanza, il contenuto dell’articolo 1130 del codice precedente. Pertanto, le maggiori novità della codificazione del ’42, si hanno nell’introduzione della disciplina del contratto a favore di terzo (articoli 1411-1413). Tali innovazioni sono giustificate con argomentazioni diverse nelle varie Relazioni del codice civile. Infatti, nella Relazione al Progetto di codice civile del 1936, si afferma che la vecchia regola del diritto romano, in virtù della quale non è possibile stipulare a vantaggio del terzo, “non è più

vera nel diritto moderno”141. Nella Relazione del Guardasigilli del 1941 ci si preoccupa

di precisare, discostandosi dall’orientamento giurisprudenziale degli anni precedenti che abbiamo sopra citato, che “l’interesse dello stipulante non deve essere

140 Tra i modelli che i redattori del codice civile hanno utilizzato per la scrittura del Libro IV si deve annoverare, oltre, al più volte citato, Code Civil francese, anche il Codice delle obbligazioni svizzero. Esso, nel capitolo III (articoli 110-113) enuncia una serie di regole, incomplete ma semplici, in materia di effetti delle obbligazioni nei confronti dei terzi.

141 Nella Relazione al progetto di codice civile del 1936 (R.C.R.), dopo aver affermato che il divieto di stipulazione a favore di terzo non è più conforme al diritto moderno, per non tradire del tutto la tradizione romanistica, si riteneva che la soluzione adottata dal legislatore italiano non fosse innovativa vista la presenza massiccia di eccezioni, al divieto di stipulazione a favore di terzi, che si erano affermante nella prassi dove, quindi, “il principio vero era quello della liceità del contratto a

necessariamente patrimoniale” e si aggiunge che se il terzo rifiuta la stipulazione in

suo favore, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante. Nella Relazione del Re del 1941 si giunge, addirittura, ad affermare che l’interesse dello stipulante è pleonastico, in quanto per ogni obbligazione, ex articolo 1174 c.c., è necessario un interesse.

Questo è, in linea di massima, il quadro della situazione all’indomani dell’entrata in vigore del codice civile del 1942. Vedremo, nel capitolo successivo, come, già dagli anni cinquanta, la dottrina e la giurisprudenza si siano impegnate nel superamento della rigida affermazione dell’articolo 1372 del codice civile, il quale, oggi, appare scardinato nella sua effettività.

Ciò che possiamo sottolineare, al termine dell’analisi storico-comparatistica compiuta in questo capitolo, è che, in primo luogo, la materia degli effetti del contratto nei confronti dei terzi trae le sue origini in principi e convinzioni estremamente radicati, con la conseguenza che l’ammissibilità della produzione, da parte del contratto, di effetti nei confronti dei terzi è il frutto di una lunga elaborazione durata per più di due secoli. Alcuni, in modo quasi ironico, hanno, come abbiamo già detto, giustamente affermato che il percorso che ha portato ai risultati attuali ha trasformato “una cittadella, arroccata sul colmo di una montagna, in una sorta di giungla estesa di

fattispecie e di questioni, che quella cittadella non solo ha assediato e conquistato, ma ormai completamente travolto”142.

A questa constatazione si può aggiungere che, al di là delle diverse esperienze, l’idea secondo cui il contratto ha effetto solo fra le parti ha rappresentato una colonna portante del diritto dei contratti europeo. Infatti, se nell’Europa continentale il principio trova la sua affermazione nella codificazione ottocentesca, nel diritto inglese, con la dottrina della privity of contract, si richiama la stessa idea.

142 Cfr. G. ALPA, A. FUSARO, Relazione introduttiva, in L. VACCA (a cura di) Gli effetti del contratto nei

Pertanto, le convergenze che si possono scorgere nelle diverse esperienze europee mettono in luce l’esistenza di una sorta di matrice comune europea fondata sull’esaltazione del ruolo del consenso come base fondante del rapporto contrattuale.143

È, altrettanto, chiaro che in ogni esperienza considerata144, o per via dottrinale,

o per via giurisprudenziale, o per via legislativa si è cercato di superare il dogma della relatività contrattuale e di contemperarlo con altri principi ed altre esigenza, comunque, meritevoli di tutela.

143 Si veda, a tal proposito, M. GRAZIADEI, I terzi e gli effetti contrattuali: una prima riflessione

comparativa, in L. VACCA (a cura di), Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, cit. pp. 150 e seguenti.

144 In tal senso, G. ALPA, A. FUSARO (a cura di), Effetti del contratto nei confronti dei terzi, cit., pagina 15, nel quale si sottolinea come, in “ognuna delle esperienze considerate, il superamento è

stato praticato dalla fonte giuridica più forte: in Italia e Francia dalla giurisprudenza, in Germania dalla dottrina, in Inghilterra è stato necessario progettare l’intervento legislativo”.

CAPITOLO 3

TENTATIVI DI SUPERAMENTO DEL PRINCIPIO DI RELATIVITA’ DEGLI EFFETTI

Nel documento Attività negoziale e interesse del terzo (pagine 65-75)

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