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L’attuale valenza della relatività contrattuale.

Nel documento Attività negoziale e interesse del terzo (pagine 97-101)

PROSPETTIVE STORICO-COMPARATISTICHE DEL PRINCIPIO DI RELATIVITA’.

TENTATIVI DI SUPERAMENTO DEL PRINCIPIO DI RELATIVITA’ DEGLI EFFETTI CONTRATTUAL

2. L’attuale valenza della relatività contrattuale.

Come è, ormai, noto l’articolo 1372 del c.c., dopo aver sancito che il contratto “ha forza di legge tra le parti”, afferma, al secondo comma, che lo stesso “non produce

effetti rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”. Nella prima parte si è, più volte,

ribadito che, nonostante il rigore della formula adottata dal legislatore del ’42, il problema degli effetti del contratto nei confronti dei terzi è, in realtà, molto più complesso ed articolato di quanto possa sembrare dalla semplice lettura esegetica della norma del codice civile.

Come è, infatti, emerso dall’analisi della dottrina e della giurisprudenza in materia, la questione deve essere necessariamente vista in un’ottica più ampia partendo dal presupposto che il contratto, come ogni altro rapporto giuridico, opera, non di per sé in un contesto chiuso, ma all’interno dell’intero sistema. In questo senso, quindi, il problema, affrontato sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, è stato quello di distinguere fra il contratto come realtà obbiettiva, come fatto sociale che rileva, in quanto modificativo dello status quo, verso la generalità dei consociati, ed il contratto come fonte produttiva di effetti nei confronti di determinati soggetti estranei al rapporto che lega i contraenti.194

Il principio di relatività, nonostante il suo rigorismo, non è un dogma attorno al quale si stabiliscono delle regole fra loro coerenti. Esso, tutt’al più è chiamato a svolgere una funzione di coordinamento della materia degli effetti del contratto

194 In questo senso, M. FRANZONI, Il contratto e i terzi, in P. RESCIGNO, E. GABRIELLI (a cura di),

Trattato dei contratti, cit., pp. 1183 e ss.; N. LIPARI, Fonti del diritto e autonomia dei privati, in Riv. dir. civ., 2007, pp. 728 e ss.; F. ALCARO, M.L. BANDINELLI, M. PALAZZO, Effetti del contratto, in P.

PERLINGIERI (a cura di), Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, cit., 59 e seguenti.

rispetto a certi concetti di tradizione romanistica e giusnaturalistica. Ciò, spiega per quale ragione, accanto alla regola formale, secondo cui, il contratto “non produce

effetti rispetto ai terzi”, si sia sviluppata, come è stato già messo in luce, una sorta di

“giungla estesa di fattispecie e di questioni”195 che si pongono come eccezioni, più o

meno, ampie al principio di relatività contrattuale.

Tale constatazione iniziale ci porta a riflettere sull’effettivo significato del principio in commento, il quale, inteso nel senso rigoroso attribuitogli dalle codificazioni europee ottocentesche, soffre di un’evidente contraddizione. Da un lato, infatti, sono necessarie, pena la paralisi del traffico giuridico, eccezioni alla regola generale del divieto di produzione di effetti nei confronti dei terzi; dall’altro lato, non sono previsti all’interno del sistema criteri in grado di garantire una certa coerenza alle diverse ipotesi eccezionali.

La contraddizione suddetta probabilmente deriva dal fatto che la regola posta dall’articolo 1372 c.c. è, a livello esegetico e letterale, composta da parole ed espressioni polisemiche alle quali possono, appunto, essere attribuiti diversi significati: come si è visto nei paragrafi precedenti, per esempio, il contratto può essere inteso sia come fatto che come atto giuridico; ed ancora lo stesso termine “terzi” può condurre a diversi significati (sono terzi coloro che rimangono estranei alla stipulazione, oppure coloro che sono estranei alla sfera di interessi tutelati dal contratto medesimo?)196.

Tale ambiguità di significati genera, inevitabilmente, la frantumazione del principio. A tal proposito, occorre sottolineare che, come abbiamo visto, il principio

195 Cfr. G. ALPA, A. FUSARO (a cura di), Effetti del contratto nei confronti dei terzi, cit., pagina 5; nello stesso senso, A. GAMBARO, Gli effetti del contratto rispetto ai terzi, in L. VACCA (a cura di), Gli effetti

del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, cit., pp. 337 e ss., il quale

pone l’accento sulla “mancanza di carattere ordinante del principio di relatività”.

196 Si rinvia a A. GAMBARO, Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi, in L. VACCA (a cura di), Gli

effetti del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, cit., il quale

sottolinea che tale diversità di significati debba essere, in parte, attribuita “al carattere ideologico e

non tecnico del principio racchiuso nell’art. 1165 code civil”, ed, in a parte, ritenuta “il prodotto di una lacuna culturale che coinvolge buona parte del percorso storico della nostra scienza”.

in commento è il frutto dell’ideologia giusnaturalistica che, da un lato, promuoveva l’autonomia individuale e, dall’altro, era chiamata a rassicurare i consociati sul fatto che, nonostante il carattere fondamentale della libertà contrattuale, il contratto può produrre effetti soltanto nei confronti delle parti. Questa duplice necessità ha prodotto il principio di relatività così come ci appare, anche, nella lettera dell’articolo 1372 del codice civile. I giusnaturalisti, però, non si sono limitati ad affermare, per le ragioni suddette, che il contratto produce effetto solo fra le parti e non anche nei confronti dei terzi, ma hanno, per così dire, convinto i consociati che, tale regola, ha una giustificazione tecnica arrivando ad affermare, in virtù delle regole di stampo romanistico, che il principio di relatività, non è un’affermazione di un valore, ma è la semplice descrizione di una regola che, in realtà, già esiste197.

In verità, come si è cercato di dimostrare, non è proprio così. Infatti, è oramai un dato di fatto che il contratto possa produrre effetti, favorevoli o sfavorevoli, nei confronti dei terzi. Affermare, nella sostanza, che il contratto, in quanto rapporto fra due parti, non può interessare i terzi è sbagliato e riduttivo, in quanto, come abbiamo visto, lo stesso può essere fonte di esternalità positive o negative.

A quanto finora detto, si deve aggiungere che il sistema, nella sua generalità, pecca di coerenza, perché se, da un lato si sancisce con assoluta rigorosità il principio di relatività degli effetti contrattuali, dall’altro lato, nell’ambito della disciplina delle nullità contrattuali si sancisce, all’articolo 1421 c.c., che la legittimazione spetta a “chiunque vi abbia interesse”, evocando, in tal modo, il problema degli effetti esterni del contratto che il dogma della relatività continua ad ignorare.

Pertanto, se oggi le cose sono cambiate rispetto al passato ci troviamo dinanzi ad una norma che, lungi dall’essere assolutamente palese, pone una serie di problemi

197 In questo senso, M. GRAZIADEI, I terzi e gli effetti contrattuali: una prima riflessione

comparativa, in L. VACCA ( a cura di), Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, cit., pp. 152 e ss., nel quale si sostiene che nel corso del diciannovesimo

secolo si ravvisava nella formula “il contratto ha effetto solo tra le parti” un “principio ovvio, quindi,

ed interrogativi che possono essere risolti, soltanto, attraverso il ricorso all’interpretazione.

Nonostante ciò, però, è altrettanto vero che, in linea di massima il principio di relatività viene ancora percepito dal sistema come una regola generale dotata di una serie di eccezioni. In questo contesto, quindi, si possono trarre alcune conclusioni che saranno utili per il proseguo della trattazione: ad oggi, il principio di relatività, muovendo da prospettive diverse rispetto a quelle passate, perde la sua rigorosa effettività ed, a seguito di ciò, l’assunto, secondo cui il contratto “produce effetto solo

fra le parti” è vero finché il contratto medesimo non produce poste che vengono

sopportate dai terzi. In questi casi, l’interprete, come vedremo meglio anche in seguito, tende a risolvere la questione addossando i costi, eventualmente sopportati dai terzi, a carico dei contraenti. Ciò avviene utilizzando o gli strumenti tipici del diritto delle obbligazioni, oppure le regole proprie della responsabilità civile (basti pensare, per esempio, allo sviluppo della teoria della tutela aquiliana del contratto).

Come vedremo meglio successivamente è, altrettanto, evidente che, al fine di inquadrare la posizione del terzo rispetto al contratto, non sono sufficienti i concetti classici di opponibilità, affidamento, effetti diretti o riflessi, ma diviene necessario utilizzare, nell’opera di interpretazione delle fattispecie contrattuali che generano esternalità, anche concetti legati all’analisi economica e regole morali (principio di solidarietà, divieto di discriminazione) che, tra l’altro, hanno valenza costituzionale.

Questo è quello che si tenterà di fare analizzando, nei capitoli successivi, la figura del contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo e la figura del contratto a danno di terzo, le quali costituiscono un’ulteriore conferma della perdita di valore concettuale del principio di relatività degli effetti contrattuali.

Nel documento Attività negoziale e interesse del terzo (pagine 97-101)

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