PROSPETTIVE STORICO-COMPARATISTICHE DEL PRINCIPIO DI RELATIVITA’.
TENTATIVI DI SUPERAMENTO DEL PRINCIPIO DI RELATIVITA’ DEGLI EFFETTI CONTRATTUAL
1. Modalità di superamento del principio di relatività a livello dottrinale e giurisprudenziale.
1.1. Primi tentativi dottrinali di superamento di un dogma tradizionale: la distinzione fra effetti diretti ed effetti riflessi.
Come già accennato in altra parte, subito dopo l’entrata in vigore del codice civile del 1942, i giuristi italiani si sono interrogati sulla valenza del principio di relatività e sull’attualità del dogma tradizionale di matrice romanistica, in base al quale il contratto non può produrre effetti – né negativi, né positivi – nei confronti di coloro che sono estranei all’accordo intercorso fra le parti.
Nella sostanza, da un certo momento in poi, i giuristi – nei diversi ordinamenti ed a seconda delle diverse esperienze149 – hanno scoperchiato il vaso di Pandora
convincendosi del fatto che, al di là di qualsiasi declamazione legislativa, non è possibile rendere impermeabile la situazione di ognuno rispetto alle azioni altrui.
Il momento suddetto può essere riferito alla piena accoglienza, nell’ambito del diritto privato, dei principi di libertà contrattuale e di autonomia privata, i quali, nonostante la chiarezza del dogma della relatività, impongono all’interprete il compito di chiarire, entro quali ambiti, tali principio possono essere esercitati, legittimamente, da ciascun individuo nella consapevolezza che ciò possa esporre i
149 Ciò è avvenuto in Germania con il famoso contributo di R. VON JHERING, Die Reflexwirkungen
rechtleicher Thatsachen auf Dritte Personen, in Jahrbucher für die Dogmatik des heut. Rom und deutsch. Privatrechts, 1871, pp. 245 e ss., dedicato agli effetti giuridici riflessi; in Francia, l’esigenza
di ripensare il significato della formula contenta nell’articolo 1165 del codice napoleonico, diventa pressante con la sentenza della Corte di Cassazione del 1864 che, come abbiamo visto, distingue tra il contratto – che ha effetto fra le parti – e la proprietà – che produce effetti rispetto ai terzi; in
common law con le opere di J. W. SALMOND, First principles of Jurisprudence, Londra 1893, pp. 161 e
ss., e di O. W. HOLMES, Privilege malice and intent, 8, Harvard L. Rev, 1, 1894, pp. 3 e ss., si riconosce apertamente che il contratto talvolta è fonte di danni per i terzi.
terzi a conseguenze favorevoli o sfavorevoli. In altre parole, dal momento suddetto diventa, per così dire, un dato di fatto l’idea, per cui, il contratto produce, naturalmente, effetti nei confronti dei terzi. Si tratta di questioni che prima non erano neppure prese in considerazione essendo sufficiente, come visto, la semplice proclamazione del principio tradizionale di relatività.
In questo contesto, anche la dottrina italiana fa il suo percorso. Subito dopo l’entrata in vigore del codice civile, uno degli autori più autorevoli dell’epoca150,
rifacendosi alla teoria jheringhiana procede alla distinzione fra effetti diretti ed effetti riflessi del contratto. La distinzione fra effetti diretti ed effetti riflessi del contratto si deve, come già detto (si veda nota 149) a Jhering, il quale nel sostenere la sua teoria, rinviene il nocciolo del suo ragionamento, nella consapevolezza che sia impossibile, per il fatto stesso del vivere in una società, rendere la sfera giuridica di ciascuno impermeabile rispetto alle interferenze altrui. Partendo da questo presupposto il giurista tedesco sostiene che altro è che il contratto produca, per volontà (espressa o tacita) della parti, effetti – diretti – nei confronti dei terzi, in modo tale che l’acquisto del diritto, da parte del terzo, sia una conseguenza immediata e diretta del contratto medesimo (si tratta delle ipotesi che, nei diversi ordinamenti, vengono considerate come deroghe ammesse al principio di relatività: si pensi, per esempio, al contenuto del § 328 del BGB; agli articoli 1411 e ss. del c.c. italiano; all’articolo 1121 del codice napoleonico). Diversa è, invece, l’ipotesi in cui il terzo, estraneo alla contrattazione e non rientrante fra i destinatario degli effetti contrattuali, possa giovare o subire degli effetti – riflessi – di un contratto altrui151.
150 Si veda, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 258 e seguenti.
151 In tal senso, R. VON JHERING, Die Reflexwirkungen rechtleicher Thatsachen auf Dritte Personen, in Jahrbucher für die Dogmatik des heut. Rom und deutsch. Privatrechts, cit., pp. 245 e ss.; ed ID., Zur
Lehere von des Beschrankungen des Grundeigenthumers im Interesse der Narchbarn, in Jahrbucher fur die Dogmatik des heut. Rom un deutsch. Privatrechts, 1863, pp. 81 e ss. nel quale l’Autore, esponendo
la teoria delle immissioni, anticipa quanto verrà sostenuto nel contributo successivo in tema di interferenza dell’attività di ognuno sulla sfera altrui. Secondo l’Autore esiste, infatti, un legame teorico fra le riflessioni in tema di effetti riflessi e quelle in tema di immissioni; tale legame è rappresentato dalla consapevolezza del fatto che, al di là del tentativo di separare sul piano del
Pertanto, riprendendo la teoria sopra esposta, intorno alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso, come prima accennato, uno dei più autorevoli giuristi italiani, nel tentativo di superare la rigidità codicistica, un’importante riflessione sulla materia che stiamo affrontando.
L’autore procede, sulla scorta dell’impostazione della dottrina tedesca ottocentesca, alla distinzione fra effetti diretti ed effetti riflessi del contratto152.
Innanzitutto, esso qualifica il terzo che è tale, non solo se è estraneo al negozio, ma anche al rapporto giuridico con esso costituito, modificato od estinto.
I criteri fondamentali utilizzati sono quelli: “dell’interesse protetto dal diritto”; del carattere indipendente o subordinato della posizione giuridica; della “riconoscibilità, per l’avente causa, del rapporto qualificante del suo dante causa”153.
Partendo dai, suddetti, presupposti e considerando che, all’interno di una società complessa, i rapporti giuridici sono tra loro connessi, l’autore in commento, discostandosi, in parte, dalla differenziazione proposta da Jhering, individua quattro diverse posizioni che il terzo può assumere rispetto ad un negozio da altri stipulato. In particolare si distingue fra terzi come: a) parti del negozio (estranee al rapporto giuridico); b) partecipi dell’interesse, ma estranei al negozio, e la cui posizione è subordinata a quella della parte vera e propria; c) terzi interessati, la cui posizione giuridica è indipendente ed incompatibile con gli effetti del negozio; d) terzi, normalmente, indifferenti agli effetti del negozio, ma che sono legittimati ad agire nel caso in cui il medesimo negozio produca pregiudizi nei loro confronti.
diritto quanto compete a ciascuno, l’azione dei singoli interferisce inevitabilmente con la libertà degli altri. Per l’Italia, si veda, a tal proposito A. GIOVENE, Dell’efficacia del negozio giuridico rispetto
ai terzi, II ed., Napoli, 1911.
152 Tra gli effetti riflessi si possono ricomprendere, tra le altre, le seguenti ipotesi: cessione di beni ai creditori; contratto a titolo oneroso stipulato dall’erede apparente con il terzo in buona fede; contratto di locazione, nei confronti del terzo, acquirente della cosa locata; effetti della cessione del credito nei confronti del terzo debitore ceduto; effetti della cessione del contratto nei confronti del contraente ceduto.
Dopo aver proposta questa distinzione di posizioni, si procede nella considerazione specifica delle ipotesi di cui ai punti c) e d) che sono, evidentemente quelle più difficili da decifrare.
Per quanto concerne, in particolare, i terzi interessati la cui posizione giuridica risulta incompatibile con gli effetti che scaturiscono dal negozio giuridico, Betti propone una soluzione, per così dire, formale. In questi casi, sussistendo un conflitto fra il contenuto del negozio e la posizione del terzo, è evidente che rendere operativo, nei confronti del terzo, il regolamento negoziale significherebbe recare, al terzo medesimo, un pregiudizio al suo diritto. Pregiudizio che, in queste ipotesi, assume, i contorni della illegittimità, in quanto “manca alle parti del negozio la legittimazione a
mettere in giuoco la posizione del terzo”.
Per quanto concerne, invece, i terzi indifferenti, la cui posizione giuridica è compatibile con il regolamento negoziale, i quali sono legittimati ad agire quando risentono illegittimamente degli effetti del contratto, Betti propone una soluzione, che possiamo definire, ideologica. L’autore si rifà al principio di socialità, nel senso che, l’interferenza, nell’esplicarsi della vita di relazione, continua fra sfere di interessi contigue, impone ad ognuno, nell’esercizio della propria autonomia privata, il rispetto di taluni “limiti sociali”. Quest’ultimi, essendone rimesso l’apprezzamento agli interessati, non acquistano, generalmente, la valenza giuridica di doveri, con la conseguenza che il negozio può arrecare un pregiudizio di fatto al terzo senza che l’ordinamento possa intervenire per evitare ciò. Quindi, di fronte a situazioni di questo genere, il terzo può fare affidamento sui principi, generali, di buona fede e correttezza154.
154 In questo senso, E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit. pp. 268 e seguenti. L’Autore aggiunge che, sulla base dei criteri da esso forniti, debbano essere esaminati i contratti parasociali e i contratti a danno di terzi: “nel primo caso, l’interesse da salvaguardare è quello della società; nel
secondo ricompare il criterio della socialità e la sua collocazione all’interno di un sistema liberale o meno”. Si veda, anche, G. ALPA, A. FUSARO, Effetti del contratto nei confronti dei terzi, cit. pp. 5 e
Pur essendo state proposte nel corso dei decenni successivi altre soluzioni teoriche, che verranno di seguito analizzate, la posizione di Betti esprime, ancora oggi, la sua valenza e risulta essere interessante, come vedremo meglio nella Terza Parte di questo scritto, per risolvere la questione relativa al, cosiddetto, contratto a danno del terzo, rispetto al quale ritengo opportuno riproporre il criterio di socialità sopra esposto il quale, probabilmente, può essere rafforzato sulla base del principio costituzionale di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione155.
Qualche anno dopo l’intervento di Betti, un altro autorevole giurista156 si occupa
della questione degli effetti del contratto nei confronti dei terzi: si tratta di Messineo. L’autore, riprendendo, anch’esso, la distinzione fra effetti diretti e riflessi di matrice germanica, si propone di distinguere fra gli effetti riflessi del contratto, che possono essere positivi o negativi, e gli effetti giuridici di cui all’articolo 1372 del codice civile. Esso, però, pone l’accento sul fatto che, nell’ambito del nostro ordinamento, vi è un concorso di principi da applicare alle singole fattispecie, per cui, il principio di relatività, come avevamo già anticipato, deve, necessariamente, convivere con altri principi, nell’ambito di una giusta contemperazione fra interessi contrapposti157.
Sulla base di tale premessa, l’autore in commento distingue, ulteriormente, fra contratti a carico e contratti in danno del terzo. Nella prima categoria introduce il subcontratto, mentre nella seconda categoria inserisce sia i contratti in cui il danno, subito dal terzo, sia intenzionale158, sia le ipotesi in sui lo stesso non sia intenzionale.
155 Per la spiegazione di tale affermazione si rinvia alla Parte Terza di questo scritto.
156 Si veda, F. MESSINEO, Contratto nei rapporti col terzo, in Contratto, voci estratte dall’Enciclopedia del diritto, Milano 1961, pp. 241 e ss.; la posizione espressa dall’Autore viene poi riproposta dalla stesso, dopo al sentenza sul caso Meroni (Cass. 25 gennaio 1971, n. 174) in ID, Il
contratto in genere, Milano, 1973.
157 In tal senso, F. MESSINEO, Il contratto in genere, cit., pp. 114 e seguenti.
158 In tal senso, F, MESSINEO, Il contratto in genere, cit., nel quale l’Autore elenca numerosi esempi di contratti conclusi con il proposito di danneggiare il terzo: tra essi, si possono citare, ad esempio, le ipotesi di collusione fra debitore principale e creditore per tenere in vita il debito principale ed impedire la liberazione del fideiussore; di stipulazione, da parte di un somministrante che abbia concluso un patto di esclusiva con il somministrato, di un contratto con un altro soggetto;
Nel primo caso, il terzo ha a disposizione, qualora ne sussistano i presupposti, sia l’azione di responsabilità aquiliana, sia la possibilità che il contratto possa considerarsi illecito. Nella seconda ipotesi, ovvero nel caso in cui in pregiudizio arrecato al terzo non sia intenzionale, il terzo non potrà esercitare l’azione di responsabilità extracontrattuale.
Accanto a queste categorie di contratti, Messineo introduce una diversa categoria contrattuale, quella dei contratti sul patrimonio del terzo, dove il presupposto essenziale è rappresentato dall’alienità della cosa che forma oggetto del contratto stesso. In queste ipotesi, chi dispone della cosa non è né proprietario, né rappresentante del proprietario, ma è semplicemente “chi dispone di un diritto che
non nega essere altrui”. In questi casi (tra quali rientra, per esempio, la vendita di cosa
altrui di cui all’articolo 1478 c.c.), il terzo non subisce alcun danno e, per tale ragione, essi vengono tenuti distinti dai contratti a danno e a carico del terzo159.