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Parte III. Politica

1. L’evoluzione del pensiero politico di Mandeville: i primi scritti

1.1. Dall’etica alla politica?

Nelle sezioni precedenti si è detto che il pensiero di Mandeville subisce una evoluzione nel corso degli anni, che influenza alcuni aspetti particolari delle sue riflessioni. I cambiamenti che si riscontrano nelle affermazioni di carattere economico non sono che il riflesso di un ampliamento di prospettiva che investe, in primo luogo, l’ambito politico del pensiero del nostro filosofo.

Tra gli studiosi, vi sono molteplici interpretazioni a proposito degli elementi ritenuti responsabili dell’evoluzione del pensiero mandevilliano. M.E. Scribano, ad esempio, la spiega sostenendo che il filosofo abbandoni progressivamente la visione hobbesiana dell’essere umano257. In generale, il rapporto di Mandeville con le idee di Hobbes è stato spesso fonte di errori interpretativi, e chiarirlo può essere utile anche per far luce su ciò che rimane costante e su ciò che subisce un cambiamento nella sua filosofia. In molte occasioni si vedono accostati questi due pensatori che, in ultima analisi, hanno in comune meno di quanto ci si aspetti, cosa che è immediatamente visibile esaminando le rispettive riflessioni politiche, che sono diametralmente opposte, e di cui solo un’indagine più accurata può

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rendere ragione senza che Mandeville ne esca svalutato. Spiegare i punti comuni così come quelli di divergenza tra i due può essere utile ai fini di comprendere la complessità del pensiero mandevilliano, che troppo di frequente viene frainteso.

Il motivo per cui questi due pensatori sono stati spesso avvicinati può essere dovuto al fatto che filosofi come Hume e Rousseau258 hanno ricondotto le riflessioni sulla natura umana di Mandeville a quelle di Hobbes, focalizzandosi sulla descrizione, fornita da entrambi, dell’essere umano come creatura egoista. Come nota Friedrich Hayek, «ai contemporanei “la riduzione mandevilliana di ogni azione ad un atto di egoismo manifesto o camuffato” può davvero essere sembrata un’altra versione di Hobbes, e aver nascosto il fatto che portava a conclusioni completamente differenti»259. Sia Hobbes che Mandeville mettevano in risalto le caratteristiche peggiori dell’uomo, e questo è l’elemento che maggiormente li accomuna. Del resto, come scrive F.B. Kaye nell’Introduction all’edizione critica della Fable of the Bees260, era quasi inevitabile entrare in contatto col pensiero di Hobbes al tempo in cui visse Mandeville, e subirne una qualche influenza.

Leggendo gli scritti di Mandeville si rintracciano le linee guida di un modo di concepire l’uomo che era stato proprio non solo di Hobbes, ma anche di tutta la tradizione che, a

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A proposito dell’egoismo, riferendosi probabilmente a Hobbes e Mandeville, che più di altri avevano insistito sul farne una delle passioni più forti dell’essere umano, Hume affermava: «Sono convinto che, generalmente parlando, le rappresentazioni di questa qualità siano spinte troppo avanti; e che le descrizioni che certi filosofi si dilettano a fornire del genere umano a questo riguardo, sono tanto lontane dalla natura quanto le storie di mostri che incontriamo nelle favole e nei romanzi», Trattato sulla natura umana, ed. cit., Libro III, parte II, sez. II, pp. 961-963; «I am sensibile that, generally speaking, the representations of this quality [selfishenss] have bee carried too much far; and that the descriptions, which certain philosophers delight so much to form on mankind in this particolar, are as wide of nature as any accounts of monsters, which we meet with in fables and romances», A Treatise of Human Nature, cit., pp. 486-487. Anche Rousseau ci teneva a prendere le distanze dai due filosofi, e nel Discorso sull’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini (1745) non mancava di criticare abbondantemente la visione spietata ed esageratamente pessimista che essi nutrivano della natura umana. Scrive infatti: «Soprattutto non concludiamo con Hobbes che l’uomo, per il fatto che non ha alcuna idea della bontà, sia naturalmente cattivo. [...] C’è un altro principio, che Hobbes non ha visto affatto, e che, essendo stato dato all’uomo per addolcire in certe circostanze la ferocia del suo amor proprio [...] tempera l’ardore che egli ha per il suo benessere con una ripugnanza innata a veder soffrire il proprio simile. Non credo di correre il rischio di cadere in contraddizione accordando all’uomo la sola virtù naturale che anche il detrattore più spinto delle virtù umane [Mandeville] è stato costretto a riconoscere all’uomo: voglio dire la pietà», J-J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, cit., p. 61; «N’allons pas surtout conclure avec Hobbes que pour n’avoir aucune iée de la bonté, l’homme soit naturellement méchenat. […] Il y a d’ailleurs un autre Principe que Hobbes n’a point apperçû et qui, ayant été donné à l’homme pour adoucir, en certaines circostances, la férocité de son amour propre […] tempere l’ardeur qu’il a pour son bien-être par une répugnance innée à voir souffrir son semblable. Je ne crois pas avoir aucune contradiction à craindre, en accordant à l’homme la seule vertu Naturelle, qu’ait été forcé de reconnoître le Detracteur le plus outré des vertus humaines [Mandeville]. Je parle de la Pitié», Discours sur l’origine de l’inégalité, in Œuvres complete, cit., pp. 153-154. Ho citato questo passo principalmente per mostrare l’opinione che Rousseau aveva di Mandeville, chiamato “il detrattore più spinto delle virtù umane”; ma già Rousseau riconosceva tra i due filosofi una qualche differenza proprio per la questione relativa alla pietà. Mandeville infatti, diversamente da Hobbes, ne riconosceva l’esistenza, pur non considerandola affatto una virtù. Questo tuttavia “addolcisce” un po’ la visione della natura umana del filosofo olandese.

259

Cfr. F.A. Hayek in Il Dottor Bernard Mandeville, in Nuovi studi, cit., p. 278. 260

partire da Montaigne («Gli altri formano l’uomo, io lo descrivo, e ne presento un esemplare assai mal formato, e tale che se dovessi modellarlo di nuovo lo farei in verità molto diverso da quello che è. Ma ormai è fatto»261), si proponeva di descrivere l’uomo quale egli era262, e non come avrebbe dovuto essere. L’influenza che Hobbes ebbe su Mandeville riguarda in primo luogo un modo di indagare la natura umana263 ispirato al massimo realismo264.

Oltre all’approccio metodologico, che non è propriamente caratteristico del solo Hobbes, vi sono anche degli aspetti concettuali che denotano una vicinanza tra i due filosofi. Si osserva una certa impronta hobbesiana in queste parole di Mandeville sulle caratteristiche naturali dell’uomo:

esaminiamo tutta la vita di un uomo dall’infanzia fino alla morte e vediamo quale di questi due attributi è più naturale: il desiderio di dominare e di impadronirsi di ogni cosa, o la tendenza ad agire secondo le idee ragionevoli di giusto e di ingiusto. Troveremo la prima inclinazione molto forte quando è molto giovane; la seconda del tutto assente fino a quando egli abbia ricevuto qualche istruzione, tanto che, meno una persona sarà civilizzata, meno questa tendenza influenzerà le sue azioni.265

Anche se Mandeville parla di infanzia anziché di stato di natura, il paragone è chiaro: i bambini, privi dei freni che vengono loro impartiti crescendo attraverso l’educazione, sono per il filosofo olandese un ottimo esempio di quello che è la natura umana prima di essere

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M.E. de Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, Adelphi, Milano 1992; Libro III, cap. II, p. 1067; «Les autres forment l’homme, je le recite et en represente un particulier bien mal formé, et lequel, si j’avoy à façonner de nouveau, je ferois vrayement bien autre qu’il n’est. Mes-huy c’est fait», Essais, Marie de Gournay, Bordeaux 1595; ed. consultata a cura di M. Rat, Éditions Garnier Frères, Paris 1962; Livre III, Chapitre II (vol. II), p. 222.

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Quasi tutti gli studiosi del pensiero di Mandeville si trovano d’accordo nell’individuare tra le fonti di ispirazione del suo pensiero una determinata tradizione filosofica che tendeva a “non farsi illusioni” circa una presunta natura buona dell’uomo. In questa tradizione sono compresi non solo i filosofi francesi che scrivevano sull’amour-propre, ma anche Hobbes. Cfr., ad esempio, C. Petsoulas, Mandeville’s paradox ‘private vices,

public benefits’, in Hayek’s Liberalism and its Origins, Routledge, London and New York 2001; L. Dickey, Pride, Hypocrisy and Civility in Mandeville’s Social and Historical Theory, cit., pp. 387-431; o anche

l’introduzione dell’edizione della Fable of the Bees curata da Kaye, o D.J. Den Uyl, Passion, State and

Progress: Spinoza and Mandeville on the Nature of Human Association, in «Journal of the History of

Philosophy», Vol. XXV, No. 3, July 1987, pp. 369-395; o J.D. Joung, Mandeville: a Popularizer of Hobbes, in «Modern language notes», Vol. 74, No. 1, Jan. 1959, pp. 10-13.

263

Cfr. Kaye, Introduction to B. Mandeville, Fable of the Bees, cit., p. xciii: «It is clear, then, that the main elements in Mandeville’s vivisection of human nature had been often anticipated - by Erasmus, Hobbes, Spinoza, and Locke, and by many French writers».

264

Come scrive Den Uyl nel saggio Passion, State and Progress: Spinoza and Mandeville on the Nature of

Human Association, cit., p. 373: «Hobbes was influential in ushering in a new sense of realism to the study of

man. No longer would we see human nature in the light of some utopian standard. Instead we would seek to understand “men as they are”».

265

B. Mandeville, Dialoghi (V dialogo), p. 151; «Let us examine a Man’s whole Life, from his Infancy to his Grave, and see, which of the two seems to be most natural to him; a Desire of Superiority, and grasping every thing to himself; or a Tendency to act according to the reasonable Notions of Right and Wrong; and we shall find, that in his early Youth the first is very conspicuous; that nothing appears of the second before he has receiv’d some Instructions, and that this latter will always have less Influence upon his Actions, the more uncivilis’d he remains», Fable II (5th dialogue), cit., p. 223.

civilizzata – o, in questo caso, educata. Poco più avanti, sempre nella Fable II, Mandeville ritorna sull’argomento nell’ambito di un discorso sulle leggi, e afferma che queste «sono tutte chiaramente destinate a servire, come altrettanti rimedi per curare e per rendere vano il naturale istinto di sovranità che porta l’uomo a considerare ogni cosa in base al proprio interesse e a pretendere tutto ciò su cui può mettere le mani»266.

Mandeville e Hobbes hanno in comune il fatto che entrambi sottolineano il carattere egoistico delle passioni umane, e questo li distingue principalmente dai pensatori che ritengono che vi sia una benevolenza nell’uomo, da cui dipendono passioni altruistiche (amore, amicizia, compassione) che dovrebbe consentire la convivenza senza necessità di coercizione. Posto che nessuno dei due ritiene che l’essere umano sia una creatura benevola, essi guardano però le stesse passioni egoistiche con occhi diversi, e questo è il motivo per cui arrivano a proporre soluzioni antitetiche circa il problema della governabilità.

Le passioni egoistiche sono, per Hobbes, le responsabili della guerra di tutti contro tutti che si verifica nello stato di natura, e non c’è altro modo di gestirle che attraverso la repressione. Delle stesse passioni, per Mandeville, ci si può invece servire per creare una società pacifica, senza la necessità di soffocarle. Nella Ricerca sull’origine della virtù

morale, saggio comparso nell’edizione del 1714 della Fable I, leggiamo che i politici sono

riusciti a far sì che gli uomini, da soli, frenassero i loro impulsi attraverso il semplice stratagemma di dividerli idealmente in due classi, una di persone «abbiette e di animo vile, sempre a caccia di godimenti immediati, del tutto incapaci di rinuncia, prive di considerazione per il bene degli altri e senza uno scopo più alto del loro vantaggio privato»267, e l’altra di «nobili creature di animo elevato, libere dal sordido egoismo, che consideravano una mente ben coltivata come il più bel possesso. Costoro […] disprezzando tutto ciò che avevano in comune con le creature irrazionali, si opponevano con l’aiuto della ragione alle inclinazioni più violente»268: tutti gli uomini infatti, sensibili alle adulazioni, sono orgogliosi al punto da poter «sopportare mille disagi e affrontare mille difficoltà per

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B. Mandeville Dialoghi (VI dialogo), p. 184; «all of them are plainly design’d as so many Remedies, to cure and disappoint that natural Instinct of Sovereignty, which teaches Man to look upon every thing as centring in himself, and prompts him to put in a Claim to every thing, he can lay his Hands on», Fable II (6th dialogue) p. 271.

267

B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale, in La favola, cit., p. 26; «The one consisted of abject, low-minded People, that always hunting after immediate Enjoyment, were wholly incapable of Self-denial, and without regard to the good of others, had no higher Aim than their private Advantage», An Enquiry into the

Origin of Moral Virtue, in Fable I, cit., p. 43.

268

Ivi, p. 27; «But the other Class was made up of lofty high-spirited Creatures, that free from sordid Selfishness, esteem’d the Improvements of the Mind to be their fairest Possessions […].such as despising whatever they had in common with irrational Creatures, opposed by the Help of Reason their most violent Inclinations», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue, in Fable I, cit., p. 44.

avere il piacere di annoverarsi tra gli uomini della seconda classe»269. L’orgoglio non è che una delle diramazioni dell’amore di sé, quella che a sua volta viene indicata da Mandeville, nei primi scritti, come la passione cui tutte le altre fanno capo270. La creazione di una società pacifica passa, pertanto, attraverso la gestione di queste passioni tramite l’adulazione. Il discorso viene così concluso da Mandeville:

Questo fu (o almeno potrebbe essere stato) il modo in cui il selvaggio venne domato. Da ciò risulta evidente che i primi elementi della moralità, introdotti da abili politici per rendere gli uomini utili gli uni agli altri e docili, furono inventati soprattutto affinché l’ambizioso potesse ricavarne il maggior beneficio e governare grandi numeri di uomini con la maggiore facilità e sicurezza. Una volta stabilito questo fondamento della politica era impossibile che l’uomo rimanesse a lungo non civilizzato. Infatti anche coloro che si sforzavano soltanto di soddisfare i loro appetiti, essendo continuamente contrariati da altri dello stesso stampo, non potevano non accorgersi che quando tenevano a freno le loro inclinazioni, o anche soltanto le seguivano con maggiore circospezione, evitavano una grande quantità di fastidi e spesso sfuggivano alle calamità che di solito accompagnano una ricerca incontrollata del piacere.271

Nella Ricerca sull’origine della virtù morale il pensiero del nostro filosofo è molto “immaturo”, e ancora legato al paradosso (i politici citati in questo saggio sono delle figure quasi mitiche, artefici della creazione dei concetti di virtù e vizio). È degna di nota, tuttavia, l’idea di fondo che sta alla base dei paradossi, e cioè che le passioni non siano solo causa di distruzione, ma anzi possano tornare utili in vista del bene della società; questo è già un elemento di visibile distacco da Hobbes, ed è quello che, già in questa fase in cui il pensiero politico mandevilliano non è definito, conduce il filosofo olandese lontano dalle risoluzioni pensate da Hobbes.

Pur ammettendo che la sola descrizione dell’aspetto morale dell’essere umano (di cui si potrebbero individuare, come due estremi, la considerazione dell’uomo come creatura

269

Ibidem; «to endure a thousand Inconveniences, and undergo as many Hardships, that they may have the pleasure of counting themselves Men of the second Class», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue, in

Fable I, cit., p. 45.

270

Cfr. sopra, Parte I, § 2.2.2.1., pp. 45-48. 271

B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale in La favola, cit., p. 28; «This was (or at least might have been) the manner after which Savage Man was broke; from whence it is evident, that the first Rudiments of Morality, broach’d by skilful Politicians, to render Men useful to each other as well as tractable, were chiefly contrived that the Ambitious might reap the more Benefit from, and govern vast Numbers of them with the greater Ease and Security. This Foundation of Politicks being once laid, it is impossible that Man should long remain uncivilized: For even those who only strove to gratify their Appetites, being continually cross’d by others of the same Stamp, could not but observe, that whenever they check’d their Inclinations or but followed them with more Circumspection, they avoided a world of Troubles, and often escap’d many of the Calamities that generally attended the too eager Pursuit after Pleasure», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue, in

rispettivamente egoista o altruista) non è sufficiente a indirizzare una proposta politica, è innegabile che essa abbia, tuttavia, una qualche influenza: nessuno direbbe, ad esempio, che lo stato assoluto hobbesiano non deriva in parte dalla sua visione dell’essere umano. Questo permette, intanto, di confutare la tesi del “graduale abbandono della visione hobbesiana”. Se davvero l’evoluzione del pensiero di Mandeville dipendesse dal graduale distacco dalla concezione antropologica hobbesiana, si dovrebbe rilevare, nelle prime osservazioni di carattere politico del filosofo olandese, almeno una somiglianza con quanto proposto da Hobbes, cosa che invece non si verifica: per quanto il pensiero politico esposto nei primi scritti di Mandeville non sia maturo e subisca profondi cambiamenti, non è comunque, nemmeno in questa fase, affatto simile a quello di Hobbes: non si parla né di contratto né di stato assoluto né di possibili benefici derivanti dalla coercizione. Nella Ricerca sull’origine

della virtù morale egli è molto chiaro sul fatto che cercare di sottomettere l’uomo e le sue

passioni con la forza non è la strada giusta per creare una società pacifica272. Il che è molto diverso da quanto scrive Hobbes.

Nell’elaborazione della suo pensiero politico, Mandeville non considera solo la dimensione morale dell’essere umano: parte integrante e fondamentale che condiziona le sue riflessioni è costituita dall’analisi della natura, delle capacità e dei limiti della ragione, che è ciò che maggiormente lo allontana da Hobbes. Se si considerasse infatti la politica come una mera estensione dell’etica, non si potrebbe comprendere quello che porta i due pensatori a proporre soluzioni così diverse al problema della governabilità dell’uomo. Sbaglia, perciò, J.D. Joung quando, nel saggio Mandeville: A Popularizer of Hobbes, dopo aver affermato che i due filosofi corredano l’essere umano di caratteristiche morali pressoché identiche, accusa Mandeville di cadere in errore nel passaggio dall’etica alla politica. Lo studioso definisce Hobbes coerente, in quanto «he makes his ethics the basis of his politics»273, mentre Mandeville è detto «inaccurate in the logical extension of the ethics into politics»274. Risulta chiaro che una particolare descrizione morale dell’essere umano non ha delle conseguenze necessarie quando si passa all’ambito politico: la considerazione della natura umana come benevola e altruista o egoista e meschina, ha un suo peso, ma non implica una direzione obbligata. Se così fosse, Hobbes e Mandeville non finirebbero per approdare a

272

Cfr. ivi, p. 25: «essendo un animale straordinariamente egoista e ostinato, oltre che astuto, per quanto lo si possa sottomettere con una forza superiore, non è possibile con la sola forza renderlo docile e fargli compiere i progressi di cui è capace»; «being an extraordinary selfish and headstrong, as well as cunning Animal, however he may be subdued by superior Strength, it is impossible by Force alone to make him tractable, and receive the Improvements he is capable of», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue, in Fable I, cit., p. 42.

273

J.D. Joung, Mandeville: A Popularizer of Hobbes, in «Modern Language Notes», Vol. 74, No. 1, Jan. 1959, p. 11.

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teorie politiche opposte, pur tenendo conto delle divergenze tra le rispettive visioni della natura umana.

L’elemento che crea una differenza così notevole tra le idee politiche di Hobbes e quelle di Mandeville riguarda il ruolo che essi ascrivono alla razionalità umana. Laddove per Hobbes la ragione è responsabile dell’uscita dallo stato di natura e dell’ingresso in società