• Non ci sono risultati.

Parte I. Antropologia e morale

1. Gli scritti filosofici del primo periodo

2.2. Mandeville e le passioni

2.2.2. Esiste una gerarchia della passioni?

2.2.2.2. Il pride

L’orgoglio è una passione che ricopre una grande importanza nella filosofia mandevilliana, e la cui interpretazione presenta non pochi problemi. Ma, in primo luogo, si tratta di una passione o di un vizio? Nella Fable I prevale la considerazione dell’orgoglio come passione:

L’opposto della vergogna è l’orgoglio; ma nessuno può essere toccato dalla prima, senza avere mai provato il secondo: infatti la straordinaria sollecitudine che abbiamo nei confronti di ciò che gli altri pensano di noi può derivare soltanto dalla grande stima che nutriamo per noi stessi. Che queste due passioni, in cui sono contenuti i semi di moltissime virtù, siano realtà della nostra costituzione, e non qualità immaginarie, lo si può dimostrare in base agli effetti chiari e differenti che nonostante la nostra ragione si producono in noi quando siamo affetti dall’una o l’altra di esse.116

Un uomo di grande orgoglio può nasconderlo così bene che nessuno potrà mai scoprirlo, e tuttavia trarre da tale passione una soddisfazione maggiore di un altro che si compiaccia di manifestarlo a tutti.117

All’inizio dell’Enquiry into the Origin of Honour (1732) si parla del pride, invece, come di un vizio. Mandeville, alle prime battute del dialogo tra coloro che erano stati già protagonisti del secondo volume della Fable, attraverso il suo alter ego Cleomene afferma a proposito della passione del self-liking, di cui si tratterà nel volume II della Fable: «Quando questa predilezione per se stessi è eccessiva, ed è così apertamente palesata da recare offesa agli altri, so bene che è annoverata tra i vizi, e chiamata orgoglio»118. Non è tuttavia così rilevante indagare su quale delle due definizioni di pride sia prevalente negli scritti del filosofo olandese, se, cioè, quella di passione o di vizio, dal momento che tutte le passioni hanno un carattere in qualche modo vizioso, in quanto dipendono dalla considerazione dell’interesse egoistico. Secondo quanto scrive Mandeville, le passioni possono essere più o meno forti, e dare origine a vizi veri e propri, ma questo non accade necessariamente – infatti, nella Ricerca sull’origine dell’onore si parla dell’orgoglio come di un vizio che scaturisce dall’eccesso di una passione, il self-liking. Tutte le passioni hanno radici

116

B. Mandeville, La favola (Nota C), cit., p. 41; «The Reverse of Shame is Pride, yet no Body can be touch’d with the first, that never felt any thing of the latter; for that we have such an extraordinary Concern in what others think of us, can proceed from nothing but the vast Esteem we have for our selves. That these two Passions, in which the Seeds of most Virtues are contained, are Realities in our Frame, and not imaginary Qualities, is demonstrable from the plain and different Effects, that in spite of our Reason are produced in us as soon as we are affected with either», Fable I (Remark C), cit., pp. 66-67.

117

Ivi, p. 50, «A Man of Exalted Pride may so hide it, that no Body shall be able to discover that he has any; and yet receive greater Satisfaction from that Passion than another, who indulges himself in the Declaration of it before all the World», Fable I (Remark C), cit., p. 79.

118

B. Mandeville, Ricerca sull’origine dell’onore, cit., p. 17; «When this Self-liking is excessive, and so openly shewn as to give Offence to others, I know very well it is counted a Vice and call’d Pride», An Enquiry

nell’amore di sé, e ciò crea la potenzialità dell’agire vizioso, di cui il vizio rappresenta l’atto stesso. Il caso dell’orgoglio è comunque a se stante: anche considerato come passione, implica in modo più diretto comportamenti riprovevoli, e infatti non sono rari i passi in cui Mandeville lo inserisce, anche nel corso della Fable I, direttamente tra i vizi: «inoltre non tutti coloro che sembrano privi d’orgoglio lo sono in effetti: i sintomi di questo vizio non sono tutti facilmente rilevabili»119.

È più interessante invece cercare di cogliere la relazione del pride con il self-love, dal momento che essi sembrano sovente coincidere. Ecco, ad esempio, le parole che Mandeville usa per descrivere l’orgoglio nella Nota M, ad esso esplicitamente dedicata: «l’orgoglio è la facoltà naturale per cui ogni mortale che abbia qualche intelligenza si sopravvaluta, e immagina riguardo a se stesso cose migliori di quelle che gli concederebbe un giudice imparziale, perfettamente a conoscenza delle sue qualità e condizioni»120. Sicuramente l’orgoglio condivide, con l’amore di sé, quel desiderio di essere apprezzati e anche un po’ invidiati, tuttavia il self-love non si riduce solo a questo121. L’amore di sé è un istinto che comprende anche quello dell’autoconservazione (anzi, come s’è detto, in seguito Mandeville lo ridurrà a poco più che questo), e, in generale, si può dire che viene avvertito dall’uomo tanto in solitudine quanto in compagnia. L’orgoglio, invece, ha sempre bisogno di spettatori, per esistere, o, almeno, dell’interazione. È in tutto e per tutto una passione che dipende dalla presenza degli altri, cosa che non si può affermare per il self-love. Un altro elemento di differenziazione tra pride e self-love si riscontra nell’analisi delle passioni “altruistiche”, amore, amicizia e compassione, di cui Mandeville mostra un legame con l’amore di sé, vedendo nella ricerca dell’altro anche un modo di venire incontro a esigenze personali legate però alla sfera privata dell’individuo (come, ad esempio, la ricerca della compagnia perché si trae diletto dagli amici, perché non si ama stare da soli, ecc.): queste passioni non hanno a che fare con l’orgoglio.

Arthur Lovejoy, nel saggio Reflections on Human Nature, pone proprio il pride al primo posto nella scala delle passioni/vizi (Lovejoy in realtà assume che si tratti di un vizio, in particolare di quel private vice da cui tutti i public benefits discendono), e afferma: «by

119

B. Mandeville, La favola (Nota M), cit., p. 84; «Besides that every Body is not without Pride that appears to be so; all the symptoms of that Vice are not easily discover’d», Fable I (Remark M), cit., p. 130.

120

Ivi, pp. 79-80; «Pride is that Natural Faculty by which every Mortal that has any Understanding over-values, and imagines better Things of himself than any impartial Judge, thoroughly acquainted with all his Qualities and Circumstances, could allow him», Fable I (Remark M), cit., p. 124. Si confronti con la prima nota sul self-

love dell’omonimo paragrafo.

121

Sul pride come diramazione del self-love vedi anche E. Pulcini, L’individuo senza passioni. Individualismo

“pride” Mandeville means, for the most time, aprobativeness as a minister to self-esteem»122, avvicinandolo così molto al self-love – passione di cui, peraltro, non parla. La posizione di Lovejoy sembra rifarsi per lo più agli scritti del 1714, ovvero la Ricerca sui principi della

morale e la Fable I, dove, in effetti l’orgoglio assume molte connotazioni che fanno pensare

al self-love - che se non altro lo fanno sembrare, a tutti gli effetti, una passione primaria, e non, dunque un vizio. Tuttavia, come s’è detto, vi sono alcune caratteristiche dell’amore di sé che lo rendono una passione più complessa dell’orgoglio, che ne sembra solo una componente. Anche Laurence Dickey, nel saggio Pride, Hypocrisy and Civility, equipara l’orgoglio all’amore di sé: «Like the Jansenists, Mandeville believed that man was moralized through his self-love (i.e. through his pride)»123. È necessario accompagnare una riflessione a questa affermazione: e cioè che Dickey, come Lovejoy, si basa principalmente sugli scritti del 1714, dove si parla ampiamente del ruolo del pride con particolare riferimento al suo rapporto con le virtù morali. Dickey, rifacendosi all’analisi di Lovejoy, suggerisce una considerazione più articolata del pride, per scongiurare il rischio che esso venga troppo strettamente legato ai desideri egoistici. Nello specifico, individua due modi di concepirlo, come self-regarding o other-regarding impulse: l’orgoglio agirebbe sia facendo compiere all’uomo azioni che hanno, come esito, solo il suo benessere, sia azioni ispirate al self-denial che hanno come scopo quello di raccogliere il consenso degli altri, e dall’esterno assomigliano alla virtù.

Una caratteristica interessante del pride è che si ritrova ad essere la causa più frequente di abnegazione (self-denial), che, ovviamente, quando affonda le radici in una passione/vizio non si può chiamare virtù. Ma l’effetto del self-denial sono appunto delle azioni apparentemente virtuose, che l’uomo orgoglioso compie per raccogliere quella approvazione altrui di cui non può fare a meno. Ancora una volta, come nel caso della pietà e dell’amore per la compagnia, le motivazioni che stanno all’origine di comportamenti che facilmente possono essere scambiati per virtù riposano su passioni egoistiche: «[...] e quanto maggiore è il suo orgoglio, tanto maggiori saranno le rinunce che affronterà per difendere la sua vittoria»124, «quando un uomo [...] decide sul serio di vincere i suoi appetiti, [...] respinge tutto ciò che può soddisfare i sensi, [...] sacrifica tutte le sue passioni all’orgoglio, allora la

122

A.O. Lovejoy, Reflections on Human Nature, The Johns Hopkins Press, Baltimore 1961; p. 171. 123

L. Dickey, Pride, Hypocrisy and Civility, cit., p. 399. 124

B. Mandeville, La favola (Nota N), cit., p. 90; «the greater his Pride is, the more Self-denial he’ll practise to maintain his», Fable I (Remark N), cit., p. 138.

gente ordinaria [...] sarà pronta a divinizzarlo e adorarlo»125. L’orgoglio non è solo il motore dell’abnegazione, ma anche di tante altre attività che l’uomo eviterebbe volentieri, se non fossero indispensabili per gratificare questa passione. Il lavoro è una di queste, così come studiare per costruirsi una cultura non è sovente attività dettata dall’amore per le discipline che si studiano, ma dal desiderio di apparire eruditi in pubblico.

Quello che sembra al di fuori di dubbio è che la vanità sia un vizio conseguente all’orgoglio, e, con essa, l’amore per il lusso. Così come per effetto dell’orgoglio l’uomo è portato a sovrastimare se stesso, altrettanto egli desidera essere stimato dagli altri. Il desiderio di stima e ammirazione comprende non solo le qualità interiori, ma anche l’aspetto esteriore, dunque uomini e donne spendono parte del proprio patrimonio in accessori di lusso, profumi, parrucche, abiti, stoffe, per gratificare l’orgoglio. Nel primo volume della

Fable le considerazioni fatte sui vizi e sulle passioni sono finalizzate a far risaltare la

connessione tra questi e il benessere prevalentemente economico della società, e l’orgoglio è una delle passioni cardine su cui si regge l’apparato commerciale, per tutti i vizi che incoraggia.

2.2.2.3. La pietà

Non sono state prive di conseguenze e di aspre critiche le osservazioni che il filosofo olandese ci ha lasciato sulla “più amabile delle nostre debolezze”, e questo perché Mandeville l’ha fatta entrare a pieno titolo tra le passioni egoistiche. Nella Ricerca

sull’origine della virtù morale si legge: «la pietà, pur essendo la più gentile e la meno

dannosa di tutte le nostre passioni, è una debolezza della nostra natura, così come lo sono l’ira, l’orgoglio, la paura»126. Proprio sull’esistenza della pietà Rousseau ha cercato di fondare la dimostrazione della bontà dell’essere umano, affermando che «anche il detrattore più spinto delle virtù umane [Mandeville] è stato costretto a riconoscere [...] la pietà, [...] virtù tanto più universale e tanto più utile all’uomo in quanto in lui precede l’uso di qualsiasi riflessione e tanto naturale che persino le bestie ne danno qualche volta dei segni

125

B. Mandeville, La favola (Nota O ), cit., p. 104; «when a Man […] resolving to subdue his Appetites in good earnest, refuses all the Offers of Ease and Luxury that can be made to him, and […] rejects whatever may gratify the Senses, and actually sacrifices all his Passions to his Pride in acting this Part, the Vulgar […] will be ready to deify and adore him» Fable I (remark O), cit., p. 157.

126

Cfr. B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale, ne La favola delle api, cit., p. 33; «Pity, tho’ it is the most gentle and the least mischievous of all our Passions, is yet as much a Frailty of our Nature, as Anger, Pride, or Fear», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue in Fable I, cit., p. 56.